Un gesto troppo rischioso per il calcio come scienza.
Tra compiti tattici sempre più stringenti, expected goals e pressing organizzato, il calcio contemporaneo – malato di controllo fino a convertirsi in scienza – ha perso una delle sue espressioni più nobili e spontanee: il tiro da lontano. Non lo diciamo noi, lo certifica Der Spiegel, che dati alla mano ha analizzato il calo di uno dei gesti tecnici più belli di questo sport. Il quotidiano tedesco ha messo sotto la lente oltre 347.000 tiri concentrandosi sulle ultime dieci stagioni nei cinque maggiori campionati europei. Il dato più evidente?
La distanza media di tiro è calata di quasi due metri, da 16,34 a 14,35 metri. E con essa è diminuito anche il numero di gol segnati.
Ma i numeri non bastano, serve capire il perché. E qui si apre la vera crepa del nostro tempo: il calcio è diventato calcolo, non più istinto. Le squadre non cercano il gol immediato, ma il possesso paziente. E in questo il tiro da fuori è visto come una scelta impulsiva, inefficiente, non produttiva. Meglio un passaggio in più che ‘forzare’ la giocata. Un modus operandi che parte spesso dalle giovanili, quando troppi allenatori consigliano ai ragazzi di ripartire da dietro per paura del contropiede. Tutto deve seguire la logica fredda dei numeri. La massimizzazione di ogni azione. Ma non solo, riguarda anche il miglioramento di alcuni ruoli.
Marius Thomas, analista dell’Eintracht Frankfurt, ha spiegato come il pressing alto e il contropressing abbiano limitato il tempo a disposizione per tentare tiri da lontano. Gli attaccanti oggi sono braccati da difensori iper-atletici e portieri sempre più preparati. Ma al di là di questo, la demonizzazione del tiro da fuori poggia sulla logica scientifica dei numeri. Gli expected goals ci dicono che un tiro da sei metri può valere anche il 40% di chance di realizzazione. Dai 25 metri si scende all’1 o 2%. In un mondo nevrotico, in cui il ruolo dell’allenatore diventa ‘il più stressante che ci sia’, come propone un altro studio di France Football, non si può perdere il controllo nemmeno per un attimo, per una conclusione (da fuori).
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Persino i calci di punizione hanno perso coraggio. Sempre secondo lo studio citato da Der Spiegel, nella Premier League si tira sempre meno direttamente in porta: nel 2012/13 era il 27% dei casi, oggi appena il 17%. Anche sulle palle inattive, meglio lo schema. Meglio il controllo. Meglio tutto, tranne la sorpresa. È uno “sviluppo naturale del gioco”, per citare Pascal Bauer, responsabile Sports It & Data Analytics della Federcalcio tedesca. E così il calcio ha rinunciato alla bellezza per paura dell’errore. Ogni tiro è una potenziale perdita del possesso, e perdere il possesso oggi è un peccato capitale.
Il tiro da lontano era il gesto tecnico più anarchico, più individuale, più coraggioso. Una forma di libertà, una di quelle cose per cui ci innamoravamo del calcio e che, sognando, provavamo a replicare. Oggi è una bestemmia tattica.
Certo, qualche bagliore resiste. Durante gli Europei 2024 si è vista una timida resurrezione dei gol da fuori: 0,72 a partita, contro lo 0,35 della precedente edizione. Forse le Nazionali, con meno tempo per preparare le partite e più coinvolgimento emotivo, più protagonismo di certi giocatori di carattere, sono più istintive. Forse il talento, se lasciato libero, qualcosa ancora riesce ancora ad inventarlo. Eppure, la direzione è chiara: oggi si segna meno da fuori perché si rischia meno. Si sogna meno. E in un calcio senza sogni, il gol da lontano resta un ricordo in bianco e nero.
Foto copertina Liverpool Echo