Tra pagliacci e wrestler, la Liga di Piqué è una caricatura del calcio.
L’inasprimento della tenzone tra Shakira e Gerard Piqué, causata dai riferimenti espliciti nell’ultimo pezzo della cantante colombiana, si sta rivelando l’ennesimo giochino mediatico, la solita pantomima VIP messa in piedi per alimentare una polemica altrimenti inesistente. Ma sembra essere anche un incredibile assist – à la Xavi o Iniesta – per il catalano, che ha saputo approfittare al massimo dell’ondata di attenzioni social piombatagli addosso dopo l’uscita di Music Session #53. Infatti Piqué ha appena avviato la Kings League, un innovativo campionato di calcio a sette tra dodici squadre trasmesso in diretta su Twitch – il video del suo arrivo in Twingo per sbeffeggiare la vecchia compagna è pensato anche e soprattutto per pubblicizzarla.
Un format calcistico avveniristico, nato da poco ma che in Spagna (e non solo) sta spopolando, cavalcando l’hype soprattutto tra i più giovani. Insieme ad altri ex calciatori come il Kun Aguero ed Iker Casillas, oltre a diversi streamers molto famosi in Spagna come Ibai, Piqué sta svezzando un nuovo modello, moderno, di intendere il calcio, di offrirlo alle generazioni che verranno. Sono proprio loro, i prossimi consumatori del prodotto, ad essere nel mirino della Kings League.
Il progetto Kings League nasce, come detto, dalla collaborazione tra Gerard Piqué e lo streamer Ibai Llanos, amici e soci in affari già da tempo. L’ex centrale di Barça e United ha sempre avuto un certo spirito imprenditoriale – con venature di arroganza – mentre lo streamer basco è una sorta di Re Mida di Twitch, amatissimo dalla sua community e ormai volto nazionalpopolare. Da loro due arriva l’idea di una lega pensata soprattutto per penetrare tra i più giovani. Calcio a sette, come detto, con tanti ex professionisti (come Alberto Bueno, Chicharito Hernandez, Joan Capdevila ed altri) buttati nella mischia.
Ma la vera novità sono alcune regole peculiari, decise dai followers, che la allontano dallo sport convenzionale per accostarla più ad uno show. Ad esempio, ogni squadra ha la possibilità di accedere a bonus speciali attraverso carte specifiche, come un rigore-shootout a favore, un gol che vale doppio o la superiorità numerica per due minuti. Inoltre, i presidenti commentano in diretta le partite sui propri canali, scambiandosi provocazioni e sfottò mentre le squadre giocano. Una grande abbuffatadi novità in un modello di intrattenimento continuo, spasmodico, pensato per incatenare l’attenzione di uno spettatore altrimenti indolente, annoiato e facilmente distraibile.
Uno spettatore abituato all’apatia convulsiva dello stimolo continuo, dei reels e dei tiktoks, che ha bisogno di uno spettacolo martellante, dai ritmi veloci e dai colpi di scena teatrali. A tre settimane dall’esordio, l’impatto è stato devastante, con numeri impressionanti soprattutto nella giornata della finale di Supercopa tra Barcellona e Real Madrid, in cui la Kings League è riuscita comunque a registrare picchi da 1,3 milioni di spettatori. Il presidente della Liga, Javier Tebas, lo ha definito letteralmente un circo.
Ed in effetti per certi aspetti somiglia ad una versione caricaturale del calcio, un po’ come lo è il wrestling della boxe: basti pensare ad Aguero che si presenta vestito da pagliaccio o al presunto giocatore professionista in campo con una maschera da lottatore messicano per non farsi riconoscere dal suo club. Ma altre novità – come il microfono del VAR aperto a tutti – farebbero meglio a far drizzare le orecchie di Tebas, che naviga in cattive acque ed è impantanato in un immobilismo cronico.
Già alla prima giornata, la Kings League ha fatto più ascolti di tutte le partite della Liga, eccezion fatta per Real Madrid e Barcellona.
Visti i presupposti, la convivenza pacifica tra la Kings League ed il calcio convenzionale sembra già una chimera. Ma non per tutti: in fondo, si tratta di prodotti differenti come impostazione. «Sono due cose molto diverse» spiega il giornalista Siro Lopez, da qualche tempo diventato anche streamer di successo, che rifiuta una visione manicheista. «Ci dimentichiamo che il calcio nasce come uno spettacolo, nonostante spesso ci si rinunci. Nell’ultimo secolo, nel calcio si sono introdotti solo i cartellini e il VAR, c’è un conservatorismo terribile. I tifosi cambiano, ma il calcio no».
La Kings League ha invece nella costante – quasi forzata – dinamicità il suo punto forte. Dinamicità che ha attirato gli interessi di parecchi sponsor, al momento l’unica iniezione di liquidità di cui dispone la lega, visto che i diritti TV non esistono (i match vanno in diretta su Twitch) ed i biglietti per le partite non sono in vendita. Infatti, si entra solo se invitati dalle squadre partecipanti: essendo probabilmente ancora una fase embrionale del progetto, l’idea è quella di attirare interesse attraverso l’esclusività dell’evento.
Il Rey Misterio della Lega dei Re, pronto per i suoi numeri
Per il momento quella della ‘Cupra Arena’ (il luogo di Barcellona dove si gioca) è un’atmosfera da teatro, con spettatori timidi e poco coinvolti, più concentrati a seguire la diretta su Twitch che la partita stessa. È proprio questo il target della Kings League: quella ‘generazione Z’ che si affaccia ora al mondo dello sport, che riterrebbe il calcio tradizionale antidiluviano, poco attrattivo per chi è abituato fin dalla nascita alle continue sollecitazioni dello smartphone. Per loro è pensata la Kings League.
Guarda caso, quello delle nuove generazioni è stato un tema più volte battuto anche da Agnelli, Florentino Perez e tutti i promotori della Superlega. I due progetti divergono, certo, ma si somigliano per la voracità con cui vorrebbero accaparrarsi questo pubbliconuovo, con tutti i soldi che si porta dietro. Due facce della stessa medaglia, quella della massimizzazione del profitto attraverso lo spettacolo, con lo sport che si trasforma in un puro prodotto di consumo artificiale. Un prodotto perfetto – a loro dire – per salvare le nuove generazioni dall’aridità della noia, dallo squallore della lentezza.
Certo alla generazione Z potrà piacere più un incontro di quaranta minuti in cui può succedere di tutto tra gol, teatrini, travestimenti e sorprese continue. E la Kings League potrebbe fare da apripista per questo filone nuovo, ibrido e dinamico come il suo pubblico – o magari tra sei mesi nessuno ne parlerà più e finirà nel dimenticatoio, scartato dagli stessi giovani, già sazi e di nuovo abulici. In fondo gli ultimi anni ci stanno dicendo che tanti progetti, fallimentari o meno, stanno ruotando intorno al calcio. Per provare a modificarlo, alcuni a snaturarlo, tutti per renderlo più appetibile ai consumatori.
Ma la realtà è che forzare la spettacolarizzazione del calcio non necessariamente ne aumenta il seguito.
Il calcio è lo sport più seguito ed amato del mondo non perché è spettacolare – anzi quasi mai lo è – ma perché è un’espressione di identità collettiva, di emozioni condivise, e soprattutto racchiude in sé il demone dell’imprevedibilità. Il calcio per citare Eduardo Galeano è l’arte dell’inganno, sguscia tra le grinfie di chi lo vuole incatenare. Ridurlo ad uno show o ad uno ‘sport-entertainment’ come il wrestling, e come vorrebbe essere la Kings League, non fa altro che soffocarlo, sedandone la vera anima. Come un leone ammaestrato, addestrato alla sola cosa che conta: intrattenere.
La vita di Saúl Ñíguez è un diario pieno di dolore, rivincite e finali perse. A 22 anni però sembra già pronto per aggiungere pagine nuove e decisive alla sua carriera.