Cronaca clamorosa e stupefatta dall'ultimo Palio di Siena.
Che il Palio a Siena duri tutto l’anno non è solo un modo di dire, ma forse il concetto può risultare retorico e scivoloso a chi non conosca a fondo le dinamiche di contrada. Diciassette rioni lavorano dodici mesi organizzando eventi, raccogliendo fondi, stringendo legami con nuovi e vecchi alleati, seguendo fantini e cavalli. E questa rimane solo una parte della moltitudine di elementi che rendono la festa il valore fondante della città toscana, a cui si aggiungono quantomeno il sentimento identitario e il senso di attesa e aspettativa che accompagnano costantemente ogni contradaiolo.
Più facile da intendere, invece, come l’evento non possa certo esaurirsi nel minuto e mezzo scarso di gara equestre e che i giorni immediatamente precedenti facciano pienamente parte del gioco. È sempre opportuno, infatti, tenere a mente che il Palio non è uno sport (nonostante il Washington Post l’abbia recentemente definito come l’evento sportivo migliore al mondo) e non è una corsa: è un gioco. Un gioco fatto di tecnica, forza, strategia, astuzia e politica. Oltre che di una quantità enorme di fortuna.
Il suo primo atto ufficiale, quello in cui tutti gli elementi iniziano la loro danza entropica volta a scompaginare gli effimeri piani elaborati dai dirigenti di contrada è la tratta. Ovvero l’evento in cui, quattro giorni prima della gara, i cavalli vengono casualmente estratti e assegnati a una contrada. Nel lotto dei dieci (solo dieci contrade su diciassette gareggiano ogni palio), scelti dopo settimane di prove e riflessioni, sono più o meno chiaramente individuabili i soggetti più forti e quelli più deboli. Dunque, in attesa che le previsioni vengano sovvertite, questo è il primo momento in cui una contrada può gioire o rammaricarsi per l’andamento della sua festa.
Quando il 13 agosto 2024 Chiocciola, Oca, Istrice, Selva, Valdimontone, Onda, Nicchio, Leocorno, Civetta e Lupa si sono presentate in Piazza del Campo per ricevere il proprio barbero, l’ultima citata non ha di certo esultato. L’assegnazione di Veranu al Valdimontone e di Tabacco (vincitore a luglio per l’Onda) alla Selva, due dei cavalli teoricamente più quotati, non hanno certo fatto male quanto la consegna di Viso d’Angelo all’Istrice. Il baio anglo-arabo è finito proprio tra le mani della rivale della Lupa, i cui contradaioli, in un istante, si sono figurati un preciso e terribile scenario nella mente.
Grazie a Viso D’Angelo, anch’esso tra i favoriti, per l’Istrice sarebbe stato facile attirare le attenzioni di Giovanni Atzeni detto Tittia, il fantino più forte e titolato tra quelli in attività, vincitore di cinque palii consecutivi tra luglio 2019 e luglio 2023, dieci in totale, a soli quattro trionfi dall’eguagliare il record assoluto di Aceto. Sostanzialmente, già una leggenda. L’anno scorso su queste pagine parlavamo dello strapotere mistico che il fantino sardo esercita sul gioco e a distanza di dodici mesi nulla è cambiato: è lui che tira la maggior parte dei fili, che ha il potere di piegare a sé alleati e rivali, di dominare il destino. Con il suo cavallo preferito del lotto a una contrada a lui amica, l’accoppiata era sostanzialmente già composta.
Leggi, approfondisci, rifletti. Non perderti in un click, abbonati a ULTRA per ricevere il
meglio di Contrasti.
Per la Lupa, che si è dovuta accontentare dell’esordiente Benitos, si preannunciavano giorni difficili. Mentre il valzer dei fantini distribuiva i migliori cavalieri alle contrade con i cavalli più quotati (Brigante all’Oca, Scompiglio al Valdimontone, Andre Sanna alla Selva, Tittia all’Istrice), alla contrada bianconera non rimaneva che puntare a un palio in difesa. Ovvero un palio in cui l’obiettivo non è vincere, ma fare perdere la rivale. Impresa non facile quando l’avversaria è la favorita assoluta, con un fantino la cui mistica (nonostante due Palii a digiuno) sembra precederlo come un’aura e per cui la sorte sembra avere un debole particolare.
Per farlo la Lupa sceglie di affidarsi a Dino Pes, fantino di culto in provincia che però sul tufo più pregiato non ha mai trionfato. Anzi, ha corso solamente 8 volte (meno delle vittorie di Tittia, per intenderci) e l’ultima volta nel 2017. A 44 anni Velluto, questo il suo soprannome, probabilmente è l’unico a conservare ambizioni di vittoria, mentre il rione di Vallerozzi sembra sceglierlo proprio perché ormai slegato dal sistema di intrighi e rapporti con i cui i fantini giocano al Palio, che portano spesso a tradire la contrada che li ha scelti in virtù di interessi personali. Il Pes non ha favori da restituire, non ha partiti e discussioni da aprire per il futuro.
Insomma, è difficile che possa vendersi a qualcuno. Il suo obiettivo coincide perfettamente con quello della Lupa: non fare vincere l’Istrice.
Il 17 agosto, dopo un palio rinviato per pioggia (è accaduto anche a luglio, segnando un doppio rinvio luglio-agosto che non accadeva da 155 anni), alla lettura dell’ordine al canape, sorteggiato casualmente e fondamentale per l’esito della gara, le cose per la Lupa paiono mettersi subito male. Il mossiere, figura plenipotenziaria che ha facoltà di validare o invalidare la partenza a sua discrezione, chiama per prima l’Onda. Il criterio è semplice: più si è vicino allo steccato, meno sarà la strada da compiere; dunque, si avrà un piccolo vantaggio sulle rivali. Al momento di chiamare la seconda contrada, la festa inizia a recitare lo stesso copione che leggiamo da quattro anni a questa parte, con Tittia che non è solo il fantino più forte e ambito, ma a cui tutto gli va dannatamente bene: il mossiere chiama l’Istrice.
LA CORSA
Per i contradaioli della Lupa è quasi un dramma, il destino già avverso sta scivolando nel tragico. Eppure, come spesso accade, la sorte gioca con l’animo umano e pone improvvisi ribaltoni quando tutto sembra perduto. La Lupa è la terza al canape, Piazza del Campo esulta. Quella fortuna che ancora una volta aveva sorriso incredibilmente al Tittia ora gli pone la rivale proprio a fianco. La situazione peggiore per l’Istrice, la migliore per la Lupa, che può direttamente fiaccare l’avversaria, in prima persona, senza equilibrismi o la necessità di stringere accordi con altre contrade. Lo scenario si inasprisce ulteriormente quando Valdimontone e Nicchio, anch’esse nemiche, vengono estratte in ottava e nona posizione, e tra loro si attiva la stessa dinamica, con Tamurè (Nicchio) che dà subito cerca di disturbare il più quotato Scompiglio (Valdimontone).
Come previsto, la mossa diviene presto bellicosa, con i cavalli che escono e rientrano più volte dai canapi. I fantini dialogano tra loro, si rivolgono alla Civetta di rincorsa (che può dunque innescare la partenza) per ottenerne i favori, il mossiere cerca di mettere ordine in un contesto obiettivamente complesso da gestire. Istrice e Valdimontone cercano di liberarsi delle avversarie, che non sembrano avere altro interesse se non ostacolarli. Selva e Oca provano a rimanere calme, a mantenere i rispettivi cavalli comodi, a pazientare, consapevoli che ogni minuto che passa innervosisce i barberi e aumenta la confusione alla partenza.
Un contesto che dunque diviene gradualmente favorevole per le contrade sulla carta meno quotate, con la pressione che si sposta sulle favorite, desiderose di una mossa rapida che non alteri la condizione psicofisica di cavalli e fantini. Alla Lupa, invece, questo palio di logoramento non dispiace affatto. Mentre l’Istrice si arrabatta cercando di sbrogliare la matassa di una partenza che si fa attendere da quasi mezz’ora (provando per esempio a partire da una posizione che non è la sua, liberandosi così del fastidio della rivale), Velluto guadagna certezze, riconosce che i piani stanno saltando e che nessuno può più esercitare alcuna forma di controllo sulla mossa.
Dopo anni di vittorie e buone prestazione a Legnano, Fucecchio e tante altre carriere di provincia, la Conchiglia di Siena l’aveva dimenticato, abbandonandolo nello spietato refrain di fantini, costretti a dimostrare sempre qualcosa per non essere esclusi velocemente dal giro dei dieci. Il problema che anche il più abile dei cavalieri è soggetto agli infiniti imprevisti che un gioco inafferrabile come il Palio pone loro di fronte. Ma proprio in virtù di questa assoluta casualità, per novantanove volte in cui il gioco toglie, c’è una centesima in cui, finalmente, senza alcuna logica o criterio, restituisce.
Leggi, approfondisci, rifletti. Non perderti in un click, abbonati a ULTRA per ricevere il
meglio di Contrasti.
La mossa è ormai più che matura, è anzi vicina ad andare a male. Calci, spintoni, nerbate, insulti, cadute, posizioni saltate. Si deve partire, al più presto, per evitare incidenti. A questo punto l’allineamento dei nove cavalli, più quello di rincorsa, assume le sembianze di un elemento al cui interno gli atomi si muovono all’impazzata. Prevedere chi partirà bene, dall’interno e dall’esterno, è impossibile. Sarebbe come lanciare per aria dieci fili di fieno e provare a scommettere quale toccherà per primo terra. Siamo al trionfo dell’imponderabile, alle soglie di un attimo, di una frazione di secondo in cui tutto può succedere.
Così la Lupa, dopo giorni in cui ha pensato a come ostacolare l’Istrice, dopo una lunga mossa in cui ha fatto di tutto per fiaccarlo, quando il canape di abbassa si trova in prima posizione. E scappa via. A questo punto, a dire il vero, si srotola una gara piuttosto banale: i cavalli, quasi fossero cloni uno dell’altro, si equivalgono totalmente, impedendo ai fantini, anche loro perfetti nelle scelte delle traiettorie, di effettuare rimonte o sorpassi significativi. Si distinguono forse Gingillo, con la Chiocciola, e l’esordiente Andrea Sanna, detto Virgola, per la Selva, che guadagnano un podio consolatorio. Il livello di entropia, dopo una mossa delirante, sembra essersi azzerato: nessuna caduta, nessun ribaltone.
Velluto, Benitos e la Lupa galoppano sul tufo con la leggerezza dell’impossibile, che in quanto tale non ha alcun dovere di verificarsi. Eppure, è proprio Dino Pes, alla fine del terzo giro, ad alzare il nerbo al cielo, è lui a entrare in Duomo da vincitore del Palio dell’Assunta 2024. Un esito che francamente nessuno avrebbe mai pronosticato, un risarcimento clamoroso per il fantino sardo.
A Siena, Velluto esordisce a 20 anni con giubbetto della Giraffa, con cui corre anche i due Palii del 2001. Fino al 2004 è a cavallo, ma dopo la terza caduta consecutiva, le dirigenze lo accantonano per 13 anni. Nel frattempo, corre in giro per l’Italia, e vince. Nel luglio 2017 è il Leocorno a richiamarlo sul tufo. Anche questa volta c’è da ostacolare la rivale, favorita, e porta a buon fine il suo compito. Ma dopo quel Palio nuovamente l’oblio, fino a pochi giorni fa. Con i colori della Lupa strappa una vittoria storica, la più clamorosa degli ultimi anni, sia per anzianità (a 44 anni, nella storia, hanno vinto solo altri cinque fantini) che per valori (ipotizzati) sul tufo.
Una vittoria che non solo consacra nuovamente il Palio come regno dell’imponderabile, ma che ben evidenzia come la competizione viva ben oltre la corsa in sé. La costruzione di significati che i contradaioli hanno cucito intorno all’evento fanno sì che esso inizi prima della gara e non si esaurisca per settimane, mesi oltre la sua fine, trasportando la sua energia mistica oltre i confini del gioco. La Lupa ha sofferto per giorni in virtù della rivalità con l’Istrice, ogni contradaiolo ha generato un’infinità di scenari immaginati, si è figurato un’eterogenea batteria di previsioni, che moltiplicata ed estesa per tutti i membri di tutte le contrade hanno dato vita a mondi potenziali, a possibili esiti che nella loro immaterialità hanno pure vissuto, fino ad asciugarsi nel risultato esattamente opposto a quello pronosticato.
Dunque, nella sua iperbolica simbologia, il Palio, questo agosto si è forse espresso al massimo della sua capacità generativa. Attesa, aspettative, ansia, impegno, immaginazione, strategia, follia. E infine gioia per una delle dieci, delusione per le altre. Tutto questo ha coesistito per giorni, per poi sciogliersi proprio nella corsa, dimostrando che per quanto fondamentale essa può essere solo un’appendice. Ciò che il Palio da secoli ci invita a godere è la metafora della vita che riesce a mettere teatralmente in scena. Una recita che rinnova l’eterno paradosso per cui la realtà può rivelarsi più assurda della fantasia, che l’esistenza è in fondo insensibile a qualsivoglia previsione ed è sempre pronta mettere parole dove avevano immaginato silenzi, meravigliosi trionfi quando ormai nessuno, ma proprio nessuno, ci sperava più.