Un tennista capace di restare 80 settimane al n.1 ATP imploso su se stesso, perché spesso grinta e abnegazione non sono sufficienti.
Rod Laver Arena, Melbourne, 30 gennaio 2005. Tutto pronto: edizione del centenario del torneo, prima finale in notturna, attesi ascolti da record, la tensione è palpabile: dopo Pat Cash nel 1988 ritorna un australiano a contendersi la vittoria dello slam di casa. Lleyton Hewitt, idolo del pubblico, affronta in finale Marat Safin, giustiziere del favorito della vigilia Federer. Rusty, così soprannominato per la somiglianza con un attore della serie National Lampoon’s Vacation, si presenta dopo aver eliminato Nalbandian (10-8 al quinto set) e Roddick.
La finale nel “suo” torneo è la giusta ricompensa per la dura preparazione svolta nell’off-season, quando sotto la guida del suo allenatore Rasheed ha irrobustito notevolmente il proprio fisico, aggiungendo 5 kg di muscoli in 12 mesi. Le premesse ci sono tutte, si comincia: dopo soli 23 minuti e appena 2 punti concessi al servizio è già 6-1 Hewitt; i tifosi lo spingono, il sogno prende forma. L’estroso russo però inizia a carburare e si aggiudica il secondo set.
Nel terzo Lleyton balza avanti, fino al 4-1, poi il buio:inesorabile la rimonta di Safin che dapprima lo aggancia e poi, complice un fatale doppio fallo sul 4 pari e palla break, lo supera. 2 set a 1 e il russo prende il largo anche nel quarto, strappando subito il servizio: quando Hewitt pone fine alla striscia di 7 giochi consecutivi persi, ormai è troppo tardi, la favola termina qui; Safin, quello che per molti quel giorno era il “cattivo”, alza il trofeo davanti al pubblico australiano. Hewitt saluta amaramente e da quel giorno non disputerà più una finale slam.
Gli anni dal 2001 al 2005 hanno segnato il miglior periodo della carriera di Hewitt, capace di trascorrere 80 settimane in vetta alla classifica ATP, aggiudicarsi due masters di fine anno e soprattutto due tornei dello slam. Infatti scorrendo l’albo d’oro di Wimbledon, l’ultimo nome che troviamo prima dell’avvento dei Fab 4 è proprio il suo. Quel trionfo nella finale 2002, dominata su Nalbandian, fu probabilmente l’apice di una carriera che lo ha visto dare il meglio quando pareva essere solo agli inizi. Il suo gioco probabilmente non si addiceva perfettamente all’erba londinese: solido da fondo, specialmente di rovescio, risposta fulminea, ma non certo dotato di un servizio formidabile nè di gran colpi di volo.
Eppure, nonostante le caratteristiche tecniche, il suo trionfo non giunse certo inaspettato: si era infatti presentato ai Championships da numero uno del mondo, più giovane della storia, e già detentore degli US Open, vinti l’anno precedente su Sampras. Più impronosticabile sicuramente il fatto che quel torneo di Wimbledon, vinto a soli 21 anni e con un apparente luminoso futuro davanti, si sarebbe poi rivelato l’ultimo slam nella bacheca di Lleyton.
Una selezione di colpi in finale contro Nalbandian al Centrale di Wimbledon nel 2002.
Come per altri tennisti dei suoi anni, il dibattito può essere: più fortunato a sfruttare un periodo di vuoto di potere tra la fine del dominio di Sampras e l’inizio dell’era Federer o sfortunato per essere coetaneo di quest’ultimo (entrambi classe 81) e sopraffatto dal suo talento? Solo guardando al biennio 2004-2005 Hewitt venne infatti sconfitto dallo svizzero nelle fasi finali di 5 tornei dello Slam e al Master.
In realtà non si può attribuire tutta la colpa a Federer per i successivi scarsi risultati dell’australiano: un solo quarto di finale slam dal 2007 in poi è certamente troppo poco e questo declino non può neppure essere ricondotto ad un calo fisiologico dovuto all’età. Federer è ancora oggi ai vertici del tennis mondiale e, oltre al fenomeno svizzero che non è il termine di paragone più adatto, ci sono ancora diversi over 30 che ottengono ottimi risultati.
Chiaramente gli infortuni con annesse operazioni chirurgiche non hanno aiutato Lleyton, a maggior ragione considerando il suo gioco, molto fisico e dispendioso. Anche la vita privata ha esercitato il proprio ruolo: molto curioso e forse nemmeno troppo casuale il fatto che i suoi anni migliori ricalchino quasi alla perfezione il periodo della relazione con Kim Klijsters. E se, dopo la rottura, avvenuta a fine 2004, Lleyton ha rapidamente ritrovato la felicità costruendosi una famiglia, altrettanto non si può dire dei risultati ottenuti sul campo.
Un capitolo a parte merita la Davis: oltre ad essere il primatista australiano per incontri disputati e vinti, le 2 conquiste dell’insalatiera sono sicuramente tra le maggiori gioie ottenute. La prima da ragazzo (1999), la seconda nel 2003, in piena maturità tennistica, vinta da protagonista e trascinatore: memorabile la semifinale con la Svizzera quando, dopo essere stato sotto di 2 set e aver dovuto affrontare match point, recupera Federer uscendo alla distanza, chiudendo 6-1 al quinto e portando la squadra in finale, dove si rivelerà nuovamente decisivo con la vittoria in 5 set su Ferrero. Ancor prima di abbandonare il tennis giocato viene nominato capitano di Davis, difficile del resto trovare qualcuno di più adatto per attaccamento e carisma. I giovani australiani in squadra sono però esattamente opposti a lui: talentuosi sì, ma non professionisti esemplari.
Non deve essere facile rapportarsi con chi probabilmente non ama troppo giocare, a maggior ragione per Lleyton, che di voglia ne avrebbe ancora e non riesce a stare lontano dai campi. Già, perchè proprio in questi giorni Rustyha giocato il suo ultimo Australian open, raggiungendo i quarti di finale in doppio con il connazionale e amico Sam Groth. Il suo ritiro ufficiale in realtà risaliva al 2016, salvo poi tornare per qualche match di doppio. L’ultimo incontro di singolare disputato, un secondo turno degli AO contro Ferrer, è l’esatta fotografia della sua seconda parte di carriera, fatta di tanta voglia, lotta e abnegazione, ma priva di quella freschezza che l’aveva portato al top del tennis mondiale ad inizio millennio. Sarà effettivamente questo il suo definitivo saluto o lo rivedremo nuovamente su quel bollente cemento australiano, che proprio non riesce ad abbandonare?
Con la stagione sulla terra rossa si aprono le danze per il campione di Maiorca, quel Rafael Nadal che ha costruito su questa superficie il suo monopolio. Eppure le incognite sono tante, tra la mancanza dei big e le nuove stelle nascenti.