Calcio
07 Settembre 2017

L'essenza della tecnica

Il VAR è ormai entrato nella realtà del nostro calcio. Perché supportarlo, anziché detestarlo.

Le prime due giornate del campionato di Serie A appena cominciato saranno ricordate anche come le prime in cui la classica e italianissima polemica del lunedì sugli errori arbitrali è stata arricchita di un nuovo ingrediente: la polemica sugli errori del VAR (Video Assistant Referee), la moviola in campo recentemente introdotta in via sperimentale in Serie A e Bundesliga con la benedizione del neo-presidente della FIFA, Gianni Infantino. Richiesta pluri-decennale di tutti i bar sport del Belpaese, la possibilità per gli arbitri di fare ricorso all’aiuto del replay (o vederselo imposto) in determinati casi “gravi” non ha mancato di alimentare ulteriori polemiche e di incorrere nelle dure contestazioni di allenatori e giocatori che si sono trovati a “subire” gli effetti di questa novità. Se lo sfogo di Gianluigi Buffon, vistosi assegnare contro due rigori in due partite con l’ausilio del VAR, e di Eusebio Di Francesco, che ha al contrario recriminato il mancato utilizzo del VAR in Roma-Inter sul contatto Skriniar-Perotti, si possono comunque derubricare a esternazioni estemporanee, frutto anche di una foga post-gara che lascerà certamente spazio a maggiore serenità nei prossimi giorni, al VAR e, più in generale, all’utilizzo della tecnologia in supporto alla terna arbitrale sono state mosse anche critiche e stroncature spietate da diversi appassionati, timorosi che “la cosa più importante delle cose meno importanti” (Arrigo Sacchi) venga rovinata per sempre da questa presenza invadente.

Al minuto 82' dell'ultimo Clasico tra Barcellona e Real Madrid l'arbitro Bengoetxea è protagonista di un clamoroso errore arbitrale che porta all'espulsione di Cristiano Ronaldo. In precedenza, aveva anche assegnato un rigore molto dubbio al Barcellona per un presunto fallo su Suarez. Sulla carta, il VAR avrebbe potuto giudicare facilmente entrambe le situazioni.
Al minuto 82′ dell’ultimo Clasico tra Barcellona e Real Madrid l’arbitro Bengoetxea è protagonista di un clamoroso errore arbitrale che porta all’espulsione di Cristiano Ronaldo. In precedenza, aveva anche assegnato un rigore molto dubbio al Barcellona per un presunto fallo su Suarez. Sulla carta, il VAR avrebbe potuto giudicare facilmente entrambe le situazioni.

In effetti, è molto probabile che siamo di fronte ad una svolta epocale, uno di quei momenti storici di cui si potrà cogliere l’effettiva portata solamente a distanza di diverso tempo. L’introduzione della tecnologia all’interno dell’effettivo svolgimento di una partita di calcio potrebbe rappresentare un punto di rottura di portata almeno equivalente all’introduzione delle sostituzioni a partita in corso (datate 1965-66 nel campionato italiano) o alla sentenza Bosman (1995) che liberalizzò pressoché completamente l’utilizzo di stranieri nelle squadre europee. Per questo motivo, nel difendere o attaccare questo strumento, è bene utilizzare un approccio “generale” al problema, evitando di focalizzarsi sui singoli casi di utilizzo e mancato utilizzo, sul gol del Benevento annullato al 97′ o sul mancato rigore su Simeone in Inter-Fiorentina. Chi ci ha provato è stato, in questi giorni, Massimo Fini, impareggiabile polemista dalla penna aggressiva e sempre sagace nella marea di temi che ha trattato nel corso della sua lunga carriera. Fini ha notevolmente ampliato lo spettro delle critiche al VAR, andando a colpire lo smodato utilizzo della tecnologia nella moderna società occidentale, descrivendolo come la grande malattia dei nostri tempi. Nel far questo ha ripreso uno dei grandi temi della filosofia del Novecento, il dominio della tecnica sull’uomo che ne voleva essere l’utilizzatore, ma che finisce per essere da essa utilizzato. Si tratta, in fondo, di uno dei timori nascosti più profondi dell’uomo alle prese con la Modernità – quello di finire sostituito dalla macchina che prima comandava – trattato anche da una vasta letteratura e cinematografia distopica. In questo caso, il tema è stato applicato al calcio e alle diatribe odierne sulla moviola in campo: contro il VAR, la paura di veder profondamente modificato e rovinato lo sport più bello del mondo a causa dell’automazione. Non più emozioni e finali al cardiopalma, ma solo il freddo cinismo del replay, che non ammette alcun romanticismo, neppure quello di un pareggio all’ultimo minuto nella prima partita casalinga in Serie A della propria storia, come capitato proprio alla neo-promossa Benevento.

Il ricorso al VAR può essere richiesto direttamente dall'arbitro, oppure può essere segnalazione degli assistenti al monitor nel caso di una decisione "chiaramente sbagliata".
Il ricorso al VAR può essere richiesto direttamente dall’arbitro, oppure può essere segnalato dagli assistenti al monitor nel caso di una decisione “chiaramente sbagliata”.

Chi ha introdotto il VAR è dunque ritenuto responsabile della cancellazione dell’ultima parvenza di sacro nella moderna società occidentale, incarnato oggi solamente nel gioco del calcio. La conclusione di Fini è perentoria: siamo entrati in Blade Runner. Adesso, al posto del sacro c’è la tecno e l’economia. Il VAR e Neymar. E così il nostro grande giocattolo andrà fatalmente, e sia pur lentamente, a morire. Come nel 1982 quando fu introdotto il terzo straniero. Andate a dar via i ciapp, come disen qui a Milan. Come detto sopra, l’analisi di Massimo Fini ha indiscutibilmente il merito di allargare il discorso a un ampio spettro di questioni fondanti della nostra epoca e di non rimanere chiuso all’interno dello spazio angusto della polemica da Sky box, di quella discussione infinita sui centimetri di un fuorigioco o la volontarietà di un tocco di mano che Gianluigi Buffon ha giustamente definito “calcio da laboratorio” per distinguerlo dal calcio vero, che si nutre di passione sugli spalti e di agonismo sul campo, entrambe cose che nulla hanno a che vedere con le interminabili moviole a cui ci hanno abituato le pay-tv. Tuttavia, ad avviso di chi scrive, bisognerebbe fare attenzione a non trasformare i legittimi dubbi nei confronti di uno strumento in fase di sperimentazione – che sta avendo risultati altalenanti, alternando precisi e veloci utilizzi a grande lentezza e confusione – in una crociata contro il progresso tecnologico e le macchine dal sapore vagamente neo-luddista. Non si può far finta, infatti, che dalla nascita delle leghe ufficiali che hanno istituzionalizzato il gioco del calcio non siano passati oltre cento anni, in cui fuori dal campo è cambiato tutto. E non si può ignorare il dato di fatto che i mutamenti fuori dal campo per forza di cose hanno finito e finiranno per influenzare ciò che succede dentro al campo, anche a livello di regolamento. I mitici anni Ottanta e Novanta, spesso considerati l’età dell’oro del gioco del calcio in Italia, sono stati tali perché inseriti all’interno di un contesto che li ha permessi, all’interno di un modello di società, di un paradigma umano che oggi è, volenti o nolenti, profondamente mutato. Che ci piaccia o meno, le tecnologie che consentono gli infiniti ed approfonditi replay di ogni singola azione avvenuta in campo non spariranno, e con esse non verrà meno quel guasto clima di polemica arbitrale senza fine che ha indotto molti sinceri amanti del calcio a invocare la prova TV, almeno una volta nella vita, contro un errore che ha danneggiato la propria squadra. La polemica contro l’arbitro c’è sempre stata, ma non c’è sempre stata la possibilità tecnica di dire con assoluta certezza che l’arbitro ha preso una cantonata terribile, tale da falsificare il risultato di una partita.

Tra i maggiori sponsor internazionali dell'introduzione del VAR c'è Gianni Infantino, dirigente sportivo italiano naturalizzato svizzero, presidente della FIFA dal 26 febbraio 2016. La sua elezione ha rappresentato una svolta decisiva nella direzione della moviola in campo rispetto al suo predecessore, Sepp Blatter.
Tra i maggiori sponsor internazionali dell’introduzione del VAR c’è Gianni Infantino, dirigente sportivo italiano naturalizzato svizzero, presidente della FIFA dal 26 febbraio 2016. La sua elezione ha rappresentato una svolta decisiva nella direzione della moviola in campo rispetto al suo predecessore, Sepp Blatter.

Indietro dunque non si può tornare, ma non è detto che il futuro debba essere per forza di cose quello di un calcio governato dai robot, dominato da un Big Brother che tutto vedrà e tutto giudicherà con l’inflessibilità dell’algoritmo. Contro ogni tipo di cinico e debilitante fatalismo, molto dipenderà invece da noi, da noi coinvolti per tifo, passione e lavoro in quello che è tuttora ben più di uno sport. Le voci che, da più parti, si sono alzate in questi giorni con una critica costruttiva nei confronti del VAR hanno già suggerito notevoli modifiche all’attuale regolamentazione, che vanno proprio nella direzione di limitare il peso e le pretese della tecnologia all’interno del campo. Di fronte, abbiamo un obiettivo importante e perfettamente raggiungibile: circoscrivere il raggio d’azione del VAR in maniera netta e precisa, intervenendo a monte della regolamentazione e abbandonando da subito l’assurda e prometeica pretesa di eliminare l’errore arbitrale in assoluto, in vista del ben più ragionevole scopo di ridurre gli errori per numero e portata. Una possibilità sarebbe limitare l’uso del VAR a un numero definito di “chiamate di parte” a discrezione dei due allenatori, seguendo l’esempio di altri sport a cui il calcio dovrebbe imparare a rapportarsi mantenendo la sua specificità, ma scendendo un po’ dal piedistallo dove a volte tende a porsi. Ciò consentirebbe sia di assoggettare il VAR alle scelte dei tecnici, il cui ruolo assumerebbe un ulteriore rilievo (come fu d’altra parte al tempo dell’introduzione delle sostituzioni a partita in corso), sia di non mettere la testa sotto la sabbia mentre tutto cambia, sperando (invano) che il nostro amato calcio ne rimanga illeso come per magia.

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