Un antico e indispensabile articolo di Alberto Fabbri sulla tematica ultrà al femminile recava la testimonianza di Susanna e Luisa, tifose del Toro e tra le primissime donne ultrà nel movimento italiano: «Eravamo lì per la curva e per il Toro, per fare casino come loro». Con “loro” si riferivano ai colleghi maschi, i primi ultras che cominciavano in quel periodo a colonizzare gli stadi di tutta la Penisola. In maniera sorprendente, ma senza dubbio fedele, queste ragazze incarnavano le coeve istanze femministe di stampo impolitico; allo stesso tempo i settori popolari divenivano inattesi laboratori d’emancipazione.
Bisogna necessariamente partire da queste radici per comprendere la tematica femminile e femminista nelle curve e negli ambienti da stadio. Quali passi sono stati fatti negli ultimi cinquant’anni? Cosa ci attende in futuro? Per capire queste e altre questioni abbiamo intervistato una delle massime esperte del mondo ultras, la fotografa del tifo, già autrice per Rivista Contrasti e SportPeople, Imma Rhamely Borrelli (qui il suo profilo Instagram).
La lotta femminista a tuo avviso può passare anche attraverso le curve?
La storia del tifo organizzato italiano ha avuto e ha tuttora molti esponenti femminili. Dagli anni sessanta in poi, le donne hanno reclamato il loro spazio di espressione, presenziando attivamente nelle curve. Hanno ricoperto ruoli di spicco sugli spalti, sia aggregate in gruppi ultras femminili, sia come singole esponenti, contribuendo alla crescita delle tifoserie di appartenenza, dal nord al sud Italia.
La presenza femminile nelle curve è da sempre un segnale che il tifo non ha genere, ma è un’espressione di passione e appartenenza che trascende le barriere. Se in passato solo in alcune piazze le donne provavano a seguire la propria squadra, oggi è diventata una normalità vedere donne tifare in curva.
Sebbene non raggiungano i numeri delle presenze maschili, e lo stadio resti comunque, non solo nell’immaginario comune, un luogo prevalentemente maschile, le donne tifose sono un fenomeno in costante crescita. Presenziano non necessariamente unite dietro una pezza che le identifica come gruppo, ma integrate nella comunità di tifo.
La lotta attuale che affrontano gli ultras italiani, nel contesto del calcio moderno – e quindi più urgente -, riguarda la repressione. Le donne, come gli uomini, si trovano a dover affrontare le stesse sfide legate alla libertà di espressione e al diritto di tifare senza paura di ritorsioni.
Pensi che le donne possano avere uno sguardo diverso, più originale anche, sulle dinamiche del tifo?
Se ragioniamo sulla parità dei generi, perché le donne dovrebbero essere considerate qualcosa in più o in meno? Credo fermamente che il tifo sia un linguaggio universale, un’espressione di passione e appartenenza che trascende le differenze di genere . . .