Signori cari, qual è lo scopo di questa rubrica? Nessuno, direte voi, e avreste mica torto. Ma se uno scopo le volessimo trovare, oltre a sorridere dell’apocalisse e danzare sulle macerie, sarebbe almeno quello di andare oltre i soliti ritornelli abusati, consumati, ottusi, sconfortanti, triti e ritriti fino a tritare i… vabè, avete capito. Frasi fatte estenuanti proprio dal punto di vista della sopportazione umana, in quest’inflazione di stronzate impegnate che ogni giorno siamo costretti, nostro malgrado, a sentire. Sapete gli stereotipi stantii, quelli già ben oltre la data di scadenza, ancora più irritanti se vogliono trasmettere lezioni edificanti, fare la morale, “lanciare messaggi” – brrr, un brivido mi ha attraversato la schiena.
Ecco allora che entriamo a gamba tesa sul calcio femminile.
Non fraintendetemi, a me il calcio femminile non interessa né nel bene né nel male, non me ne frega proprio nulla e la sua esistenza mi è totalmente indifferente. Giocassero, si affermassero, crescessero come movimento, è un po’ tipo il baseball una roba che non vedrò mai ma mica sto qui a dire che il baseball dovrebbe essere abolito o cose simili (anche se…). Poi posso canzonare ogni tanto qualche svarione delle donne perché nessun altro osa scriverlo, a parte Joey Barton che ha parlato di un livello indegno, rigori in finale ai limiti dell’imbarazzante e quindi ha ammonito “non provate mai più a chiedere la parità salariale, siete lontane anni luce”, aggiungendo un cane che se le mette alle spalle o scorreggia.
Certo, poi c’è sempre quel retropensiero per cui il calcio femminile pare uno sgradevole mimetismo un po’ scimmiesco, per citare Pasolini in una delle sue ultime interviste al mitico Guerin sportivo, ma da allora è passato mezzo secolo, le donne si sono emancipate ulteriormente e quell’ultimo Pasolini era diventato un ultra-conservatore che dedicava poesie ai fascisti come scrive il nostro direttore (“reazionario sgraziato”, si definiva PPP), meglio obliarlo e tenere il feticcio, l’emancipatore l’artista il provocatore, che se a questi levi pure Pasolini poracci cosa gli resta.
E a proposito di stereotipi e macchiette, qui nasce il mio unico problema col calcio femminile – raccontato più che praticato. Sì perché si è ormai inaugurata questa narrazione per cui il football in rosa deve necessariamente diventare un football arcobaleno, impegnato e portatore di diritti, con tutte quelle estenuanti battaglie progressiste, civiliste, femministe che, tra l’altro, non credo proprio a livello commerciale facciano breccia e portino risultati, ma andiamo oltre . . .