Tra i vicoli di Partenope, la futura gloria di Napoli.
Campanilismo bello, addò sì ghiuto? facimmolo nuie pure comme a ll’ate. si no p’ ‘a gente ‘e Napule è fernuto, e nun sarrammo maie cunsiderate.
Talento ne tenimmo, avimmo ingegno: nu poco sulo ca ce sustenimmo, cunquistarrammo chillu posto degno ca, pè mullezza nosta, nun tenimmo.1
Sono passati quasi 14 anni dal 2 Agosto 2004. La settima sezione del tribunale di Napoli rendeva nota la sentenza del fallimento della SSC Napoli. Anni di cattiva gestione della società e di debiti mai del tutto ripianati dall’epoca post-Maradona mettevano definitivamente la parola fine, dopo un lungo calvario, ai sogni della torcida partenopea.
2018. Il Napoli dopo essere arrivato ad un passo “dalla presa del palazzo” sul più bello si è reso conto di essere a corto di energie. Ancora una volta la corazzata Juventus ha fatto sì che si verificasse quello che ad inizio anno sembrava il più scontato degli epiloghi.
Alle pendici del Vesuvio si è passati dall’esaltazione per la testata di Kalidou alla delusione per il sogno infranto, e tutta l’amarezza è stata ovviamente riversata sull’oggetto della critica per eccellenza: Aurelio De Laurentiis. Sicuramente le dichiarazioni rilasciate dopo la débâcle di Firenze sono state fuori luogo (e soprattutto fuori tempo massimo), sicuramente ci si poteva far trovare più pronti durante il mercato di riparazione.
Al di là del carattere esplosivo di ADL, se si analizzano però i fatti in maniera oggettiva, ci si rende conto ancora una volta di quanto abbia fatto di buono la società in questi anni. L’azienda Napoli è sana, con un bilancio a posto, e ha saputo alzare l’asticella tecnica anno dopo anno (malgrado diverse cessioni illustri). Il prossimo anno sarà il nono di fila in Europa. Sicuramente è una delle squadre che ha saputo raccogliere di più in relazione agli investimenti fatti.
Se si distoglie per un attimo l’attenzione dalla gestione virtuosa della prima squadra, ci si rende conto che il vero peccato originale è in realtà il settore giovanile. Il tifoso medio (di tutte le squadre s’intende) è inevitabilmente focalizzato sulle vicende dei senior, troppo impegnato a coltivare sogni di gloria nel presente piuttosto che a fare una critica di prospettiva. Una certa porzione del popolo azzurro potrebbe evitare di sprecare il fiato inutilmente (“Preside’ caccia ‘e sord”) cercando invece di sollevare l’attenzione su un tema che potrebbe rivelarsi fondamentale nei prossimi anni e che troppo spesso passa in sordina.
Diciamocela tutta, la SSC Napoli ha un proprietario che (a meno di una clamorosa e scellerata follia) non potrà mai permettersi gli investimenti di corazzate finanziarie come la Juventus, il Real Madrid, il Bayern Monaco o i petroldollari dello sceicco di turno. Perché non provare allora a costruirseli in casa i campioni visto che il materiale autoctono è sempre stato di pregevole fattura? In passato sono state diverse le squadre in cui giocatori provenienti dal vivaio hanno contribuito pesantemente alla nascita di cicli vincenti.
Basti pensare ai vari Baresi, Maldini, Costacurta ed Evani che diedero nel Milan stellare di Sacchi un apporto significativo al pari degli olandesi. La macchina da guerra che era l’Ajax dei primi anni ’70 poteva contare su amsterdammers come Cruijff, Krol (successivamente approdato a Napoli!) e Keizer. Caso abbastanza recente e ancora più eclatante è stato il Barcellona di Guardiola, capace di vincere tutto con tantissimi campioni cresciuti in casa.
Se vogliamo dirla tutta lo stesso Napoli Maradoniano riuscì a proclamarsi campione nell’anno del primo scudetto contando su diversi napoletani. Oltre a Ciro Ferrara in squadra c’erano diversi calciatori del vivaio come Muro, Caffarelli e Volpecina. È vero che parliamo di gregari del pallone, ma quanto può essere importante nei momenti decisivi avere in campo uomini che sentono la maglia come fosse una seconda pelle? I campioni costruiti in casa sono quelli che più di tutti possono in qualche modo trasmettere la mentalità della squadra agli stranieri, rimettere in riga lo sbandato di turno, fare da chioccia ad altri giovanissimi per costruire in diritto di successione i capitani del futuro, garantendo così il ricambio generazionale.
09/11/1986 – Il Napoli vince in trasferta contro la Juventus e trova lo slancio per coronare il sogno del primo tricolore. Sigillo finale di Giuseppe Volpecina
Fu a cavallo tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80 che arrivarono le maggiori soddisfazioni in ambito giovanile. Nella stagione 78/79 il Napoli Primavera si laureò per la prima volta campione d’Italia. In quella rosa manco a farlo apposta militavano tutti i nomi citati precedentemente (a meno di Ferrara) e a questi si aggiungevano Di Fusco, Marino e Celestini. L’ossatura di quella primavera confluì in prima squadra e fece parte del roster tricolore 86/87.
Completavano il quadro del Napoli scudettato i vari “palo ‘e fierro” Bruscolotti, Romano, Carannante, De Napoli, Puzone e Castellone. Il 60% della squadra era campana. E’ vero, c’era il marziano che avrebbe fatto vincere anche 4 scappati di casa, ma per una volta sorvoliamo. Arrivarono anche altri trionfi nella categoria Allievi, con tre affermazioni negli anni ’84, ’88 e ’90 (dice niente il nome di Fabio Cannavaro?).
L’ultima scintilla ci fu nella stagione 96/97 con un’altra vittoria del campionato Allievi, poi il vuoto. Inevitabilmente anche in ambito giovanile si iniziò a pagare un conto salato per colpa di una gestione societaria scellerata. Mentre il Napoli sopravviveva e si avviava verso un lento e scontato destino erano troppi i calciatori a fiorire lontano da casa: Di Natale, Quagliarella, Floro Flores, Borriello, Nocerino, Sorrentino. Casi più recenti quelli di Immobile, Criscito e Bocchetti. Ma che cosa facevano gli osservatori in quel periodo?
Sale a questo punto il dubbio che non esistessero già più. I giocatori sopra citati hanno sicuramente avuto un ruolo da protagonisti nella Serie A degli ultimi anni, mentre non si può dire lo stesso per i vari Hoffer, Edu Vargas, Navarro, Victor Ruiz, Fideleff, Britos. È normale che non tutte le ciambelle riescano col buco ma tanti investimenti di cartellini potevano servire per rafforzare il vivaio. Nel lontano 2011 si parlò de La Scugnizzeria. Un raggiante ADL intervenendo alla radio ufficiale dell’epoca fece dichiarazioni in pompa magna, chiedendo ai tifosi di raccogliere vari plausibili nomi per quella che doveva diventare la cantera partenopea.
Non sapremo mai se il progetto sia rimasto incompiuto a causa di ADL o per mezzo degli enti locali (spesso la verità sta nel mezzo), fatto sta che il Napoli Primavera nelle ultime 4 stagioni non è riuscito ad arrivare ai play-off per giocarsi il titolo e quest’anno ha navigato nelle zone più basse della classifica (evitati i playout solo all’ultima giornata con un 3-1 ai danni della Sampdoria).
Ad oggi, per mangiarsi ulteriormente le mani, si segnalano: lo stabiese Gigio Donnarumma; Rolando Mandragora, cresciuto a Scampia ed attuale capitano dell’under 21, di proprietà della Juventus; Giuseppe Pezzella, in forza all’Udinese, che ha fatto tutta la trafila delle nazionali giovanili e milita anch’egli nell’under 21.
Per il momento Insigne resta l’unica espressione di profeta in patria degli ultimi anni. La speranza è quella che possa essere il momento buono per invertire la tendenza. In casa Napoli qualcosa si muove, sperando che non sia l’ennesimo fuoco di paglia e che si possa dare una particolare attenzione ai giovani. Per quanto concerne i profili rimasti in casa c’è l’augurio che in futuro possano esplodere Ciro Palmieri (che per un niente non è finito al Chelsea) e Gianluca Gaetano (blindato dopo le avances del Liverpool), attuali capocannonieri della Primavera.
Da tenere infine d’occhio Gennaro Tutino che con una tripletta in Cosenza-Trapani, ultima giornata del campionato di Serie C – Girone C, ha trascinato la squadra calabrese ai play-off. Sulla base di tutte le argomentazioni fatte e basandosi sull’apporto non significativo che hanno dato le riserve in prima squadra per la rincorsa allo scudetto, c’è di nuovo da chiedersi: che cosa è mancato a questo Napoli?
NOTE
1. Tratto da Campanilismo, Raffaele Viviani (1931)
Abbiamo intervistato la professoressa Maria Luisa Iavarone sul ruolo che lo sport può recitare come fenomeno sociale, creando comunità dal basso e sottraendo i giovanissimi alla strada.