Mentre una lingua d’asfalto si inerpica lungo il lato oscuro della montagna, affannandosi per raggiungere il cielo, provo a guardare negli occhi un ciclista che mi passa davanti, ma presto mi rendo conto che è come voler cercare di scoprire il trucco di un prestigiatore. Il corridore, debole per natura e ispirato per vocazione, nasconde il riflesso della sua anima dietro un paio di occhiali scuri. Quel ciclista è Mikel Landa Meana, uno che difficilmente riesce a mentire, uno che prova a non scendere a compromessi, ma la sua indole è messa a repentaglio da sentimenti che lo mostrano così buono da sembrare nascondere una fregatura.
Giro d’Italia 2015. Penultima tappa, arrivo sul Sestrière. Siamo sul Colle delle Finestre. Il Giro è nelle mani di Alberto Contador, pistolero castigliano che sembra uscito da un film di Corbucci. Contro di lui l’agile sardo Aru, sbilenco come una quercia da sughero sferzata dal vento. Il terzo incomodo è un basco, Mikel Landa, ragazzo di 25 anni nato a Murgia ai piedi del Massiccio di Gorbeia, la cui sommità divide la provincia dell’Alava da quella della Bizkaia. Cresciuto parlando una lingua ignota e con addosso il tipico arancione Euskadi.
Il Colle delle Finestre, con i suoi otto chilometri di sterrato, è una scalata attraversata pochissime volte dal Giro d’Italia, ma già leggenda per tifosi e corridori. Contador in maglia Rosa è oramai vicino al successo finale, ma la strada, scolpita come una cicatrice di sassi e polvere, è giudice indulgente.
Contador si maschera dietro la corazza della Maglia Rosa, dietro gambe che appaiono sferzanti e dietro occhiali che non sono solo sapiente marchetta, ma sono l’ultimo bivacco prima della notte.
È in crisi da un po’ di chilometri, ma nel ciclismo che ha perso la sua fantasia, se non in chi lo narra, è difficile accorgersene. A 32 chilometri dall’arrivo, l’Astana, forte di una certa superiorità numerica in gruppo, prova a far saltare il banco. Mikel Landa, di quella squadra luogotenente del capitano Aru, con una delle sue accelerazioni frantuma nei primi tratti di sterrato quel poco che rimane del plotone maglia rosa.
Landa possiede, nei suoi geni, carati che ne fanno scintillare le qualità e che donano forma e brillantezza non appena la strada misura percentuali di difficoltà estreme e il sangue pompa dritto nelle tempie.
Lungo la salita piemontese c’è puzza di sabbia bagnata, che in pochi attimi si trasforma in fango, la polvere che all’inizio occludeva i polmoni ora è melma che fa bruciare gli occhi, l’eco del tifo rimbalza all’interno della testa e spinge Landa, dà coraggio ad Aru, smorza Contador e lancia in fuga Zakarin, sgraziato talento tartaro. Landa in quel Giro d’Italia mette in mostra il suo valore vincendo a Madonna di Campiglio, luogo che ha consacrato e poi tradito il Pirata e ha amato Tomba e Schumacher. Ha concesso il bis sull’Aprica, nel giorno in cui Aru rischiava di fondere il suo pregiato motore. Landa stacca tutti e raggiunge Zakarin fuggitivo, vuole andare a caccia della sua terza vittoria di tappa, ma c’è di più; con Contador in estrema difficoltà e con un passo nettamente superiore alla concorrenza, potrebbe provare a vincere il Giro d’Italia.
Nel ciclismo di oggi alcuni corridori obbediscono ad avari direttori sportivi seguendo tattiche prefissate e rischiano di diventare il sottile ingranaggio di un crudele meccanismo.
Landa conosce il rispetto e asseconda gli ordini dell’ammiraglia, rallenta, si fa riprendere e aiuta quello che da inizio Giro è il suo capitano. Aru si prende la tappa e chiude secondo in classifica generale, Mikel Landa Meana mostra quella fedeltà mai troppo scontata in uno sport che attraversa confini spesso senza ritorno. Si accontenterà del terzo posto finale e del passaggio sulla Cima Coppi posta in quell’edizione sul Colle delle Finestre, ma non riuscirà (per un punto) a ottenere la magra consolazione della maglia dei Gran Premi della Montagna.
Pochi mesi dopo Aru vince la Vuelta, Landa gli galoppa ancora a fianco, fedele, spalleggiandolo nella conquista della sua prima grande corsa a tappe. Ancora una volta non tradirà il volere della sua squadra, ponendo gli interessi altrui davanti ai suoi, come un utopico e rivoluzionario condottiero dimenticato. Per lui arriva anche una ricompensa alla sua dedizione, sottoforma di successo parziale nella durissima tappa di Cortals d´Encamp.
Landa osserva le montagne, scorge le stelle e scopre un cammino che potrebbe portarlo verso la vetta.
Il corridore nato a Murgia abbandona i tenge kazaki e si converte alle sterline inglesi. L’Astana gli promette un ruolo da capitano, lui ascolta le sirene d’Albione. Diru kontuak, chein basco significa questione di soldi. Cambia pelle per provare a ridisegnare la sua carriera, con i panni del leader nella squadra più forte e ricca del circuito. Ma il 2016 si rivela annus horribilis. Problemi fisici rendono la prima parte di stagione complessa, appena corpo e anima glielo concedono, forte di un talento in salita con pochi eguali, vince il Giro del Trentino, breve corsa a tappe che sorride agli stambecchi. È pronto per il Giro d’Italia. Lo squadrone britannico lo investe dei galloni da capitano. Dopo il primo giorno di riposo si ritira per un malanno.
Lo sguardo di Mikel Landa è lealtà, ma è anche malinconia. La sua occasione tarda ad arrivare e intanto il tempo, nemico giurato di ogni essere vivente, scivola via come gocce di acqua su un pendio scosceso.
Il 2017, ancora in maglia Sky, gli porta in dote la possibilità di ritornare al Giro come leader della corazzata nerazzurra in coabitazione con Geraint Thomas, ma una caduta nelle prime tappe lo estromette dalle zone calde della classifica. Vince una tappa e ne sfiora un’altra, battuto dal solo Nibali. Riesce a conquistare la classifica finale di miglior scalatore e come nel 2015, la Cima Coppi. Al Tour si rimette i panni in cui calza meglio: quelli del luogotenente di qualità. Aiuta Froome e dimostra di essere il più forte scalatore del gruppo. Chiude quarto nella classifica finale. Ancora una volta si rivela un grande interprete quando non è attore protagonista. A fine stagione cambia di nuovo casacca. Diru kontuak, una questione di soldi. Vuole vincere una grande corsa e lo vuole fare con una grande squadra.
Nel 2018 getta cuore e portafoglio nel progetto di rinascita del ciclismo basco attraverso la creazione della Fundacion Euskadi, squadra ciclistica di cui diviene presidente, con la speranza che il ritorno in gruppo della marea arancione possa diventare un riferimento importante per tanti ragazzi di quelle zone.
Cercherà poi spazio nel TeamMovistar, sodalizio spagnolo che possiede una certa inclinazione per le corse a tappe. Landa anche qui si nasconderà dietro altri uomini, ancora una volta non sarà il leader assoluto. Il suo però è un inizio da fuoriclasse: con lo sguardo all’insù verso le illusioni della sua Fortezza Bastiani, vincerà l’arrivo in salita della Tirreno-Adriatico, tra la neve, le lacrime e la dedica al suo grande amico Michele Scarponi.
Più avanti lo vedremo al Tour de France come luogotenente di Valverde e soprattutto di Quintana, che farà della Grand Boucle l’obiettivo principale della sua stagione. Se avrà fatto la scelta giusta lo deciderà solo la strada, di sicuro Mikel Landa Meana, fiero rappresentante del suo popolo, ha scelto ancora una volta il modo più complicato (e profumatamente pagato) per ottenere indipendenza e consacrazione. Per raggiungere la pace, si preparerà alla guerra. Obbedirà ai capitani, ma le sue saranno intenzioni rivoluzionarie. Celando l’anima dietro due lenti scure, tenterà di sovvertire il regime, lungo salite che si aggrappano fino sopra le nuvole, con un colpo di Stato che punta a quella libertà tanto agognata da lui e dal suo popolo. Libertà che è essenza e fine ultimo del ciclismo, dello sport, dell’uomo che corre in bicicletta per mostrare a tutti la verità.
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