Altri Sport
11 Febbraio 2022

Camila Giorgi, originale non risolto

La tennista, la modella, la donna.

Colpi imprendibili e applausi, servizi vincenti e applausi, errori risolti e di nuovo applausi, teste di serie abbattute e ancora applausi, concise frasi di ringraziamento in ottimo francese e meritati applausi. Era il culmine dell’esaltante estate sportiva italiana quando la tennista maceratese Camila Giorgi, di ritorno dalle Olimpiadi di Tokyo e in trasferta a Montreal, ha festeggiato un traguardo raggiunto soltanto una volta prima di lei in Italia: vincere un titolo WTA 1000. Lo ha fatto con il suo gioco aggressivo e insieme composto, nell’anno in cui sarebbe diventata trentenne e in molti sembravano impazienti di dare una risposta definitiva alla domanda: «A che punto è Camila Giorgi?».

Raggiungendo il grande obiettivo del Master 1000 (più grande di questo c’è solo un titolo Slam), la Giorgi ha ridato slancio ad una narrazione che nel tempo e da più parti è spesso sembrata incagliarsi, ripetersi, contraddirsi o spezzarsi. Perché la storia di questa ragazza affascinante in tuta da ginnastica (e pizzo, e tacchi a spillo) nella distribuzione dei molti pezzi che la compongono non sembra mai svelarne a sufficienza per raggiungere il giusto incastro finale e permettere di contemplarne l’intero.


INEDITI RITRATTI DI PAROLE


Nel libro Mr Gwyn di Baricco, il protagonista Casper Gwyn è uno scrittore affermato che tutt’a un tratto decide di smettere. Nel suo nuovo quotidiano da disoccupato inizia però a valutare la possibilità di scrivere dei ritratti. Ed è all’interno di uno spazio studiato in ogni minimo dettaglio in un quartiere ben noto di Londra che viene alla luce (e che luci) la nuova attività del signor Gwyn e, con essa, inediti ritratti di parole.

«(…) Appuntò qualcosa sui foglietti e andò ad attaccarli per terra, in punti che cercò con minuziosa attenzione. Intorno a quei foglietti, Rebecca [protagonista del ritratto] prese l’abitudine di camminare, disegnando percorsi che la portavano da uno all’altro, come se cercasse il profilo di una qualche figura».

Il racconto di Camila Giorgi ben si presta all’idea di una raccolta di diversi annotazioni attorno alle quali, girovagando tra parole pronunciate dagli altri, dette da lei e aspiranti parole esatte, provare a modellare una sagoma di forma compiuta.

A Camila Giorgi viene da sempre riconosciuto un naturale talento sportivo. Da bambina, questa predisposizione la porta a distinguersi come ginnasta prima che come tennista, ma tra una ruota e una rondata e nonostante la reclamassero in nazionale, alla fine sceglie la racchetta. A sette anni, non molto prima che il guru del tennis Nick Bollettieri provasse a garantirsene il futuro, la vede Adriano Panatta che la elogia paragonandola a colui che si allenava al ritmo della macchina sparapalle e della risposta al servizio probabilmente migliore della storia: il mito.

Camila Giorgi Wimbledon
Una giovane Camila Giorgi a Wimbledon, il torneo più caro alla maceratese.

A vent’anni, da semisconosciuta sull’erba di Sua Maestà, la Giorgi si fa spazio nel torneo di Wimbledon dalle qualificazioni fino al gruppo delle migliori sedici. Il palcoscenico è di quelli prestigiosi e per chi testimonia i diversi atti della storia risulta difficile contenere l’entusiasmo.

«È la prima volta che vedo una ragazza giocare come Andre Agassi».

Adriano Panatta

«Camila Giorgi è una sweet machine che in un giorno di fine giugno si è installata nel cuore pulsante del nostro tennis. Neppure ventunenne, bionda, leggera, incantevole come una modellina».

Stefano Semeraro, La Stampa

L’attesa di una vittoria importante dura però fino al 2015 quando, sull’erba questa volta d’Olanda, nella città medievale di ’S-Hertogenbosh, la Giorgi festeggia il primo titolo. 

«WTA ’s-Hertogenbosch: Giorgi spezza la maledizione, la quarta finale è quella buona. La giocatrice di Macerata vince il primo titolo WTA a ’s-Hertogenbosch battendo dopo uno splendido match, Belinda Bencic. Dopo 3 finali perdute, finalmente interrompe la maledizione e adesso a Wimbledon sarà una delle mine vaganti».

Diego Serra, Ubitennis

Misurando il tempo sulla sola conta delle vittorie, il racconto riprende slancio tre anni più tardi quando la tennista si aggiudica il secondo torneo, a Linz.  I successi dovrebbero riuscire finalmente a dare un seguito ordinato e coerente ad una storia iniziata molti anni prima e che tutti si aspettavano vincente. Ma, insieme agli elogi, si fanno sempre più insistenti analisi e riflessioni che provano a fare luce sulla persona oltre che sulla tennista, e che si insinuano dietro le quinte dove si scorge immancabile la sagoma di Sergio Giorgi, suo allenatore.

Il racconto della bambina predestinata, mina vagante e sorprendente sweet machine, fa spazio a considerazioni che indugiano sulle lacrime di cui è tanto parsimoniosa, sull’atteggiamento monolitico poco conciliabile con l’immagine di una femminilità che ci si aspetta sempre fragile e in balia dell’emotività. Non convince la tattica orfana di alternative, il gioco istintivo, i troppi infortuni. Si indaga nel passato, nel presente, nel possibile futuro. Vengono commentati il fisico scolpito, le divise customizzate dalla mamma, il filo di rossetto con cui si presenta alle partite. Il racconto incongruente esige un filo che tenga assieme le parti, specie se l’impalcatura tutta traballa. Ma la Camila svelata continua ad esporsi molto poco. E ciò che mostra, confonde.

Camila Giorgi, in preda alla risate in conferenza stampa a Linz, a testimonianza di un rapporto perennemente semiserio con la sua professione.

Quando in tempi più recenti al ritratto irrisolto si aggiungono annotazioni che portano impresse le parole “Olimpiadi” e “Master 1000”, la storia della predestinata vincente riprende forza. Raccontando il successo, chi aveva lasciato viva una piccola luce in fondo al tunnel rivendica il merito di averci sempre creduto mentre gli altri commentano con misurato entusiasmo ma onesta incertezza, come quando le troppe delusioni d’amore rendono difficile pronunciare nuovamente il fatidico ti amo. Per celebrare la campionessa, la narrazione è gioiosa ma al contempo logora, introdotta da titoli che sono in molti casi grandi domande lasciate in attesa di risposta.

«Tennis WTA Montreal la settimana perfetta di una Camila Giorgi da top 10: è davvero sbocciata?».

Paolo Pegoraro, Eurosport


UN LAVORO CHIAMATO TENNIS


Le parole della Giorgi sono tradizionalmente poche: il minimo indispensabile e spesso ancora meno. Quando può, non si espone. Se lo fa, nelle sue frasi concise gran parte dello spazio lo occupano rimandi alla famiglia, quasi a mettersi al riparo in un luogo sicuro. Sono parole pronunciate con il suo accento fluido figlio di viaggi e nomadismo tennistico e raggiungono chi l’ascolta poco più che sussurrate.

Eppure, le sue scarne dichiarazioni sono sferzanti quanto i suoi colpi a tutto braccio. Succede per esempio durante una premiazione nel 2018: nella stagione del secondo titolo in carriera e della conquista del best ranking di numero 26, la maceratese viene chiamata sul palco come miglior tennista italiana ai Supertennis Awards. La conduttrice le chiede quale fosse stato il momento più bello della stagione, lei ascolta e replica seria:

“La fine”.

Ma sono alcune tra le sue parole più recenti, in particolare, ad aver ulteriormente confuso un ritratto imperfetto fin da principio. Sono da poco tramontate le Olimpiadi nel paese del Sol Levante. In quelle settimane gloriose per i colori azzurri, la Giorgi è apparsa diversa a molti, negli atteggiamenti e nel gioco. La tennista italiana si è presentata in Giappone svestita dalle divise disegnate per lei dalla madre, lontana anche dalla guida tecnica del padre (ad accompagnarla c’è Tathiana Garbin) e improvvisamente disponibile a lasciarsi avvicinare.

Camila Giorgi Olimpiadi
Camila Giorgi ai giochi Olimpici di Tokyo, con il tricolore sul petto.

Agli impegni olimpici, segue il celebrato successo quota 1000 di Montreal. Poi, però arrivano la rapida dipartita da Cincinnati e a seguire l’impegno più prestigioso: gli Us Open. Al primo turno la rumena Simona Halep la supera 2 set a 0 in poco più di un’ora e mezza di gioco. Nessuno si aspetta lunghi discorsi dalla concisa Camila, ma quelle che rilascia, sono dichiarazioni disturbanti.

«Mi dispiace aver perso ma non succede nulla. Per me il tennis è un lavoro, non è la vita. Ogni giorno vado a lavorare: preparo il borsone e vado a lavorare. In futuro farò altri lavori, la mia vita è fuori. Anzi, a volte è quasi difficile lasciare casa per venire a giocare a tennis».

Un lavoro chiamato tennis: non smisurata passione, tantomeno la vita, ma una fatica al momento opportuno sostituibile con un nuovo impiego, temporanea e circoscritta alle tempistiche di una comune giornata lavorativa. Una fatica che (ha puntualizzato in una successiva intervista la Giorgi) nasce da un amore, ma che non coincide con l’intera sua esistenza. 

Quanto dev’essere importante lo sport nella vita di un’atleta vincente? Nelle storie di coloro che hanno contribuito a dare forma e sostanza alla parola sport, costruendo un immaginario collettivo al quale tutti noi attingiamo, risiedono possibili risposte, impossibili però da dirsi univoche e universali. Esistono racconti diventati mitologia nutriti dalle parole passione e ossessione.

È esistito Michael Jordan, per esempio, talmente ossessionato da riuscire a modellare uno sport di squadra con la sua individualità, portandolo ad essere con le sue imprese uno sport di gruppo e, insieme, di un singolo diventato numero uno: lui. Nell’ossessione verso il proprio sport e il proprio obiettivo provava piacere e nel piacere cercava l’ossessione. Un sentimento che lo ha nutrito mentre lo stritolava, fino a renderlo immortale agli occhi del mondo.


Al contrario, esistono sportivi chiamati ad essere operai per contratto, o per definizione: sono i gregari, irrinunciabili presenze in uno sport, il ciclismo, da sempre sinonimo di fatica. Al gregario, coprotagonista di molti racconti epici sulle due ruote, si chiede in qualche modo di rinunciare all’ambizione di primeggiare, di dedicare ogni sforzo al successo di un compagno di squadra. Il gregario smussa le velleità individuali per amalgamarle al bene comune. Difficile immaginarlo ossessionato nel suo ruolo di perdente predestinato, più facile invece accostarlo alla suggestione di un atleta in ufficio.

Viene allora da chiedersi se quelle della Giorgi non rappresentino un manifesto di onesta consapevolezza e di ricerca di un complesso equilibrio. Un po’ come quando Tania Cagnotto, alla domanda di quanto fosse frustrante competere con le cinesi avendo la certezza di non poterle batterle, rivelò con disarmante chiarezza di fermarsi un po’ prima della gloria, per dare spazio alla vita. «Non cambierei mai la mia vita con la loro. (…) Sono certa di una cosa: mi allenassi come fanno loro, dall’età di quattro anni e con la stessa intensità , sarei competitiva». Vincente, all’ultimo gradino del podio.

Oppure se, in un momento in cui emergono diverse storie di malessere sportivo (la Biles mancata durante le Olimpiadi è solo il grido d’allarme urlato con maggiore potenza), le parole della tennista non possano essere un tentativo, colpevolmente mal argomentato, di sensibilizzazione. Perché forse, misurare il tempo e modellare la propria vita sui soli successi sportivi o sugli sforzi necessari per riuscire ad ottenerli, non è per tutti e potrebbe tra l’altro non essere sano. Forse, in termini più generali, la passione travolgente verso la propria arte è un’idea molto poetica ma poco realistica.

«L’ispirazione non è il fuoco sacro che scende dal cielo, è un bisogno che va alimentato. Per questo vado in ufficio ogni mattina a cercarla, nessuna distrazione, solo una tastiera e una scrivania».

Nick Cave


ASSENZE


Nelle parole ruvide di Camila Giorgi, infine, potrebbe celarsi il pragmatismo che certi tragici eventi della vita hanno la brutalità di insegnare. Perché, a partire da un flashback all’infanzia e all’adolescenza della tennista, è attorno alla parola famiglia che tutto si incastra perfettamente e ogni nota del racconto appare ben salda; ma è l’assenza a diventare centrale.

Camila Giorgi è nata in Italia, a Macerata, ma fin dalle origini italo-argentine dei genitori non sembra legata completamente ad un solo luogo, se non quello in cui risiede la sua famiglia. Ha vissuto in Argentina e in Francia, ha fatto tappa tra le altre a Miami, Valencia e Palma de Maiorca. Ha viaggiato molto, come impone uno sport itinerante in cui in una mano si tiene la racchetta e nell’altra la valigia. Ha due fratelli e una sorella. La mamma è un’insegnante d’arte contemporanea diventata anche stilista. Il papà è stato giocatore di calcio e boxeur e, oltre a prendersi cura della costruzione atletica della figlia, diventa la presenza calamitica che attrae il dibattito di un pubblico nel tempo sempre più irrequieto.

Giomila
Giomila, il marchio fashion creato dalla famiglia Giorgi. La stilista è la mamma Claudia, la stessa che ha disegnato e realizzato gli outfit di Camila Giorgi.

Il puzzle di famiglia, però, da qualsiasi angolazione lo si voglia osservare è e rimarrà per sempre incompleto. Nel 2011, infatti, mentre Camila e il padre sono impegnati negli Stati Uniti, la sorella Antonela muore in un incidente a Parigi. Camila ha 19 anni e la tragedia sembra troppo grande anche soltanto per continuare a giocare a tennis. In quel frame dove tutto risulta coerente e indissolubile, il problema non è più il giusto incastro ma la mancanza.

Ed è a causa di un evento tanto privato quanto totalizzante che Camila potrebbe essersi guadagnata il diritto di vivere il tennis con cinico realismo, andando oltre la sola romanticissima passione e rimarcando che la vita è molto più grande di un campo da tennis, nonostante quel campo racchiuda buona parte dell’esistenza.


IDENTITÀ TRIDIMENSIONALI 


La Giorgi, dunque, è l’atleta esplosiva che colpisce rabbiosa la pallina su un campo da tennis, il personaggio sfuggente delle interviste oppure la ragazza dai lunghi capelli biondi che indossa la versione short degli shorts con sorriso ammiccante? Nel processo di costruzione di un ritratto compiuto, oltre alle parole, l’immagine di Camila risulta verosimilmente tridimensionale, perfetta rappresentante di un periodo storico nel quale al più consolidato dualismo tra identità pubblica e privata si è fatta prepotentemente spazio a colpi di filtri e hashtag l’identità social.

La Camila tennista appare generalmente un muro di impassibilità: raramente esulta, quando proprio si lascia andare chiude la mano in un pugno furtivo, se sorride accade principalmente quando il volto affondato nell’asciugamano e se si infuria fino a mollare la racchetta lo fa con rabbia trattenuta, come a rinnegare immediatamente lo screzio con la fedele compagna di una vita. Figuriamoci se grida, dimentichiamoci di vederla inveire. Ad ogni punto, suo o dell’avversaria, una sistemata alla divisa, un infinito litigio con la scollatura che, incolpevole, segue il corso dei suoi colpi; lo sguardo rivolto al basso, le reazioni estremamente misurate. A chi vorrebbe vederla emotivamente più sfacciata, non resta che vivere con crescente frustrazione ogni reazione strozzata e consolidarne l’immagine di ragazza imperturbabile e trattenuta. 

A dare forma alla sua identità privata esistono invece frammenti di racconto che portano spesso la firma del padre, vero catalizzatore di attenzioni. È Sergio Giorgi a contribuire almeno in parte a svelare la Camila meno nota, quella che da bambina chiede di giocare a tennis per emulare i fratelli più grandi, che resiste ad allenamenti al limite della sopportabilità nonostante le protettive rimostranze di mamma Claudia e che non accenna a fermarsi nemmeno per festeggiare la prima vittoria, o per la febbre. Dalle parole del padre-allenatore, quasi mai accomodanti, emerge una visione controversa del mondo tennisNell’ambiente tutti pensano ai soldi e ti avvicinano solo per quello») ed è dalla sua confessione riguardante la volontà di farsi da parte ad un certo punto della carriera della figlia (ipotesi prepotentemente respinta dalla tennista) che emerge invece il ruolo insostituibile della famiglia.

Sergio Giorgi, padre e coach di Camila (Foto: Wikipedia)

Del padre si conoscono le frasi di apprezzamento per i pazzi, gli anticonformisti e, per non tradire il passato calcistico o le origini geografiche, la visione di gioco di Marcelo Bielsa, El loco oggi alla guida del Leeds. Ogni riferimento agli allenamenti di Camila, in particolare, ricopre uno spazio importante nella progressiva composizione di un quadro in grado di unire pubblico e privato: il riferimento al padre-padrone rappresenta da sempre un ampio capitolo del quale si continua a dibattere, l’annotazione scritta in rosso a margine di una carriera che a più riprese tradisce le aspettative. O confonde la voce narrante. 

Ma proprio mentre i pezzi offerti dall’identità pubblica e identità privata tentano un difficile incastro nel disegno di un’atleta infaticabile e una ragazza riservata, subentrano le informazioni social. Su Instagram, la Giorgi si consegna sorridente e apparentemente raggiungibile, affidando agli umori di coloro che ne ammirano i molti fermo immagine, scatti perfetti di una storia che poco si lega al tennis. Nel vasto contenitore social la racchetta sembra d’un tratto troppo ingombrante per entrare nel campo visivo mentre i campi, quelli da tennis, terribilmente poco suggestivi: meglio fare spazio ai tramonti sulla spiaggia ed esibire la passione per la moda, le citazioni suggestive e parole fautrici di ipotetiche goodvibes

In questa tridimensionalità, Camila Giorgi è insieme emotiva, imperturbabile e sicura di sé; timida, poco accessibile e audace; arrendevole, combattente e decisa. Espressione di mascolinità, femminilità e sensualità, è insieme perdente e vincente. Lo stesso fisico scolpito, a seconda che lo si osservi all’interno di un campo da gioco o in posa sulle foto di Instagram, rimanda al tennis e il suo opposto: dedizione e perdizione. In campo indossa le creazioni all’insegna della femminilità della madre, ma quelle stesse creazioni esibite in pose da modella finiscono immediatamente per sostituire i tifosi con i fan, il fisico atletico con le curve seducenti, la cronaca sportiva con il gossip. 


PUBBLICO, PRIVATO, SOCIAL 


Dovendo fare i conti con questa moderna dimensione tripla, si innesca innanzitutto una confusione dei termini tra immagine pubblica e personale. In quanto personaggio conosciuto grazie allo sport che pratica, si direbbe logica conseguenza considerare il tennis come la sfera pubblica di Camila Giorgi. Più difficile, invece, delimitare l’ambito privato, che potrebbe riguardare genericamente la vita oltre i campi da gioco ma di cui la maceratese condivide poco e che difficilmente può coincidere con ciò che viene pubblicato su Instagram. Ed è proprio nella gestione del social che si crea un problema di lettura e comprensione.

Sui social la Giorgi non è il prolungamento in chiave privata del personaggio pubblico. Anzi: osservandola serve fare uno sforzo per allontanarsi dall’idea che si aveva di lei come tennista, accettare il fatto che non sarà questo mondo filtrato a consentirti di conoscere meglio la giocatrice (o la donna, la figlia, la sorella) nel suo privato e provare ad interpretare i diversi scatti che poco hanno a che fare con lo sport che l’ha resa famosa. 

Instagram
L’immagine ammiccante costruita dalla bella Camila sui social. (foto: Instagram Camila Giorgi)

L’Instagram di Camila Giorgi, però, è al contempo perfettamente coerente con il suo personaggio: lei che ha dichiarato senza pudore di non conoscere le avversarie contro le quali si batte, che non le studia prima di affrontarle perché concentrata sul proprio gioco e che ha ribadito quanto la sua vita inizi nel momento in cui gli impegni tennistici terminano, sui social continua a non dedicarsi a quella sfera pubblica che va in scena su un rettangolo di erba, terra, cemento o al massimo in una palestra. 

Se a parole la Giorgi racconta così poco di tennis, continua (comprensibilmente) a non farlo su uno spazio virtuale che può controllare, dove è lei ad alimentare il racconto a suo piacimento. La sua identità social, di fatto, è dedicata a promuovere qualcos’altro: che non è il suo privato e nemmeno il suo pubblico. È più semplicemente un pezzo del puzzle.


ATTREZZI DEL MESTIERE 


In tanta frammentarietà, è il modo in cui Camila amministra il suo corpo che diventa, per chi la ritrae, preziosa arma di congiunzione. La Giorgi usa il fisico armonioso e atletico come uno strumento di lavoro. Lo fa per giocare a tennis al massimo delle sue possibilità: lo plasma con allenamenti intensi e lo modella sulle esigenze di quel gioco tutto d’attacco affidandosi, incurante delle critiche, ai dettami del padre-allenatore. Su quel campo, però, come il dress code per l’ufficio, il corpo è esibito nella giusta misura e con la medesima sobrietà dei gesti alla quale la tennista ci ha abituati. 

Può risultare difficile, allora, comprendere la spudoratezza con la quale quello stesso fisico viene esibito sui social senza troppi indugi, o proverbiali veli, diventando parte integrante della storia nella sua apparente discontinuità. Eppure, la Camila social non sta facendo nulla di diverso da ciò che le vediamo da sempre perseguire nel suo ruolo di tennista: utilizza il corpo come mezzo, nel caso specifico un mezzo potente quanto indispensabile per pubblicizzare dei capi d’abbigliamento.

La Giorgi in versione Instagram non è più loquace di quanto appaia prima o dopo un match, e non è necessariamente meno timida. Lasciarsi fotografare in biancheria intima non equivale ad un consenso a svelarsi oltre alla gestualità trattenuta in campo o in conferenza stampa; e se sorride all’obiettivo non significa che certamente il lavoro di modella la renda maggiormente felice di un match dello Slam, è più semplicemente parte del lavoro. 

Camila Giorgi lavora mentre gioca a tennis e lavora mentre posa in intimo e pizzo, rivendicando la possibilità di sfruttare il proprio corpo all’occorrenza oltre il solo campo da tennis. Lo fa, tra l’altro, con il consenso della mamma, che le ha più volte ricordato di affrettarsi a mostrare il bel fisico ora che se lo può permettere e promuovendo gli sforzi di entrambi i genitori: l’eredità del padre è nella dittatura degli allenamenti che porta ad un’architettura di gioco inconfondibile, quella della madre ha la sagoma degli abiti da lei ideati.


SOTTRARRE


Con le molteplici annotazioni chiamate a raccontare Camila Giorgi, servirebbe dunque un esercizio di sottrazione per chiedersi come cambierebbe la percezione della tennista se di lei non conoscessimo ciò che ci mostra su Instagram. Niente immagini del corpo prestato alla moda, nessun sorriso a sorprenderci oltre il campo da tennis. Perché se è vero che poco si conosce della sua vicenda privata e ancor meno si riesce ad accedere nei meandri degli aspetti sportivi amministrati dal padre, è altrettanto chiaro che l’identità social della Giorgi acquisisce importanza nella narrazione mano a mano che quella pubblica lascia incerti o offre le risposte che non si vorrebbero ottenere.

E così, complice anche il peccato originale di non essere una vincente consolidata e non mostrare un’evoluzione tanto attesa, diventa sempre più difficile perdonarle il tempo dedicato ai servizi fotografici piuttosto che quello per promuovere la linea di vestiti di cui porta il nome. Nel racconto di Camila Giorgi, non importa con quanta attenzione tu abbia raccolto informazioni su di lei o il livello delle tue conoscenze in materia di tennis:

il risultato finale risulterà sempre sfasato.

Non resta che accettare, dunque, che come lo sport che pratica, il ritratto di Camila Giorgi sia un disegno asimmetrico orfano di equilibrio e molto facilmente irrisolto. Qualsiasi narrazione ci si aspettasse o ci si aspetterà dalla sua carriera non sarà mai un vestito su misura posato sull’immagine prevista o dominante, e forse è per questo che i vestiti, lei, se li fa disegnare in famiglia. Prendendo un’ultima volta in prestito le parole di Baricco per descrivere il suo scrittore di ritratti: «Era un uomo esatto, anche nell’errore».

Gruppo MAGOG

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