Calcio
25 Novembre 2025

L'assurdo dibattito sui risultati in Serie A

Non è dai risultati che si giudica una competizione.

Due indizi fanno una prova. Anzi, due zero a zero sembrano costituirne una: il calcio italiano è mediocre, si dice, la Serie A ha raggiunto il punto più basso della sua decadenza. La sentenza – che a sentire la maggior parte di tifosi, ex calciatori, content creator e giornalisti era già nell’aria – è arrivata dopo il penultimo turno di campionato, in cui si sono registrati tre 0-0. “Stasera abbiamo raccolto una marea di dati per dimostrare quanto sia diventata brutta la Serie A”: Fabio Caressa ha aperto così la puntata dell’undicesima giornata dello Sky Calcio Club, sciorinando – senza contesto – una serie di dati su quanto la Serie A sia diventata noiosa e brutta da guardare.

Ma è davvero così? E soprattutto, si può analizzare un tema cosi complesso sulla base di un paio di brutte partite – che poi brutte per davvero non sono neanche state?

I numeri andrebbero sempre contestualizzati, e questo ad oggi non è stato fatto da nessuno. Facile dire che abbiamo la peggior media gol di tutti i maggiori campionati europei dopo undici giornate: sicuramente attira l’attenzione e fa audience; il problema però è che nessuno si è soffermato sulle “variabili”. Gli infortuni di Lukaku, Dovbyk, Castellanos, Thuram, Scamacca hanno sicuramente inciso, visto che non era mai successo nella storia della Serie A che un capocannoniere arrivasse all’undicesima giornata con solo 5 reti all’attivo (Calhanoglu). Per non parlare poi dei portieri e delle difese: ci gonfiamo il petto d’orgoglio quando all’estero decidono di spendere 35 milioni per un giovanissimo difensore del Parma, e poi si grida allo scandalo quando Yerri Mina manda dallo psicologo Morata, che ha chiesto il cambio dopo aver perso in maniera impietosa il confronto con il difensore del Cagliari.



Tra le altre cause citabili, nessuno dice che in Italia abbiamo i migliori portieri del mondo e che basta guardare gli highlights della Premier o della Liga per capire quali obbrobri procurino i tanti gol che assurgono, nelle analisi dei podcasters, a unico discrimine per determinare il valore di un campionato; tanto per dire, è molto più difficile fare gol a un Caprile (nonostante la terribile papera nell’ultimo match contro il Genoa) o ad un Falcone rispetto ai portieri che militano nelle squadre di media o bassa classifica all’estero.

Dovrebbe essere un vanto – ma l’istinto tafazziano italiano porta a non riconoscere le nostre grandezze e a mettere in mostra le nostre nefandezze (che pure ci sono – ma sono assolutamente altre, non di certo la qualità del gioco). Per non parlare, in generale, dei comparti difensivi italiani – del modo estremamente qualitativo che abbiamo di gestire le fasi di non possesso. Non è un caso che i pichichi spagnoli non sfondino quasi mai quando vengono in Italia, Forlán e Dovbyk per esempio, o che Ante Budimir, vecchia conoscenza della Serie A ma che in Italia l’ha messa dentro praticamente solo in Serie B, vada costantemente in doppia cifra in Liga, coi picchi degli ultimi due anni all’Osasuna: 17 e 21 gol. E poi ancora potremmo citare Muriqui, pagato 20 milioni dalla Lazio con le speranze di aver pescato un’alternativa a Ciro Immobile: gol realizzati in Italia, 1 in 38 partite; gol realizzati in Spagna, 40 in 120 partite.


Indicare la luna e guardare il dito


Come detto, il problema è ben più grande, e non lo si può analizzare con numeri che valgono meno di zero. Per fare un esempio infatti, nel campionato 2018-2019 dopo undici turni la media gol era di 2.68; nella stagione seguente, il dato balza a 3.04. Sono troppe le variabili che possono determinare il risultato di una partita di calcio.

Da tempo però, su queste colonne ripetiamo all’unisono che il campionato italiano anno dopo anno sta perdendo talenti: ai gangli del declino del nostro campionato c’è proprio questo, altro che gli zero a zero. Retegui ha scelto l’Arabia, Osimhen pur di non giocare in Serie A ha preferito la Turchia, con un campionato che ora rischia di non concludersi; Modric, che all’anagrafe conta ben 40 primavere, è uno dei centrocampisti che finora ha corso più di tutti, nel Milan e non solo.

A differenza di quello che si è strillato in questi giorni, non è il risultato finale a determinare la bellezza di una partita: più gol non vuol dire spettacolo, questo è il calcio vero e non quello artificiale della Kings League. Ne è la dimostrazione la partita dell’ultimo turno tra Cagliari e Genoa: 4 gol in soli 45 minuti, e un 3-3 finale, con errori su errori da parte di entrambe le difese. O l’1-5 del Como in casa del Torino.


Il prato del vicino…


Al contrario di quello che in molti pensano, i gol non fanno tutto lo spettacolo e la situazione attuale ci dice che siamo sì un campionato povero di talenti, ma che nonostante tutto riesce a rimanere interessante. In Premier League l’Arsenal ha già 6 punti di vantaggio, cosi come il Bayern Monaco in Bundesliga; in Spagna ogni anno è un discorso a due tra Barcellona e Real Madrid, mentre in Italia al primo posto c’è la Roma di Gasperini, che sta praticamente giocando senza una vera e propria punta. Dietro, Inter, Milan, Napoli, Bologna, Juventus e Como sono raccolte in appena quattro punti: una situazione che durerà probabilmente poco, ma che all’estero stanno iniziando a osservare sempre più con interesse.

E guardando proprio la classifica dopo dodici giornate ci viene da pensare che con qualche fuoriclasse in più, con ogni probabilità la Serie A 2025-2026 sarebbe potuta rimanere la competizione più interessante fino alla fine.

Eppure, è possibile mai che la polemica legata ai pochi gol – che ha interessato l’opinione pubblica calcistica per quasi venti giorni, più della Nazionale – non abbia portato nessuno a riflettere su questi temi? Possibile che indicando la luna, tutti si siano soffermati sul dito? Serie A, Premier League, Bundesliga e Liga non si potranno mai paragonare tra di loro, perché in ogni campionato si gioca un tipo di calcio differente, che – al contrario di quello che sostengono Adani & co. – stiamo irrimediabilmente snaturando.

L’unico modo per tornare a proporre una competizione di livello è puntare sulla qualità dei calciatori (senza puntare il dito contro la pirateria o la Champions League, come ha fatto qualcuno dei nostri uomini-vertice nei giorni scorsi): giovani in rampa di lancio, o campioni già affermati che siano. Perché in fondo, se Nico Paz (certo, fortissimo) viene trattato come fosse Maradona il punto è proprio questo. In Serie A c’è talmente poco talento che uno su cento provoca una valanga emotiva. E, al contrario, uno 0-0 di troppo una depressione cupa. Ma i problemi del nostro calcio e del nostro movimento sono ben altri: e i risultati in Serie A non ne sono che un frammento.

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