Papelitos
12 Ottobre 2025

Salviamo Pio Esposito dalla fenomenite

Perché la stampa, stavolta, non abbia la meglio.

L’Italia è uno dei paesi più vecchi del mondo, con circa 48 anni di età media. Numeri alla mano si tratta di un dato significativo per comprendere molte delle dinamiche correnti, altrimenti ascrivibili all’etere. In un paese che ha eletto biologicamente a propria maggioranza le persone più anziane, i giovani, quelli veri, sono una minoranza totale come ha spesso sottolineato Dario Fabbri. E risicatissima peraltro. Quasi una specie in via di estinzione, da proteggere, tutelare e coccolare.  Lo sport e il calcio non fanno eccezione.

Nel calcio in particolare, da molti anni a questa parte, l’emergere di giovani talenti italiani sembra una sorpresa paragonabile all’avvistamento di qualche animale ritenuto in via d’estinzione e sopravvissuto miracolosamente alla caccia e ai disboscamenti.

Il che alla lunga finisce per rendere questi stessi talenti dei fenomeni mediatici. Siamo messi talmente male, come nazionale e come movimento, da esaltarci non appena un giocatore ci sembra anche solo vagamente in odore di essere potenzialmente un buon calciatore.



Oggi a essere inserito (suo malgrado, sia chiaro) nella lunga sfilza di futuri fenomeni, è l’attaccante dell’Inter Francesco Pio Esposito. Il classe 2005 si è ritagliato il (non semplicissimo, va ammesso) ruolo di vice-Lautaro nella nascente Inter di Christian Chivu. Pur attribuendo i giusti meriti alla dirigenza e all’allenatore nerazzurri, in grado (per il momento) di valorizzare un proprio primavera grazie al lavoro dell’ex-allenatore delle giovanili dellla squadra meneghina; ritenendo, altresì, che Pio Esposito sia dotato di una fisicità certo importante, nonché di una buona presenza in area di rigore, il pandemonio mediatico scatenatosi intorno al centravanti interista è a dir poco demenziale.

Tale clamore non riguarda tanto e solo la stampa. Le offerte (presunte) per Esposito aumentano esponenzialmente al prezzo richiesto o allo sdegnato “incedibile”, che spesso i club nostrani appongono ai loro pezzi ritenuti più pregiati. Specialmente se questi ultimi sono giovani e italiani. Il problema è che questi aggettivi sono spesso l’emblema del nulla più assoluto. Sintomatico di un’eccezione che, in quanto tale, esige un prezzo più alto e non riflette realmente il valore del calciatore suddetto. Finendo per creare delle aspettative così alte dal perdere di vista le concrete qualità del ragazzo.



Non è un caso che da anni, in una nazionale sempre più arida di talento e di qualità sotto porta, il numero di potenziali centravanti vaporizzati sotto il peso delle aspettative e dei panegirici dei nostri rotocalchi si sprechi. Più o meno nell’ordine ricordiamo i vari Paloschi, Berardi, Belotti, Longo, Cutrone, Bonazzoli, Pinamonti, Gnonto (quello del numero 10 sulla maglia) senza scomodare casi limite come El Shaarawy. E con un occhio anche a Camarda, per cui vale lo stesso ragionamento di Pio Esposito.

Bruciati. Con carriere a volte altalenanti, altre volte buone, altre volte anche da decifrare ma comunque lontane da alcuni dei picchi prospettati in partenza. Che questo non avvenga o avvenga meno per altri reparti che non siano l’attacco, è a sua volta indicativo. Un portiere, un difensore o persino un centrocampista italiano, pur entro gli stessi meccanismi di aumento spropositato del valore “perché giovani e italiani”, toccano corde molto meno sensibili di una stellina nel reparto d’attacco.

Perché è da decenni che non produciamo calciatori offensivi al livello di altre nazionali e perché, salvo miti come Meazza o Piola, il peso degli attaccanti in termini di gol nella storia della nazionale italiana è sempre stato molto più limitato di quanto avvenuto, ad esempio, per Portogallo, Brasile, Francia o Argentina. Ingolositi dall’aver trovato finalmente un degno condottiero, lo portiamo fino all’Olimpo, senza avergli dato nemmeno la possibilità di esprimersi pienamente.

In merito a Pio Esposito, come saggiamente affermato dal suo agente, Giuffredi:

“Non mi piace come si parla di lui con troppa importanza e troppo clamore. Deve vivere la sua vita sereno, senza aspettative atomiche. È un ragazzo molto equilibrato, che sa che verranno momenti difficili anche per lui. Andrei cauto o calmo nel dire che sarà il centravanti della Nazionale per i prossimi 10 anni. Dovrà dimostrare come tutti calciatori. Se sarà così, significherà che avrà dimostrato. Noi cerchiamo di trasmettergli lo stare coi piedi per terra”.

Diceva Aristotele che la vera saggezza sta nella moderazione. Dunque anche una rarità (e lo è per davvero) come un giovane calciatore italiano di ruolo attaccante e di discrete qualità, deve essere filtrato attraverso la ragione e il buon senso. Per non ridurlo a fenomeno da baraccone prima di abbandonarlo nel dimenticatoio.

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