Altri Sport
06 Luglio 2025

Fughe e volate sulle sabbie di Dunkerque

Ogni sfida sportiva, qui, è atto di memoria.

Il vento soffia ruvido dal Mare del Nord, intriso di salsedine e memorie. Le nubi volano basse, quasi in fuga da un sole che fatica a raggiungerle. Le colline sembrano voler seppellire — o forse preservare — ricordi dolorosi, ma indelebili, che hanno segnato la storia del luogo. Le onde si infrangono violente contro le coste alte e rocciose. Il tempo, qui, sembra sospeso. La sabbia conserva i passi, la pietra custodisce i ricordi.

Proprio in quella pietra è incisa una data: 1940. È l’anno in cui Dunkerque, anonima cittadina del nord della Francia, si iscrisse agli annali della storia del Novecento. Migliaia di uomini correvano verso il mare, ma non gareggiavano. Fuggivano. Erano in fuga dal proprio destino, in cerca di salvezza, tra speranza e disperazione.

Oggi, quelle stesse strade attendono altri uomini in corsa: hanno tute sportive al posto delle divise, biciclette al posto delle armi, sudore al posto del sangue. Il 7 luglio 2025, il Tour de France approda qui, dove si sono incrociati il coraggio della fuga e la forza della resistenza. E Dunkerque si prepara a raccontare un’altra storia: questa volta fatta di ruote, vento e traguardi.

dunkerque
La vista dall’alto di Dunkerque

Era il 1940 e l’Europa bruciava sotto le fiamme della Seconda Guerra Mondiale. L’avanzata tedesca proseguiva inarrestabile, travolgendo frontiere e resistenze, con l’ambizione di porre l’intero continente sotto l’egida del Terzo Reich. In quel momento oscuro, l’unica forma di resistenza al progetto politico e militare di Adolf Hitler era rappresentata dall’alleanza anglo-francese — un fronte comune fragile, ma ancora in piedi, deciso a non cedere.

La Wehrmacht, nella sua avanzata verso la Manica – che avrebbe dato loro l’accesso allo stretto e alla Gran Bretagna – aveva messo le potenze alleate praticamente con le spalle al muro, chiudendo in un piccolo lembo di terra il British Expeditionary Force e dieci divisioni della 1ª Armata francese.

In una situazione di forte sconforto e difficoltà sul piano strategico, l’unica soluzione perseguibile era ridurre al massimo i danni della battaglia. Ai britannici non restava altra scelta che reimbarcarsi verso l’Inghilterra, in cerca di una disperata salvezza. Dei tre porti a disposizione nel nord della Francia, però, soltanto uno aveva resistito all’impeto delle forze armate tedesche: Dunkerque. Per quanto incessantemente bombardata giorno e notte dalla Luftwaffe, la cittadina al confine con il Belgio riuscì a resistere all’urto delle bombe e dell’artiglieria tedesca. Diverso fu invece l’epilogo per le altre due città portuali, Boulogne e Calais, che caddero rapidamente nelle mani del nemico.

Per cause di forza maggiore, Dunkerque fu dunque designata come principale punto di evacuazione per la ritirata delle truppe anglo-francesi dal litorale. L’azione di salvataggio, passata alla storia come Operazione Dynamo – dal nome della Dynamo Room, la stanza situata sotto il Castello di Dover dove fu pianificata – rese la città di Dunkerque simbolo di una delle più imponenti imprese militari e politiche del XX secolo.

dynamo room dunkerque
La Dynamo Room

Il rischio, come sottolineò lo stesso Primo Ministro britannico Winston Churchill, era che l’intero territorio francese – insieme ai principali esponenti delle milizie Alleate – cadesse nelle mani dei tedeschi. Per scongiurare questa possibilità, occorreva intervenire con rapidità e precisione, traendo in salvo tutti i soldati dispiegati lungo le coste settentrionali della Francia.

Gli interventi di evacuazione, tuttavia, iniziarono con lentezza: il primo giorno furono messi in salvo appena 7.010 uomini. Un avvio che non lasciava presagire nulla di buono per i comandi anglo-francesi, mentre i tedeschi bombardavano pesantemente l’area e si avvicinavano al controllo totale delle regioni settentrionali della Francia.

La ritirata, quindi, non fu priva di perdite. L’artiglieria tedesca sottopose il litorale di Dunkerque a un martellante cannoneggiamento, mentre la Luftwaffe sferrò l’attacco aereo più violento dall’inizio dell’operazione. In poche ore vennero affondati un cacciatorpediniere francese, tre caccia britannici, due traghetti, un dragamine e una cannoniera.

La ritirata

La linea di difesa britannica fu sfondata a Bergues, pochi chilometri da Dunkerque, costringendo le retroguardie a un nuovo ripiegamento verso la costa. Nonostante l’ordine, giunto in serata, di sospendere le operazioni di imbarco, ben 64.229 uomini si salvarono prima della conclusione delle operazioni giornaliere.

Nella notte del 2 giugno, il comandante William Tennant trasmise da Dunkerque un messaggio destinato a entrare nella storia: «Il corpo di spedizione è stato evacuato». L’Operazione Dynamo era ormai giunta al termine. Gli ultimi 4.000 uomini britannici lasciarono il suolo francese. Tennant, sbarcato il 26 maggio sul cacciatorpediniere HMS Wolfhound, aveva assunto il ruolo di beachmaster, ovvero coordinatore delle operazioni di imbarco. Per la sua determinazione ed efficacia, fu soprannominato dai suoi uomini “Dunkirk Joe”.

Il giorno seguente, le truppe tedesche sferrarono l’ultimo attacco decisivo contro il perimetro difensivo di Dunkerque. La retroguardia francese si ritirò su una linea distante meno di cinque chilometri dal molo est. L’ultima imbarcazione, il cacciatorpediniere Shikari, salpò alle 3:40 del mattino del 3 giugno con circa un migliaio di soldati francesi a bordo, un’ora prima del sorgere del sole, mentre i tedeschi erano ormai a un passo dalla spiaggia. Poche ore dopo, due navi vennero affondate nel canale d’accesso al porto per impedirne l’utilizzo da parte del nemico.

Tra il 27 maggio e le prime ore del 4 giugno, furono evacuati dalla Francia 338.226 uomini. Una fuga trasformata in impresa, una sconfitta divenuta leggenda.

Da quel momento, Dunkerque entrò negli annali della storia militare come un luogo dove la parola “resilienza” trovò il suo significato più vivo e profondo. In quei drammatici giorni di fine maggio e inizio giugno 1940, la città francese si trasformò in un crocevia di destini, paure e speranze. Migliaia di uomini, travolti dagli assalti tedeschi, si trovarono di fronte a una scelta apparentemente obbligata: arrendersi o resistere, fuggire o combattere fino all’ultimo respiro.

Una scena dal film Dunkirk, regia di Christopher Nolan (2017)

La resistenza di Dunkerque si manifestò nel coraggio silenzioso di quei soldati, nei loro passi svelti e nelle acque gelide che li attendeva. Non fu una semplice ritirata, ma la prova di una volontà indomita: la capacità di rialzarsi di fronte al pericolo più estremo, di trasformare la paura in forza, di fare della fuga un atto di sopravvivenza e dignità.

Ma Dunkerque è anche resistenza. Non solo quella fatta di armi e battaglie, ma soprattutto la resistenza della speranza, della solidarietà, e dell’organizzazione eroica di una città e di un esercito che, nonostante tutto, riuscirono a fronteggiare un nemico invincibile, quantomeno all’apparenza. Proprio da questa massiccia evacuazione verso la Gran Bretagna ripartirono le spedizioni francesi per la riconquista dei propri territori. Molti dei soldati francesi recuperati furono rimandati in patria dopo pochi giorni, mentre le navi francesi ripresero a trasportare truppe dai porti inglesi verso le coste europee. A Dunkerque venne persino tentata la ricostituzione di alcune unità francesi, con il generale Weygand che il 6 giugno insistette affinché le truppe venissero riorganizzate in divisioni organiche il prima possibile.

Un’altra scena dal film del 2017

Il salvataggio delle truppe a Dunkerque fornì una spinta psicologica fondamentale al morale dell’esercito britannico, proprio in un momento in cui il Governo di Londra meditava segretamente riguardo alla possibilità di arrendersi alle armate di Hitler. Il paese sbandierò l’operazione quasi come una grande vittoria. Nonostante la perdita quasi totale del materiale militare nel corso delle operazioni di evacuazione, i soldati inglesi vennero dispiegati per fronteggiare una sempre più probabile offensiva nazista sul suolo britannico.

Quello che poteva sembrare un disastro divenne così un’operazione di successo per le forze anglo-francesi. Winston Churchill, nel celebre discorso alla Camera dei Comuni, esortò la popolazione a incarnare lo “spirito di Dunkerque” (Dunkirk spirit), pur sottolineando che “le guerre non si vincono con le evacuazioni” (“Wars are not won by evacuations”). Quell’esortazione segnò profondamente il popolo britannico, tanto che ancora oggi il termine “Dunkirk spirit” viene usato per descrivere l’atteggiamento tenace e coraggioso necessario a superare momenti di grande avversità.

E quello spirito combattivo e resiliente è tutt’ora presente nei cuori e negli animi dei cittadini, oggi comunità fiorente da circa 90mila anime. Quella tenacia che all’epoca fu dispiegata nel contrasto all’avanzata tedesca, oggi trova nuova vita nelle attività quotidiane, soprattutto nelle discipline sportive. Sport come il ciclismo, che qui ha radici profonde e solide, sono diventati veicoli ideali per tramandare e diffondere quello spirito intrepido.

Dunkerque miracolo
Il miracolo di Dunkerque

Il ciclismo a Dunkerque non è solo una passione, è molto di più. È una vera e propria tradizione che unisce storia, cultura e fatica. Le strade che nel corso della Seconda Guerra Mondiale videro marciare soldati e resistere civili, oggi sono battute da campioni delle due ruote. I tank e i mezzi militari, un tempo protagonisti di terribili immagini di morte e distruzione, oggi sono sostituiti dalle biciclette delle ammiraglie, simboli di una nuova sfida fatta di velocità, strategia e resistenza.

Una tradizione, quella del ciclismo nella cittadina della Francia settentrionale, ben radicata ormai nell’immaginario pubblico, tanto da averla resa una tappa fissa nel calendario internazionale delle corse su strada. Ogni anno, a maggio, un folto pubblico di appassionati e atleti di alto livello giunge in città per prendere parte alla celebre Quattro Giorni di Dunkerque, una competizione a tappe che attraversa paesaggi costieri e campagne, unendo sport e storia in un unico, emozionante evento.

Tutto ebbe inizio nel 1955, quando fu organizzata per la prima volta la corsa a tappe conosciuta come la Quattro Giorni di Dunkerque (Quatre Jours de Dunkerque). L’idea nacque dal desiderio di celebrare la resilienza e lo spirito combattivo della regione, trasformando le strade che un tempo avevano visto il dramma della guerra in un palcoscenico di sport e passione.

Sin dalle prime edizioni della corsa, la gara si distinse per la sua durezza e varietà: tappe pianeggianti lungo la costa del Mare del Nord, insidiose salite nell’entroterra e tratti ventosi che mettono a dura prova la tecnica e la resistenza dei corridori. Nel corso degli anni, la Quattro Giorni è cresciuta in termini di prestigio e popolarità, attirando alcuni dei migliori ciclisti del mondo.

Tra i più noti ad aver preso parte alla celebre kermesse, anche Jacques Anquetil, Roger De Vlaeminck e Bernard Hinault. Nonostante questi grandi nomi, quello impresso nella memoria collettiva è certamente il belga Freddy Maertens, che Dunkerque ha visto trionfare ben quattro volte: 1973, 1975, 1976 e 1978. In settata anni di battaglie e sprint sulle due ruote, anche un italiano a salire sul gradino più alto del podio. Stiamo parlando di Roberto Petito che, nel 2006, completò la corsa in 21h33’24”. Ma non è tutto. In quell’edizione, furono ben due gli italiani a emergere come protagonisti della classifica generale. Oltre al già citato Petito, vincitore della seconda frazione Arques > Le Cateau-Cambrésis, il primo leader fu Francesco Chicchi, che si impose nella tappa inaugurale Dunkerque > Gravelines.

Francesco Chicchi

Come dicevamo, negli anni la corsa ha acquisito sempre più lustro e visibilità nel panorama ciclistico internazionale. Nel 2005 è stata quindi inserita nel calendario dell’UCI Europe Tour come prova di classe 2.HC. Ad oggi, in seguito alla promozione del 2020, è parte del circuito UCI ProSeries, come prova di classe 2.Pro.

Ma la passione ciclistica di Dunkerque non si esaurisce qui. Nel corso della storia, infatti, la città ha ospitato ben 20 tappe del Tour de France, confermandosi crocevia imprescindibile per la corsa più famosa al mondo. L’ultima impresa memorabile legata a Dunkerque è datata 2022: Wout Van Aert, già in maglia gialla, partì proprio dalla città francese per compiere un autentico capolavoro sportivo. A Calais, dopo una lunga fuga in solitaria iniziata a 11 km dal traguardo, il campione belga tagliò il traguardo dinanzi a un pubblico in delirio. Quella tappa fu solo l’inizio di un Tour straordinario per Van Aert: tre vittorie, la conquista della maglia verde e un ruolo da protagonista al servizio del vincitore Jonas Vingegaard, portando alti i colori della Jumbo-Visma.

Il legame tra Dunkerque e il Tour de France, però, ha radici ben più profonde. Tra il 1911 e il 1927, Dunkerque fu tappa obbligatoria del Tour de France, un periodo durante il quale la passione ciclistica si radicò profondamente tra le stradine e le dolci colline del territorio cittadino. Dopo una lunga pausa, durata fino al 1958, la città tornò protagonista nel 2001, quando ospitò il prologo, vinto da Christophe Moreau, uno dei simboli del ciclismo francese. L’ultimo arrivo del Tour in città, nel 2007, vide il trionfo del belga Gert Steegmans, a coronamento di una volata al cardiopalma.

Gert Steegmans

Le strade di Dunkerque, oggi percorse da appassionati e professionisti, conoscono bene il significato più profondo del ciclismo come sport di sacrificio, resistenza e determinazione. Valori autentici, che hanno fatto la differenza anche in contesti drammatici e lontani dallo sport, come durante l’Operazione Dynamo del 1940. In entrambi i casi, sulla bici o tra le bombe, la parola d’ordine era una sola: resistere.

Un solo termine, che incarna alla perfezione il “Dunkirk Spirit”, che attraversa i decenni e si rinnova ad ogni sfida. Quella stessa resilienza che salvò migliaia di vite nel 1940, che anima i cittadini nella vita quotidiana e che ogni anno torna a pulsare forte lungo l’asfalto della città. E sarà così anche quest’anno. Tra le 21 tappe designate dall’organizzazione del Tour de France 2025, ce n’è proprio una che terminerà con il suggestivo e spettacolare arrivo a Dunkerque. La frazione in questione è quella del 7 luglio, con partenza da Valenciennes: un percorso che si preannuncia tecnico e vibrante, con il vento e le salite a mettere a dura prova i corridori.

Esattamente come 85 anni fa, ancora una volta le sabbie di Dunkerque saranno testimoni di sacrificio, dolore, ma anche di resilienza e vittoria. Proprio dove, nel 1940, migliaia di uomini cercavano di sfuggire a una morte quasi certa, oggi centinaia di atleti, provenienti da ogni angolo del globo, si daranno battaglia per tagliare il traguardo. Un tempo, quel traguardo era segnato dalla riva del mare e significava salvezza. Oggi, è segnato dal fotofinish e tagliarlo per primo è sinonimo di gloria eterna.

Una gloria che accenderà la competizione tra i velocisti del gruppo, pronti a lottare con le unghie e con i denti per aggiudicarsi la suggestiva tappa di Dunkerque. Non dovranno fronteggiare soltanto l’agguerrita concorrenza, ma anche un avversario tanto invisibile quanto insidioso: le condizioni meteo, spesso imprevedibili in queste terre di confine, battute dal vento del Nord e dalle piogge improvvise dell’Atlantico.

Ancora una volta, Dunkerque è pronta a scrivere un nuovo capitolo di storia. Una storia fatta di resilienza, resistenza e sacrificio, che intreccia i valori militari con quelli sportivi. Un connubio perfetto, in cui la tenacia dei soldati sembra rivivere nelle fatiche dei corridori, impegnati a fronteggiare il terribile vento del Nord e a conquistare un traguardo che ha il sapore della leggenda. Perché a Dunkerque, ogni sfida è un atto di memoria, ogni vittoria un omaggio allo spirito di chi ha saputo resistere.

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