Storia e mitologia del Palio di Siena, prima e dopo Giovanni Atzeni.
Un aspetto divertente del reticolo semantico che avvolge la nostra lingua, soprattutto nelle declinazioni dialettali, è che lascia aperta la porta alla suggestione. Grazie ad essa ci possiamo permettere fantasie più o meno legittime sull’origine di alcune espressioni o modi di dire. C’è un’ipotesi linguistica, per esempio, che riguarda la parola sarda tittia e la sua origine onomatopeica. Potrebbe essere il suono che si produce con i denti, i quali sbattono tra loro quando si ha freddo: tititi. Che in qualche assolato entroterra sardo, dove col freddo si ha poca complicità, si sia arrivati a indicare con un verbo l’azione di sbattere i denti, rapidamente, gli uni con gli altri? Tittiare. Da qui, la declinazione alla terza persona singolare, egli tittia. Lui sbatte i denti, lui ha freddo. E poi, come sintesi di una sensazione che si condensa nel brivido di un attimo, dall’azione si è passati all’esclamazione: tittia! Che freddo!
Lo stesso commento che Giovanni Atzeni (1985) si è lasciato scappare quando, nemmeno diciottenne, lasciò l’isola dov’era cresciuto – non nato, il padre si era trasferito in Germania, dove ha trovato lavoro e moglie, salvo poi ritornare in Sardegna – e arrivò dalle parti di Siena. Qui Luigi Bruschelli detto Trecciolino, il fantino in attività con più Palii conquistati (13), aveva invitato il ragazzo ad allenarsi con lui. Era un fantino talentuoso, bisognava diventasse un campione. E chi meglio del re della piazza per crescerlo?
Quando arrivi per la prima volta a Siena e di mestiere fai il fantino devi stare attento. Come ogni festa, soprattutto medievale, anche il Palio si basa su uno statuto d’eccezionalità che cerca in tutti modi una legittimazione interna. Prova in sostanza a creare un mondo altro, con regole e principi differenti da quello reale. E ogni mondo, come ogni cosa che esiste, esiste perché ha un nome. Ne consegue che tutto a Siena assume un’espressione propria: il cavallo si chiama barbero, la corsa carriera, la sfilata che apre l’evento passeggiata. E gli esempi sarebbero moltissimi.
Allora i fantini, che insieme al cavallo si spartiscono i maggiori onori della festa, non possono certo passare alla storia con il loro nome di battesimo. Così, appena arrivati in città, oppure una volta messi sotto contratto per la prima volta da una contrada, viene affidato loro un soprannome che gli rimarrà attaccato per sempre. Un artificio linguistico che costruisce intorno a chi lo porta un’identità nuova, scovata dal gruppo in pochi giorni, solitamente ancorata a una caratteristica fisica o morale, a una provenienza o una discendenza particolare.
A Giovanni Atzeni bastò dunque provare freddo quel giorno, e manifestarlo, per diventare Tittia. Un soprannome che ha portato addosso in tutti e 36 i Palii corsi, di cui 10 vinti. Davanti a lui una manciata di fantini, guidati da Andrea Degortes detto Aceto (14 vittorie) e da Gigi Bruschelli detto Trecciolino (13 vittorie). Il suo maestro, che ancora ambisce al record assoluto, anche se ormai pare troppo tardi. Ironia del destino – e nel Palio molto, praticamente tutto, si gioca attorno al fato e al suo misterioso disegnarsi – è stato proprio Tittia a spegnere le ultime possibilità del maestro di diventare il fantino più vincente di sempre. Ora è Atzeni ad ambire a un obiettivo quasi impossibile da raggiungere. Dopo vent’anni a Siena, Tittia non ha più freddo. Con i cinque trionfi negli ultimi cinque Palii è probabilmente l’uomo più a suo agio sul tufo di Piazza del Campo. Di certo è il più ambito dalle contrade, che sperano di aggiudicarselo e aiutarlo, con una vittoria, ad avvicinarsi alla storia.
Meccanismi e funzionamento del Palio
Per riuscire a raggiungere lo status di grande fantino, ricercato da tutti e libero dall’angoscia di trovare una monta per il palio più importante del mondo, serve ovviamente vincere. E per vincere è necessario essere forti a cavallo, ma altrettanto abili a piedi. Il Palio non è uno sport, non è una corsa: è un gioco. Un gioco fatto di tecnica, forza, strategia, astuzia e politica. Oltre che di una quantità enorme di fortuna. È inutile quindi affidarsi a principi come lealtà, correttezza o sportività.
Durante la carriera quasi tutto è concesso – frustate agli avversari, tentativi di ostacolare uno e favorire un altro – e anche fuori dal campo i massimi dirigenti delle contrade possono favorire i propri interessi offrendo soldi o favori a tutti gli attori in gioco. Questi soldi, principalmente, vengono raccolti in contrada durante le attività che tutto l’anno vengono portate avanti. Non va infatti dimenticato che, prima di tutto, il Palio è la festa delle contrade, ovvero realtà nate nel 1500 (se non prima) come cooperative di mutua assistenza e che anche oggi, con metodi e soluzioni differenti, non hanno poi cambiato di molto struttura e funzione. Per questo a Siena, e in tutte le città in cui il Palio è sentito, si dice che “il Palio è tutto l’anno”. I giorni della corsa (2 luglio e 16 agosto) sono solo la punta di un’attività che non si ferma mai.
Durante l’invernata, i priori delle contrade elaborano varie tattiche in vista delle due carriere, valutando principalmente il budget a disposizione e i rapporti allacciati con i migliori fantini distintisi nelle gare precedenti. Per quanto riguarda i cavalli, invece, essi vengono estratti a sorte quattro giorni prima del Palio in un evento chiamato tratta, dove ad ogni contrada viene assegnato un barbero. Essi rientrano in un lotto di dieci animali, dove sulla carta si possono chiaramente individuare i più forti e i più deboli.
Ovviamente le previsioni, come in ogni realtà, possono essere sovvertite. Da un esordiente particolarmente dotato, per esempio; oppure da un cavallo che improvvisamente vive un calo di forma; o da un altro che trova finalmente la via per esprimersi al meglio. Dunque, le strategie dei capitani, per frutto del caso, possono poi prendere varie direzioni a seconda del cavallo capitato in sorte: puntare alla vittoria (se si ha un cavallo forte) o, nel miliardo di sfumature possibili, provare a sfavorire la rivale, aiutare qualcuno che lo chiede, correre da soli sperando nel ribaltarsi dei pronostici, e così via.
Per quanto le reggenze si sforzino di ridurre al minimo i rischi e rendere la competizione il più controllabile possibile, questi tentativi sono resi sostanzialmente vani dalla sorte, che a più riprese prova a mischiare le carte.
Innanzitutto, solo 10 delle 17 contrade scendono in Piazza per la carriera. 7 corrono di diritto, mentre le altre 3 vengono sorteggiate un mese prima della festa. Quindi non è detto nemmeno di avere la possibilità di mettere in pratica le trame intrecciate solo in potenza. Il cavallo capitato in sorte, di cui abbiamo già parlato, e la volontà del fantino sono due variabili importanti. La determinazione ad andare in una contrada piuttosto che nell’altra e, soprattutto, la fermezza di rispettare la parola data e i piani di gara. Nell’ordine paradossale del Palio è infatti del tutto contemplabile che il fantino tradisca i propri colori. Ne deriva che il rapporto tra la città e i professionisti sia molto controverso. Nonostante i buoni rapporti che si vengono ad intrecciare, come detto la scelta del fantino avviene infatti solo in seguito all’assegnazione del cavallo.
Una volta stretto l’accordo, i fantini vengono presi in consegna da degli uomini della contrada. Sia lui che il cavallo per tre giorni vivono e dormono con i rispettivi guardiani, ma le attenzioni sono di stampo differente. Mentre il cavallo si ritrova tra le cure maniacali dei contradaioli, coccolato e sacralizzato, benedetto dal prete in chiesa, il fantino deve consegnare i telefoni e dimenticare ogni contatto con l’esterno. Si consegna, nemmeno troppo idealmente, a uomini che lo monitorano costantemente per evitare che prenda accordi con altri. Che si venda, in sostanza. Eppure, esiste un momento in cui la sorveglianza viene inevitabilmente meno. Ovvero quando la gara non parte e le contrade vengono fatte uscire dalla zona di partenza per alleggerire lo stress.
In realtà, è la parentesi in cui il sistema dà loro la possibilità di concretizzare strategie, anche sfruttando un borsellino che i capitani gli affidano in gestione proprio per questo istante. Nessuna parola data o rapporto umano potrà però mai garantire ai dirigenti delle contrade che il fantino farà sempre e solo i loro interessi nel corso di tutta la festa. Per questo a Siena i fantini vengono chiamati assassini, anche se di fatto sono più dei mercenari.
Infine, l’ultima e più temuta occasione in cui il caso si inserisce nella competizione è il sorteggio dell’ordine di partenza. Esso viene dettato dalla sorte e scritto su un foglio di carta, poi inserito in una busta e affidato a un vigile. Tenendo la busta in mano egli attraversa il campo e la consegna al mossiere. Il mossiere è la figura in giacca e cravatta incaricata di dare il via alla corsa nel momento più opportuno, ovvero quello in cui tutti i cavalli sono allineati nell’ordine stabilito. Esso si rivelerà importante, se non decisivo, per l’esito della gara.
Chi è più vicino al perimetro interno della pista risulta favorito, in quanto dovrà fare meno strada; chi parte per ultimo, di rincorsa, dovrà invece percorrerne di più, ma avrà il vantaggio di determinare la partenza una volta che gli altri cavalli sono allineati. Ma, soprattutto, essere lontano o vicino da rivali o alleate, a seconda delle intenzioni e necessità, fa tutta la differenza del mondo.
Nei secoli sono infatti sorti vari contrasti tra le contrade, spesso per problemi di confine, episodi accaduti durante la corsa, oppure diverbi personali. Fratture a volte sanate, subito o con gli anni. In altri casi sono invece degenerate in aspre antipatie. Attualmente si distinguono le rivalità tra Oca e Torre, Chiocciola e Tartuca, Istrice e Lupa, Aquila e Pantera, Nicchio e Valdimontone, Civetta e Leocorno.
Ad ogni modo, una volta che i cavalli sono disposti nell’ordine corretto e quello di rincorsa innesca la corsa, il mossiere abbassa i canapi e la gara ha inizio. Tre giri di campo, poco più di un minuto, che determinano il cavallo vincitore. E quando non si può o non si riesce a vincere, be’, vedere sconfitta la rivale è un godimento che è più di un palliativo. Vi sarà quindi chiaro che il mondo del Palio è un universo complesso che, alla sua essenza, si regge sull’amore e sull’odio.
La leggenda di Tittia nel segno dell’Oca
Il giorno del Palio le strade di Siena sono deserte. Un viaggiatore che vi arriva per sbaglio potrebbe pensare che tutti gli abitanti siano fuggiti in seguito a un’imprecisata calamità. Si sente solo un’eco, lontana, di chiarine che suonano. Seguendole, a mano a mano, un brusio si fa sempre più distinto. Ai piedi delle case, di tanto in tanto, capita di scorgere uomini, donne o bambini seduti, rannicchiati, mentre stringono al petto un foulard. È il fazzoletto della contrada, che nel centro della città, in Piazza nel Campo, brilla insieme a quelli degli altri nove rioni in gara. Ad ogni modo, nei due giorni più importanti per Siena i suoi abitanti sono solo in due posti: o in Piazza o nei rispettivi manieri, dove si lasciano mangiare dall’angoscia e illudere dalla speranza.
La prima volta che Tittia scende in Piazza del Campo è il 2 luglio del 2003. Da quel momento in poi, solo in una circostanza (luglio 2004) non riuscirà a trovare una monta per la carriera. Un fatto per niente scontato, dal momento che raramente un fantino capisce i meccanismi del gioco prima di cinque o sei anni. Quindi, in questa lunga fase di adattamento bisogna comunque dimostrare il proprio valore, nonostante sia difficile conseguire una vittoria.
In tal senso, Tittia deve molto alla contrada del Nicchio, che gli consente di esordire e gli dà fiducia per ben quattro carriere consecutive. La vittoria, però, non arriverà. All’esordio finisce secondo, dietro alla Selva; un mese dopo la sua gara è compromessa dall’Aquila, che al primo Casato – l’ultima delle curve, tutte diverse per angolatura e pendenza, che compongono la pista – lo prende dentro compromettendone la corsa. Atzeni mostra però la sua abilità e resistenza, rimanendo a cavallo nonostante l’impatto. Nell’agosto 2004 è nuovamente il Nicchio a dargli fiducia. L’estrazione sfortunata gli nega però la possibilità di incidere.
Il luglio successivo rappresenta il limite della pur singolare pazienza del Nicchio. Tittia, di nuovo lontano dallo steccato, viene estratto nono. Questa volta però riesce a ribaltare la condizione sfavorevole e affianca il Bruco, dove il fantino è Gigi Bruschelli, e battagliano per un giro e mezzo. Brento, il cavallo su cui poggia Tittia, è esplosivo. Sembra troppo grosso e troppo potente, ogni falcata è buona per il sorpasso. Il Bruco pare destinato a soccombere, se non fosse che Trecciolino, al secondo San Martino, la curva più temibile, costringe Tittia a una traiettoria interna che lo porta nuovamente alla caduta. Quell’anno il Palio dell’Assunta (agosto) non vede la partecipazione del Nicchio, ma Tittia trova comunque un cavallo, quello della Civetta.
La sua carriera, però, è del tutto anonima.
I successivi palii, in un’altra linea temporale, quella in cui Tittia non è esageratamente sicuro dei propri mezzi, avrebbero potuto rappresentare la fine della sua storia a Siena. A luglio 2006, in seconda posizione con il Leocorno, cade al secondo Casato; un mese e mezzo dopo, con il Bruco, Tittia fa un grande palio recuperando moltissime posizioni da una condizione sfavorevole. Ma l’esito è sempre quello: tentando un sorpasso disperato all’ultimo Casato colpisce la torretta e cade da cavallo, trascinando con sé il Valdimontone e consegnando la vittoria alla Selva. Sono anni dominati da Luigi Bruschelli, che tra il 2001 e il 2012 trionfa nove volte consolidando il suo dominio.
L’anno dopo, però, avviene la svolta. Tittia è un fantino il cui talento è riconosciuto, in questi anni molti hanno puntato su di lui sperando che finalmente riesca a compiersi, a limare i difetti che per ora non gli hanno mai permesso di trionfare. La fortuna non è mai stata dalla sua, ma non può più essere una giustificazione: ora bisogna vincere. E, scelto dall’Oca, la vittoria, incredibilmente, arriva. In modo drammatico, dopo che in partenza Tittia era scappato via, sfruttando l’energia del cavallo Fedora Saura e mettendo un considerevole vantaggio tra sé e i rivali.
Sembra fatta, con l’Oca che vola sul tufo come se stesse gareggiando da sola. Ma nel palio non esistono certezze, la sorte bolle sempre sotto il terreno, in attesa del momento buono per sollevare coincidenze, ironie, beffe, capovolgimenti e storie impreviste. All’ultimo Casato, con Tittia che già pregusta il primo meritato successo, un cavallo scosso si ritrova di traverso in mezzo alla pista.
Tittia per evitarlo è costretto ad allargare la traiettoria, aprendo la via per un clamoroso rientro del Nicchio, guidato da Andrea Mari detto Brio. All’ultimo istante il cencio – questo il nome del drappellone che viene consegnato alla contrada vincente, difatti l’unico premio materiale alla vittoria – sta per fuggire all’Oca, che non se ne appropria dal 1999. Tittia dimostra però che nella lotta tra il destino e l’uomo a Siena si può frapporre un nerbo, ovvero la frusta con cui i fantini incitano il proprio barbero, oppure tengono dietro quelli avversari. Il fantino libra quindi due rapidi colpi che spingono il Nicchio a rallentare e Fedora a guadagnare il mezzo metro necessario a trionfare.
Ora che ha vinto e collezionato diverse buone prestazioni, la narrazione attorno a lui cambia. Nuove e vecchie contrade puntano forte su di lui: Bruco, Oca, Drago e Giraffa. Ma è nuovamente con la contrada bianco-verde che Atzeni trionfa, il 2 luglio 2011. Lo fa su Mississippi, un baio esordiente di sei anni, partendo settimo e dominando totalmente la carriera. Sovvertendo ogni pronostico, Tittia conquista così il suo secondo Palio. Il cencio, realizzato da Tullio Pericoli (ogni anno è diverso l’artista a cui viene assegnata l’opera), celebra l’Unità d’Italia che quell’anno compiva 150 anni. La sorte, ghignando per il suo ennesimo trucco, l’ha affidato all’unica contrada che veste il tricolore italiano.
L’eco degli zoccoli in Duomo
Il passaggio da ottimo fantino a fuoriclasse, per Tittia, avviene nel 2013. A luglio corre di nuovo per l’Oca, per cui viene estratto secondo al canape. Dopo 45 minuti di mossa, la gara parte e un buon numero di cavalli si trovano vicini alla prima curva di San Martino. In molte carriere questa è la curva decisiva: se affrontata con un’ottima traiettoria può consentire a una contrada di recuperare anche molte posizioni; al contrario, se presa male, può portare alla caduta o alla perdita irrimediabile di terreno utile.
Negli anni Tittia è diventato particolarmente abile nel disegnare la miglior traccia possibile, anche giocando sul filo del rasoio. Se l’anno precedente l’azzardo gli era costato la caduta, questa volta Tittia taglia bene a San Martino e si invola verso la curva successiva, dove arriva troppo veloce e rischia di cadere rimbalzando contro le protezioni esterne. Rimane a cavallo, ma la Torre riesce a superarlo. Così Tittia fa quello che ogni fantino che vuole essere protagonista è chiamato a fare, ovvero prendere la scelta più coraggiosa.
Del resto in un minuto e mezzo di gara non esistono decisioni conservative, è sempre tutto o niente. Al Casato l’Oca prova quindi la traiettoria più stretta, così stretta che la Torre nemmeno ha pensato di proteggerla. Tittia riesce però a infilarsi e riguadagnare la testa della corsa, che non lascerà più. In questa occasione Atzeni dimostra, come mai prima, di poter battagliare, di usare il nerbo, di utilizzare anche le mani per bloccare il muso del cavallo scosso che si stava avvicinando troppo.
A questo punto, a Tittia mancano due cose per consacrarsi definitivamente: vincere con una contrada che non sia l’Oca e vincere ad agosto. Il Palio dell’Assunta, pur non avendo nulla di differente da quello Provenzano, è considerato più importante per una ragione: il vincitore viene portato in Duomo, mentre a luglio nella Chiesa di Santa Maria in Provenzano. Il valore simbolico del Duomo è così alto che Tittia, nonostante i dieci anni trascorsi a Siena, non è vi è mai entrato. Aspetta di farlo in groppa a un cavallo il 16 agosto di un qualche anno fortunato. Anno che sarà proprio il 2013.
Nel palio di mezz’agosto Tittia monta Morosita Prima, che a luglio si era resa protagonista di un gran palio pur partendo di rincorsa. Bruschelli, in quella che è una delle sue ultime possibilità di vincere la quattordicesima carriera, è sull’esordiente Oppio. Tutti sono in linea, ma la Selva di rincorsa non vuole partire, aspetta che il Nicchio e Bruschelli abbiano lo spazio che i partiti gli hanno garantito. La strategia è talmente evidente che è poi lo stesso Trecciolino a dare di fatto via alla gara, con la sua nerbata ad azionare il proprio cavallo, seguito immediatamente dalla Selva.
Stretta nel gruppo di cavalli ammassati allo steccato per far spazio alla partenza del Nicchio, l’Onda si trova quinta o sesta al primo San Martino. Il passo però c’è, Morosita sembra avere la dinamite sotto gli zoccoli e ogni falcata l’avvicina al gruppo di testa. La prima ad essere passata è l’Oca, il passato di Tittia, l’unica contrada dove aveva vinto prima d’ora. E poi la Lupa, che con Scompiglio – insieme a Tittia oggi uno dei fantini più ambiti della festa – aveva legittime ambizioni di vittoria. In prossimità della seconda curva di San Martino Tittia lo affianca, questa volta all’esterno. Scompiglio fa di tutto per tagliargli la strada, tanto da stringere troppo la manovra e urtare la torretta. Compie la curva sospeso per aria, poi riesce a rimontare il destriero appoggiandosi proprio a Tittia. Un istante più tardi, poco dietro, Trecciolino commette lo stesso errore.
Mentre il muso di Morosita conquista per la prima volta la testa della corsa, Bruschelli precipita sul tufo. Il re della piazza, una volta per tutte, è caduto.
L’inerzia è tutta dalla parte di Atzeni: un uomo in missione, cosce strette sul cavallo e sguardo dritto a immaginare tutte le traiettorie che dovrà disegnare. Eccolo il momento, uno dei tanti che possono influire su una competizione che dura meno di uno stacco pubblicitario. Scompiglio lo sente, forse subentra la paura, forse sa che il cavallo ha dato il meglio. Sta di fatto che, quasi disperato, inizia a colpire Tittia con il nerbo. Ma sono piume su un muro di pietra. Mentre Atzeni, alternando le nerbate con ritmo quasi musicale sta per vincere il suo secondo palio consecutivo (il cappotto), ecco però riemergere dal gruppo, ormai arreso, il cavallo scosso del Nicchio.
Pare ed è il fantasma di Trecciolino, che idealmente prova un ultimo e disperato tentativo. Ma è troppo tardi. Mentre Morosita rallenta e recupera fiato, Tittia prende il primo respiro dell’ultimo minuto e mezzo: il suo sogno è realtà. I canti dell’Onda fanno ancora vibrare Piazza del Campo quando il corteo biancoazzurro prende la strada del Duomo. Mentre gli zoccoli di Morosita passeggiano sul mosaico trecentesco che compone il pavimento della Cattedrale, su di lei Tittia ha la serenità di chi si è compiuto. Il braccio destro rimane alzato una decina di secondi, i dieci anni che ha trascorso a Siena prima di vincere il Palio dell’Assunta. È il fantino più giovane a fare cappotto, nonché uno dei pochi nella storia a riuscirci. Dei contradaioli in lacrime gli allungano tra le braccia il figlio, che incredulo sta vivendo il momento più alto della carriera del padre. Almeno fino a quel momento.
Tittia oltre il sogno
Due anni dopo, infatti, Tittia vince di nuovo con la Selva. Polonski, un castrone sauro di sette anni per la prima volta vittorioso, quel giorno è semplicemente imprendibile. Scattato primo alla mossa, Tittia non deve nemmeno forzare le traiettorie, limitandosi a gestire in tranquillità. A questo punto Tittia ha trionfato 5 volte, è già uno dei migliori fantini del XXI secolo. Nonostante nei successivi sette Palii non troverà la vittoria, lasciando il passo a Scompiglio, rimane ancora uno dei più ambiti. Lo è anche nel 2019, quando per la Giraffa vince il primo di cinque pali consecutivi. Un’impresa incredibile che non si verificava addirittura dall’Ottocento. Un doppio cappotto compiuto con quattro contrade differenti su quattro cavalli diversi, più il recente successo con Violenta da Clodia per la Selva.
Segno inequivocabile che la differenza la fa Tittia, il nuovo re della piazza.
Ma, andando per gradi, torniamo al palio di luglio 2019. Una carriera emozionante, una delle più belle di Tittia. Sicuramente la più sadica. Con freddezza allucinante Atzeni lascia che sia la Chiocciola, con Scompiglio, a mantenere la testa per l’intera durata della gara. Eppure, la differenza tra Tale e Quale (Giraffa) e Violenta da Clodia (Chiocciola) quel giorno è evidente fin da subito. Tittia sta trattenendo il cavallo, che se potesse sarebbe già esploso in tutta la sua potenza. E invece rimane nell’ombra, attaccato alla coda della Chiocciola fino al rettilineo finale, quando la supera sferrando l’attacco vincente all’ultimo metro disponibile. Il destino, questa volta, è stato totalmente dominato da Tittia. Il quale ha rischiato più del dovuto, giocando con una sorte che avrebbe potuto punire la sua arroganza. E invece, da questa arroganza, è rimasta sedotta.
A mezz’agosto Tittia corre per la Selva, contrada a cui ormai è affezionato. L’accoppiata con Remorex è vincente. Le avversarie lo sanno e alla mossa stringono la contrada verde-arancio in un mucchio di zoccoli da dove è difficile riemergere. È solo un’altra pazzesca curva di San Martino a permettere alla Selva di riprendere posizioni. Brio, sul Bruco, sembra però imprendibile. Al secondo San Martino Tittia prova quindi il passaggio strettissimo che spesso l’ha premiato.
Questa volta, invece, gli riserva una caduta. Sarà che la sorte ha preso in simpatia il fantino, sarà che Remorex ha una buona memoria, ma il cavallo all’ultimo San Martino riprende la stessa traiettoria di prima e, senza il peso di Atzeni, riesce a guadagnare terreno sul Bruco. Inspiegabilmente Brio, tutto impegnato a contrastare l’arrivo di Aquila e Onda all’interno, lascia Remorex libero di puntare l’esterno. Il testa a testa finale, di nuovo sull’arrivo, premia il corto muso di Remorex. Tittia, già tra le braccia dei contradaioli, vince da spettatore il suo settimo palio. Il secondo cappotto è completato.
Tra qui e gli ultimi due pali corsi si frappone il Covid-19, che priva i senesi della loro festa per ben due anni (2020 e 2021). Una sofferenza difficile da capire per chi non è di Siena. Una sofferenza anche per i fantini, a piedi per due anni e più. Una sofferenza aggiunta per chi come Tittia e Scompiglio ambiscono a primeggiare e si vedono privare di quattro occasioni di vittoria. Quante cose possono cambiare in ventiquattro mesi? Saranno ancora loro i più forti? Dubbi legittimi, timori insistenti.
Al ritorno sul tufo, nel luglio 2022, la sinfonia pare però riprendere dallo stesso spartito lasciato in piazza due anni prima. In una carriera dimezzata da infortuni a cavalli e fantini – alla mossa, alla fine, saranno solo sei le contrade – è inevitabile emergano maggiormente i valori tecnici. Ragione per cui a contendersi la vittoria, in un testa a testa finale tiratissimo, sono Tittia sul Drago e Scompiglio sulla Torre. I due migliori fantini del momento, godendo degli inusuali ampi spazi a disposizione, possono spingere al massimo i rispettivi barberi. All’arrivo i due sono così vicini che non si riesce a stabilire, a vista d’occhio, il vincitore. Mentre la tecnologia viene in aiuto della tradizione, i contradaioli trattengono le lacrime mentre rivolgono gli occhi alle trifore del palazzo comunale. Da lì verrà esposta, consacrandone l’ufficialità, la bandiera della contrada vincitrice. Dopo qualche minuto d’attesa i colori che sbucano sono il rosso, il verde e il giallo. Tittia e il Drago sono di nuovo vincitori.
A mezz’agosto, per tutti gli altri, la questione inizia a diventare veramente complessa. Non solo Tittia è un fuoriclasse assoluto, ma tutto sembra anche andargli per il verso giusto. Lo circonda ormai una mistica inquietante per gli avversari, che lo temono con un fatalismo drammatico. Una sensazione di inevitabilità che diventa frustrante, maligna, ancora più incredibile quando il suo Leocorno viene estratto per primo alla partenza. È mai possibile che la sorte, anziché girare, si possa affezionare così tanto ad un uomo? Il resto lo fa una mossa senza patemi, un cavallo fortissimo come Violenta da Clodia e una carriera dominata mentalmente. Tittia parte forte e mette subito una distanza tra sé e gli inseguitori, distanza che in breve tempo diventa un oceano profondissimo. Senza drammi, senza battaglie, quasi anche senza emozione il Leocorno vince.
Uno spartito che, se possibile, risuona ancora più inquietante a undici mesi di distanza. Il Palio di luglio 2023 è il perfetto esempio di carriera risoltasi dalla sorte e dalla politica ben prima di scendere sul tufo. Lo scenario, infatti, si è figurato a tutti già nel momento del sorteggio delle contrade che sarebbero scese in campo. A correre di diritto sono Aquila, Giraffa, Selva, Onda, Nicchio e Tartuca, alle quali si sono aggiunte Istrice, Drago, Torre e Chiocciola. Solo due le rivali in campo, Chiocciola e Tartuca, alla quale si aggiunge la strana rivalità unilaterale tra Onda e Torre, con quest’ultima che non riconosce l’astio che la prima, al contrario, le riserva.
Lecito attendersi dunque una carriera con poche tensioni, dove potrebbe fare la differenza l’abilità dei fantini. Un elemento a favore di Tittia, come d’altronde la nutrita presenza di contrade a lui vicine. Otto rioni su dieci, infatti, vantano ottimi rapporti con Atzeni e sono disposti a offrirgli una monta qualora venisse assegnato loro il cavallo migliore. Solo Chiocciola e Torre paiono più distanti, soprattutto per l’intesa di lunga data con Scompiglio e Gingillo. Il quadro propizio al fantino sardo si completa al momento della scelta, da parte dei capitani, dei cavalli da portare alla tratta.
Si opta per un lotto composto da un solo barbero realmente forte, Violenta da Clodia, scommettendo tutto sul 10% di possibilità di aggiudicarselo; e con lei, Tittia; e con Tittia una carriera sostanzialmente incontrastata fino alla vittoria. Una strategia evidentemente caldeggiata da Atzeni, che accetta il 20% di possibilità di perdere (con Violenta da Chiocciola e Torre), contro l’80% (Violenta a tutte le altre contrade) di vincere. Quando il 29 giugno il super cavallo viene assegnato alla Selva, per molti i giochi sono già conclusi. L’ultima speranza di assistere a una carriera avvincente è sperare che la Selva, che ovviamente ha chiamato Tittia, vengano estratta lunga al canape. Invece il mossiere la chiama come terza contrada.
Tolta la mossa lunga – circa 45 minuti dove l’Onda disturba la Torre, che con Gingillo su Zio Frac è l’unica a poter impensierire la coppia favorita – i tre giri di campo sono un replay di agosto 2022, con Tittia che stravince alzando la polvere dietro di sé. Per Tittia è come fosse normale amministrazione, una semplice tappa di un percorso che non sappiamo dove potrà finire. Sono cinque Palii di fila, come mai accaduto nella storia. Dieci in totale, a sole tre vittorie da Trecciolino e quattro da Aceto. Nei giorni successivi i maligni sottolineano la mancanza di fantini in grado di contrastarlo e lui stesso lo dice nelle interviste post Palio: “Forse i miei colleghi devono fare di più”. Più che un’ammissione, una provocazione. Tittia con spietatezza sta cannibalizzando la manifestazione, più che il re della piazza ora assomiglia al tiranno della festa. Chi sarà in grado di sconfiggerlo?
Il Palio che viene
Nella carriera in programma oggi la musica sarà diversa. La scelta Tittiacentrica di luglio ha destato polemiche e malumori in addetti ai lavori e appassionati, oltre ad aver dato vita a una gara piuttosto noiosa. A cambiare le carte in tavola, per prima, è stata ovviamente la sorte, che ha predisposto tre coppie di rivali in campo: Torre-Oca, Tartuca-Chiocciola e Aquila-Pantera, alle quali si aggiungono Bruco, Drago, Giraffa e Istrice. Poi ci hanno pensato i capitani delle contrade, che hanno optato per un lotto di cavalli livellato verso il basso, che dovrebbe garantire meno certezze e più spettacolo. Niente big three – Violenta da Clodia, Tale e Quale e Remorex – e dentro vari cavalli giovani, pronti a sparigliare le previsioni.
Qualche ipotesi, ovviamente, rimane comunque possibile. Incrociando estrazioni dei cavalli e scelta dei fantini, infatti, saltano all’occhio varie considerazioni.
La prima riguarda Tittia e la Giraffa, che tornano insieme dopo il Palio vinto nel luglio 2019, il primo della serie di cinque. Il cavallo è Abbasantesa, che a luglio ha corso, senza sfigurare, sempre per la Giraffa; ma soprattutto appartiene alla scuderia di Atzeni, che dunque ben lo conosce. Un’accoppiata tra le favorite, ovviamente; anche perché prive di rivali. Come lo sono anche Brigante-Zio Frac per l’Oca e Scompiglio-Anda e Bola per la Pantera. Due dei fantini che più possono dare noia a Tittia, su due dei cavalli sulla carta più attesi. Zio Frac, nello specifico, è l’unico tra i barberi che batteranno il tufo ad aver già trionfato in piazza.
Non riesce a guadagnarsi un cavallo di prima fascia Gingillo (l’unico a luglio a tenere più o meno il passo di Tittia), che per la Chiocciola monterà Reo Confesso (3 pali corsi ma nessuno vinto). Sarà comunque da attenzionare. Come anche Tamurè, fantino giovane ma impavido e promettente, che è stato scelto dall’Istrice per provare a sorprendere tutti con il debuttante Antine Day.
Sembrano partire un passo dietro Bellocchio (Enrico Bruschelli, figlio di Luigi) nel Bruco, Carburo nella Torre, Grandine nella Tartuca e Tempesta nel Drago. Discorso a parte per l’Aquila, la cui situazione è veramente strana. Nonostante le sia capitato in sorte un cavallo di prima fascia, Viso d’Angelo, la contrada non è riuscita ad attirare un fantino tra i meglio considerati. E dire che nelle settimane passate si era parlato addirittura di Tittia. La scelta è invece ricaduta su Bighino, fantino combattivo ma vincente soprattutto in provincia.
Ad ogni modo, per nove dei fantini, prima ancora di vincere, l’obiettivo sarà impedire che trionfi nuovamente Tittia. Un’altra vittoria significherebbe gloria immensa per lui e altrettanto imbarazzo per i colleghi, che pungolati nell’orgoglio hanno più di una questione aperta con il fantino sardo. Ma soprattutto è il fato ad avere un conto in sospeso con Tittia, l’uomo che sembra averlo piegato. Se volesse realmente punirlo potrebbe consegnarli una posizione lontana dallo steccato, magari addirittura di rincorsa, con gli avversari migliori in buoni piazzamenti e distanti dalle rispettive rivali. Ma come abbiamo visto, anche se fosse, sarebbero migliaia i modi in cui potrebbe inaspettatamente risarcirlo. Come di ogni attesa, allora, anche di questa non ci resta che godere dell’infinito numero di possibilità che essa ci offre. Fino a quel minuto e mezzo scarso in cui solo una diventerà realtà: quella preferita dal destino.