Calcio
01 Settembre 2025

Suzani, intrecci di sogni

Dall'indipendenza ai recenti successi nel calcio mondiale.

Si dice che ogni Suzani racconti una storia. Non con parole o racconti, ma con fili intrecciati pazientemente dalle mani femminili. Motivi floreali, simbologie arcaiche e ricami che rimandano a culture millenarie. Ogni Suzani si compone di trame diverse e variegate, che unite formano un disegno unico. Una trama che sembra trasportare lo sguardo verso orizzonti epocali. Così come i ricami tipici dell’Asia Centrale, anche l’identità dell’Uzbekistan ha preso forma lentamente, cucita tra origini secolari e modernità.

Gli abitanti di questo luogo, esattamente come le qizlar – le giovani donne che ricamano in silenzio i tessuti del futuro – hanno intrecciato per secoli un’identità spesso relegata all’ombra, nascosta sotto le trame di dominazioni straniere e lunghi silenzi. Ma il 1° settembre 1991 il Paese ha ripreso in mano l’ago. E ha ricominciato a cucire. In questo nuovo tessuto nazionale, anche il calcio ha trovato il suo spazio: da semplice filo marginale a trama portante.

Per tracciare una narrazione completa sull’evoluzione dell’Uzbekistan e, parallelamente, del suo calcio, è necessario partire dalle origini. Sin dagli albori, questo Paese si è affermato come crocevia di civiltà, popoli e culture. Situato in una zona strategica dell’Asia Centrale, ha mantenuto contatti costanti con popolazioni europee e asiatiche, favorendo importanti migrazioni che hanno plasmato e arricchito la sua cultura millenaria.

uzbekistan
Le antiche mura della fortezza di Mudbrick in Uzbekistan (Jean Pierre Liut / Pexels)

Recenti studi hanno evidenziato la presenza umana sul territorio uzbeko già tra i 40.000 e i 50.000 anni fa, quando le prime popolazioni si stabilirono nell’area deserta creata dalla valle dei fiumi Amu Darya e Syr Darya. Queste genti sono considerate gli antenati delle civiltà che successivamente dominarono l’Asia Centrale durante la storia uzbeka: i Sogdiani, stanziati a nord dell’Amu Darya, e i Battriani, a sud del Syr Darya. Durante l’età della pietra, una popolazione sedentaria si stabilì nella zona dei Monti di Nurata, segnando un’importante tappa nello sviluppo culturale e sociale della regione.

Dal periodo di dominazione Achemenide sotto Ciro il Grande (545 a.C.) all’evoluzione greca, sotto il dominio di Alessandro Magno (dal 330 a.C.), la storia dell’Uzbekistan si struttura intorno al cambiamento costante, di lingua e cultura. Basti pensare al matrimonio tra il condottiero macedone e Rossane, principessa persiana della Battriana. I due celebrarono l’unione a Samarcanda, città che diventerà simbolo di questo incontro tra oriente e occidente.

L’Uzbekistan, nei secoli successivi e fino ai giorni nostri, non cesserà mai di mutare la sua pelle, a seguito di questi incontri più o meno violenti e traumatici. Dalla cultura cinese (in seguito alle invasioni tra I sec. a.C. e II sec. d.C.) alla religione islamica, dalla potenza brutale di Gengis Khan alla geniale amministrazione di Tamerlano (XIV sec.), fino all’epoca contemporanea segnata dall’incontro con Madre Russia. A fine Ottocento infatti i tre khanati uzbeki divennero protettorati russi, fino alla nascita dell’Unione Sovietica nel 1917. È proprio durante questa epoca che che ha inizio il nostro racconto sul calcio uzbeko: un fenomeno che si sviluppa all’interno di una società trasformata e multiculturale, che riflette il sostrato storico e culturale di questo territorio.

Nel 1924, secondo le direttive impartite dall’Unione Sovietica, i territori dell’Asia Centrale vennero suddivisi sulla base delle origini etniche stabilite dal Commissario per le Nazionalità, Iosif Stalin. Nacquero così cinque repubbliche socialiste sovietiche, tra cui la RSS Uzbeka. Con questa nuova organizzazione politica prese forma anche il movimento calcistico locale, che iniziò rapidamente a imporsi come lo sport più popolare.

Nel 1926 si tenne il primo campionato del Paese, la Lega Uzbeka. I club che si misero maggiormente in evidenza furono quelli della capitale, in particolare Sbornaya Tashkenta e Sokol Tashkent. Tuttavia, la squadra che più di tutte ha segnato la storia del calcio uzbeko è il Pakhtakor FC, l’unico club della RSS Uzbeka a giocare nella massima serie sovietica per ben 22 stagioni. Oltre a questo primato, è stato anche l’unico club dell’Asia Centrale a raggiungere la finale di Coppa Sovietica.

Il calcio crebbe a dismisura nell’Unione Sovietica e in Uzbekistan in particolare, fino a diventare lo sport più popolare. La Seconda Guerra Mondiale, tuttavia, rallentò questa crescita, che riprese con forza solo nel dopoguerra. Nel 1946, a conflitto concluso, il calcio uzbeko fu ufficialmente regolamentato con la fondazione della Federazione Calcistica dell’Uzbekistan, l’organo che ancora oggi governa il movimento calcistico nazionale e le sue diramazioni.

Come accennato, il club che rappresentò l’Uzbekistan sull’intero territorio sovietico fu senza dubbio il Pakhtakor FC. Fondato a Tashkent nel 1956, scese in campo per la prima volta l’8 aprile dello stesso anno, affrontando una squadra di Perm, in Russia. Dopo alcune stagioni di assestamento, nel 1959 il club ottenne la prima, storica promozione nella Massima Divisione sovietica: un risultato che simboleggiò l’orgoglio di tutto il calcio uzbeko.

Seguì un periodo di continui saliscendi tra la Massima Divisione e la Prima Divisione sovietica, fino a raggiungere un traguardo storico nel 1968, quando il Pakhtakor disputò la finale della Coppa Sovietica – impresa mai riuscita a nessun’altra squadra dell’Asia centrale. La finale si concluse con una sconfitta di misura, 1-0 contro il Torpedo Mosca, privando il club della possibilità di accedere alla Coppa delle Coppe UEFA. Nel 1971 il Pakhtakor retrocesse nuovamente, ma riuscì a tornare subito nella massima serie l’anno successivo. Durante tutta l’epoca sovietica fu l’unica squadra uzbeka a partecipare stabilmente al campionato dell’URSS, raggiungendo come miglior piazzamento il sesto posto, in due occasioni: 1962 e 1982.

Il Pakhtakor contribuì in maniera decisiva a far crescere l’intera visione del calcio in Uzbekistan, tanto che sempre più ragazzi iniziarono a seguire la squadra e a sognare di diventare calciatori. Nel corso dell’epoca sovietica, infatti, molti giocatori uzbeki riuscirono a mettersi in mostra anche con la maglia della nazionale. Il nome più celebre di quel periodo è senza dubbio Berador Abduraimov, considerato il calciatore uzbeko più famoso dell’epoca: ha disputato 358 partite con il Pakhtakor, è stato capocannoniere della massima serie sovietica nel 1968 e ha rappresentato l’Unione Sovietica a livello giovanile. Accanto a lui, altri nomi di spicco furono Gennadi Krasnitsky, il portiere Yuri Pshenichnikov e Andrey Pyatnitsky. Tutti calciatori che vestirono la maglia dell’URSS e contribuirono in modo determinante alla crescita e alla visibilità del calcio in Uzbekistan.



Il 1979 segnò per il calcio uzbeko una delle pagine più drammatiche della sua storia. L’11 agosto, un aereo Tupolev Tu-134 della compagnia Aeroflot, diretto a Minsk, entrò in collisione con un altro velivolo nei cieli sopra Dniprodzeržyns’k. A bordo c’era l’intera squadra del Pakhtakor Tashkent, il club simbolo dell’Uzbekistan nell’élite del calcio sovietico. Morirono 178 persone, tra cui 17 membri del club, compresi giocatori, staff tecnico e dirigenti.

Per l’Uzbekistan, quell’incidente non fu solo una tragedia sportiva: spezzò un sogno collettivo e mise a lutto un’intera repubblica. Il dolore fu così grande che la federazione sovietica adottò una misura senza precedenti: per tre stagioni, le squadre della Top League furono obbligate a cedere gratuitamente un giocatore al Pakhtakor per aiutarlo a ricostruire la rosa. Il club divenne simbolo di resilienza e memoria, mantenendo viva la fiaccola del calcio uzbeko nonostante la ferita insanabile di quella perdita.

Gli anni Ottanta segnarono un periodo di difficoltà per il calcio uzbeko. Dopo il trauma del 1979, il Pakhtakor, pur ricostruito con l’aiuto delle altre squadre sovietiche, non riuscì più a ritrovare la competitività che lo aveva reso un simbolo negli anni precedenti. Le nuove generazioni di talenti non bastavano a colmare il vuoto lasciato dalla tragedia, e il club faticava a imporsi nella Top League sovietica, oscillando tra metà e bassa classifica.

Questo declino si rifletteva sull’intero movimento calcistico uzbeko: poche infrastrutture moderne, scarsa attenzione mediatica e un sistema ancora fortemente centralizzato a Mosca limitavano le possibilità di sviluppo. Il calcio rimaneva popolare tra la gente, ma lontano dai vertici del calcio sovietico, relegato a un ruolo marginale rispetto alle potenze storiche come Dinamo Kiev, Spartak Mosca o CSKA.



Questa crisi calcistica rifletteva in parte quella più ampia che attraversava l’Unione Sovietica. Negli anni Ottanta, il sistema socialista mostrava tutte le sue crepe: stagnazione economica, carenze produttive e un apparato burocratico inefficiente minavano la stabilità del Paese. Le riforme del presidente Gorbaciov, con la perestrojka e la glasnost, cercarono di modernizzare l’economia e liberalizzare la società, ma finirono per accelerare il processo di disgregazione.

Le repubbliche periferiche, tra cui l’Uzbekistan, iniziarono a rivendicare maggiore autonomia politica ed economica, alimentando spinte indipendentiste. In questo contesto di incertezza, anche il calcio viveva la stessa precarietà: club legati alle strutture statali si trovarono senza risorse e senza un chiaro progetto per il futuro. Il legame tra sport e sistema politico appariva evidente: quando l’URSS iniziò a sgretolarsi, anche il suo apparato calcistico si avviò verso il collasso.

Collasso che ebbe luogo ufficialmente nel 1991 segnò la dissoluzione definitiva dell’URSS e la nascita di diversi stati autonomi nell’ormai ex territorio sovietico. Il 31 agosto del medesimo anno, l’Uzbekistan dichiarò la propria indipendenza dall’Unione Sovietica. Una svolta epocale per il Paese che, dopo secoli di dominazioni straniere, poteva finalmente mostrare il proprio volto. Le persone iniziarono a sventolare le bandiere nazionali, dalle strade di Tashkent fino alle province più periferiche. Tutti celebravano l’indipendenza dell’Uzbekistan e il sentimento nazionale era più forte che mai. Gli uzbeki erano pervasi dal desiderio di rinascere, dando impulso allo sviluppo di ogni ambito del Paese. Anche il calcio ebbe un ruolo centrale, diventando un collante per la società e un mezzo per esprimere il proprio senso patriottico.

Le redini del governo vennero prese da Islam Karimov, un presidente estremamente autoritario ma che si impegnò a garantire sicurezza e progresso, eliminando ogni minaccia interna ed esterna. Un ruolo non semplice, assunto in un momento di grande instabilità e di transizione. Questa fase di cambiamento, tra il dominio sovietico e l’autonomia post-URSS, si rifletteva anche nel mondo del calcio.

Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica crollò infatti anche la selezione nazionale sovietica. In risposta alla disgregazione, venne costituita la nazionale di calcio della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), composta dai calciatori delle ex repubbliche sovietiche. Tale rappresentativa, però, partecipò solo al Campionato Europeo del 1992, dopodiché ciascuna nazione aderente alla CSI iniziò a costituire la propria nazionale indipendente, aprendo la strada alla nascita della selezione uzbeka.

L’Uzbekistan esordì ufficialmente a livello internazionale il 17 giugno 1992 a Dušanbe contro il Tagikistan, pareggiando 2-2 in un match valido per la prima edizione della Coppa dell’Asia Centrale. La nazionale uzbeka concluse il torneo al secondo posto, alle spalle del Kazakistan, mentre nel 1993 non disputò alcun incontro ufficiale. Nel medesimo anno si tenne anche la prima edizione della O‘zbekiston Superliga, la massima serie del calcio locale. Diciassette squadre presero parte al campionato, che si concluse con un risultato storico: Pakhtakor Tashkent e Neftchi Farg‘ona terminarono a pari punti, 51, condividendo così il primo titolo del campionato uzbeko in assoluto.

Nel 1994, la Federazione calcistica dell’Uzbekistan fu ricostituita e ottenne l’affiliazione a FIFA e alla Confederazione calcistica asiatica (AFC), sancendo ufficialmente l’ingresso del calcio uzbeko nello scenario internazionale e consolidando la struttura organizzativa della nazionale e del campionato nazionale. Nello stesso anno, la nazionale uzbeka vinse i Giochi asiatici, in un momento in cui il Paese si stava appena riprendendo dopo l’indipendenza.

Si registrò una crescita significativa del calcio locale: il seguito tra il pubblico aumentava, e le squadre nazionali, tra cui il Pakhtakor Tashkent, iniziavano a strutturarsi in modo più solido e competitivo.

La vera e propria crescita si manifestò nei primi anni 2000, quando la selezione Under-20 si qualificò per il Campionato mondiale giovanile FIFA 2003, ospitato negli Emirati Arabi Uniti. Anche a livello giovanile si ottennero risultati importanti: l’Under-19 raggiunse le semifinali dei Campionati AFC Under-19 due volte, nel 2012 e nel 2014, e una volta si qualificò per la finale nel 2008. Sebbene senza vittorie in competizioni di vertice, il calcio uzbeko dimostrava una crescita costante, soprattutto partendo dal settore giovanile.

Il tutto avveniva in un clima politico complesso, con il presidente Islam Karimov saldamente al potere e impegnato a eliminare ogni oppositore politico. Durante tutto il suo mandato, tutti i partiti di opposizione, anche moderati – tra cui i più influenti Erk (“Volontà”) e Birlik (“Unità”) – furono vietati, e nessuna corrente dissenziente poteva esprimersi. Il carattere islamico del Paese venne fortemente represso, mentre media, vita sociale, politica, economia e cultura rimasero sotto il controllo stretto dell’apparato statale di censura.

In un clima politico complesso, la nazionale uzbeka ottenne pochi risultati di rilievo fino alla Coppa d’Asia 2004 in Cina, dove raggiunse i quarti di finale ed uscì ai rigori contro il Bahrein. Due anni più tardi, durante le qualificazioni per il Mondiale 2006, l’Uzbekistan fu protagonista di una delle sfide più controverse della storia del calcio asiatico, sempre contro il Bahrein.

All’ultimo turno delle qualificazioni, le due squadre si contesero l’accesso allo spareggio tra le terze classificate dei due gironi finali. La prima partita, vinta 1-0 dall’Uzbekistan, fu annullata dalla FIFA per un evidente errore dell’arbitro giapponese Yoshida. In quel match, un rigore trasformato da Djeparov fu annullato per invasione di un giocatore uzbeko, ma anziché ripetere il tiro, l’arbitro assegnò un calcio di punizione al Bahrein. La ripetizione finì 1-1 e la partita di ritorno 0-0, decretando l’eliminazione dell’Uzbekistan. Il caso suscitò forti polemiche, poiché l’annullamento e la gestione del rigore favorirono la squadra avversaria, privando l’Uzbekistan della possibilità di accedere allo spareggio con la quarta classificata del raggruppamento CONCACAF, ovvero Trinidad e Tobago.

Ma il vero salto di qualità si ebbe negli anni successivi: nella Coppa d’Asia 2011 la squadra raggiunse la semifinale, chiudendo al quarto posto, un risultato storico per il Paese. Nelle qualificazioni per il Mondiale 2014, pur senza ottenere il pass, l’Uzbekistan registrò la sua migliore media punti di sempre in un girone finale asiatico, confermando la crescita tecnica e competitiva. Nel 2015, il Paese fu tra i fondatori della Federazione calcistica dell’Asia Centrale (CAFA), rafforzando la propria presenza regionale.

Nei tornei successivi, tra Coppe d’Asia e qualificazioni mondiali, la squadra continuò a ottenere piazzamenti significativi, superando gironi e raggiungendo ottavi e quarti di finale, evidenziando una maturazione ormai evidente del calcio uzbeko a livello internazionale.

Questi progressi coincidono con importanti mutamenti politici in Uzbekistan. Alla morte del presidente Islam Karimov, nel settembre 2016, il potere passò a Shavkat Mirziyoyev, già primo ministro. Alle elezioni di dicembre, Mirziyoyev venne eletto con l’88,6% dei voti, presentandosi come un leader più aperto e progressista rispetto al predecessore. Avviò una graduale liberalizzazione interna, allentando la repressione politica e promuovendo riforme economiche e sociali.

La sua politica estera attiva e le visite nelle regioni segnarono una nuova fase per il Paese, che da allora ha vissuto una crescita costante. Nel 2021 è stato rieletto e, due anni dopo, confermato nuovamente. Questo processo di modernizzazione non ha riguardato solo la società e l’economia, ma anche lo sport: il calcio, in particolare, è diventato simbolo di un Uzbekistan sempre più proiettato verso il futuro.

L’ascesa della nazionale uzbeka, la più blasonata dell’Asia Centrale, però, parte da lontano. La semina a livello giovanile è stata di quelle importanti, e i risultati oggi sono sotto gli occhi di tutti: solo negli ultimi anni, a livello giovanile, i Lupi Bianchi hanno conquistato la Coppa d’Asia U23 (2018) e raggiunto altre due finali (2022, 2024), vinto la Coppa d’Asia U20 (2023), centrato gli ottavi di finale al Mondiale U20 (2023) e partecipato per la prima volta alle Olimpiadi (2024).

Sebbene la Nazionale Maggiore non sia riuscita a qualificarsi al Mondiale 2022, chiudendo il girone con 15 punti in 8 partite, il vero salto di qualità arriva nel biennio 2023-2024. Prima con la partecipazione alla CAFA Nations Cup, torneo per le nazionali dell’Asia Centrale, in cui gli uzbeki si piazzano al secondo posto dietro l’Iran. Poi con la splendida avventura alla Coppa d’Asia 2023, disputata nel 2024: dopo aver chiuso il girone dietro all’Australia, la squadra elimina la Thailandia agli ottavi (2-1) e ai quarti tiene testa ai padroni di casa del Qatar, futuri campioni, uscendo solo ai rigori dopo l’1-1 dei tempi supplementari (3-2 dal dischetto).

Dopo l’ottimo percorso in Coppa d’Asia, l’Uzbekistan punta al sogno più grande: la qualificazione ai Mondiali 2026. Il sorteggio non è dei più semplici: Iran, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Kirghizistan e Corea del Nord sono le avversarie di un girone che si preannuncia equilibrato. Eppure, la nazionale vive una fase di maturità straordinaria: nelle prime nove giornate ottiene sei vittorie, due pareggi e una sola sconfitta.

Poi arriva la serata che può cambiare la storia: 5 giugno, Abu Dhabi. Basta un pareggio contro gli Emirati Arabi per blindare il secondo posto e conquistare l’accesso diretto alla fase finale. Al termine di novanta minuti di tensione, lo 0-0 è realtà. L’Uzbekistan si qualifica per la prima volta a un Mondiale, diventando il primo Paese dell’Asia Centrale a strappare un biglietto per il palcoscenico più prestigioso del calcio globale.

Ma com’è stato possibile che una nazione così giovane, nata dall’indipendenza solo pochi decenni fa, sia riuscita in così poco tempo a crescere fino a questo livello?

Innanzitutto, parte del merito va sicuramente riconosciuto ai vertici statali che, dopo decenni sotto un regime autoritario come quello di Islam Karimov, hanno avviato un processo di rinnovamento, aprendo il Paese a nuovi orizzonti politici, economici e culturali. L’Uzbekistan si è aperto al mondo e al dialogo internazionale, diventando anche un’ambita meta turistica per gli occidentali. Questo miglioramento politico-culturale si è rispecchiato anche nella crescita sportiva: sono stati fatti investimenti in infrastrutture, nuovi stadi, centri sportivi e nella modernizzazione delle strutture esistenti.

Parallelamente, sono stati effettuati investimenti importanti nelle infrastrutture: nuovi stadi, centri sportivi all’avanguardia e modernizzazione delle strutture già esistenti. Anche la Federcalcio uzbeka ha giocato un ruolo determinante, attuando riforme strutturali per migliorare la formazione dei giovani calciatori. Il modello di riferimento è stato quello delle accademie europee: da qui è nata la Uzbekistan Pro League 2, una terza divisione pensata come laboratorio per far crescere i talenti emergenti.

I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Da queste accademie sono emersi giocatori che stanno scrivendo la storia del Paese: Eldor Shomurodov, che abbiamo conosciuto in Serie A con le maglie di Genoa, Roma, Spezia e Cagliari; il difensore classe 2004 Abdukodir Khusanov, protagonista di una scalata incredibile dalle giovanili del Bunyodkor fino al Lens, e poi acquistato dal Manchester City per 40 milioni di euro; senza dimenticare il giovanissimo attaccante Abbosbek Fayzullaev, oggi in forza all’İstanbul Başakşehir. Tutti talenti cresciuti in Uzbekistan e valorizzati grazie a investimenti mirati e un progetto chiaro. Un progetto che li ha visti, prima di tutto, grandi protagonisti delle prestazioni nelle giovanili – di cui abbiamo parlato poc’anzi.

Ma ciò che ha reso l’Uzbekistan uno dei fiori all’occhiello del calcio asiatico è stato senza dubbio l’arrivo a Tashkent di Srečko Katanec. L’allenatore sloveno, atterrato nel 2021 per ricostruire sulle macerie tecniche ed emotive lasciate dalle mancate qualificazioni ai Mondiali dall’indipendenza fino al 2022, ha portato una visione di calcio pragmatica, volta a valorizzare quanto di buono aveva da offrire il movimento locale e a intervenire con decisione laddove esso mostrava delle falle.

Sebbene abbia lasciato la nazionale prima della qualificazione matematica, nel gennaio 2025, Katanec è stato il vero architetto della scalata uzbeka, plasmando principi di gioco chiari e riorganizzando la struttura della squadra. Il suo merito più grande è stato quello di accelerare il ricambio generazionale, sfruttando al massimo il serbatoio di talenti proveniente dalle accademie nazionali.

Questa nazionale, però, è frutto non solo del talento dei giocatori, ma anche della storia che li ha preceduti. Si è sostentata del lavoro, dei sacrifici e dei sogni interrotti delle generazioni passate. Il pensiero va inevitabilmente ai ragazzi del Pakhtakor, che nel tragico incidente del 1979 persero la vita, ma il cui ricordo è rimasto vivo. Le nuove generazioni di calciatori, allenatori e appassionati hanno saputo custodire quella memoria, trasformandola in motivazione e orgoglio per costruire il futuro del calcio uzbeko.

Ora l’obiettivo sarà semplicemente godersi la partecipazione ai Mondiali. Qualunque sia il risultato sul campo, l’Uzbekistan ha già vinto: in poco più di trent’anni è passato dall’essere una regione all’interno di un enorme impero a qualificarsi tra le migliori nazionali al mondo.

Ma l’Uzbekistan, come le le qizlar, continuerà a ricamare la propria storia: pazientemente, seguendo il filo del suo passato; con ambizione, come la voglia di riscatto che il Paese ci sta mostrando. E, come in ogni suzani, ogni filo intrecciato – dalla cultura al calcio – contribuisce a tessere il grande arazzo di un Paese che, con costanza e determinazione, costruisce il proprio futuro.

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