Una società coi conti in rosso per un calcio indebitato.
E così i diritti tv della Serie A, dopo la solita fase di stallo, a cui i vari Presidenti ci hanno abituato da ormai 5-6 anni, sono stati di nuovo assegnati a Dazn. Per la precisione a Dazn e Sky, per la cifra minima richiesta dalla Lega di 900 milioni all’anno (700 Dazn, 200 Sky) e con la solita formula di 3 partite in co-esclusiva. Stavolta però con una novità nell’accordo: questo avrà infatti una durata di cinque anni, al contrario dei soliti tre. Ma aldilà dei problemi tecnici a cui Dazn ci ha abituati nelle ultime stagioni, come può una società con i conti in rosso, da ben due stagioni, aggiudicarsi i diritti televisivi per i prossimi cinque anni?
A quanto pare a Dazn la lezione già impartita da Tim non è bastata: nell’ultimo triennio la piattaforma di streaming, alleandosi con Tim, ha tolto lo scettro del calcio italiano a Sky; la qualità del prodotto però è nettamente peggiorata e gli abbonamenti non sono decollati, portando Tim a sfilarsi e lasciando Dazn a doversi far carico delle spese rimanenti. E se sul piano infrastrutturale, dal 2018 ad oggi, Dazn ha fatto dei grandi progressi, sul piano economico la situazione non è delle più rosee.
Il sito ufficiale della società ha infatti rilasciato “l’anual review 2022”, che parla di 2,3 miliardi di guadagni con un incremento del 70% rispetto al 2021; quello che non viene citato, però, è il dato delle perdite.
La società di Len Blavatnik negli ultimi dati che siamo riusciti a trovare, ovvero il bilancio 2021, ha fatto segnare ben 2,33 miliardi di dollari di rosso. Questo dopo gli 1,4 miliardi di rosso del 2019 e gli 1,3 miliardi del 2020. Quello che stiamo citando non è un dato di poco conto, anche considerato il fatto che da ormai due anni, pur di risparmiare il più possibile nella produzione dei suoi contenuti, Dazn Italia sceglie di commentare la maggior parte delle partite di Serie A dal proprio studio di Milano, senza inviare i telecronisti allo stadio. Una scelta a risparmio ma un prodotto finale che ovviamente ne risente, con una disparità ingiusta per i tifosi delle varie squadre e i ‘consumatori’.
Viene allora da chiedersi come sia possibile affidare la realizzazione e produzione dei contenuti televisivi di Serie A a una società che, in tre anni, ha perso qualcosa come cinque miliardi di euro; e che per rientrare delle spese cambia il proprio tariffario degli abbonamenti (ovviamente al rialzo) ormai due volte l’anno. La stessa multinazionale i cui vertici sono stati accusati dalle associazioni dei consumatori, convocati dal governo, maledetti almeno una volta da ogni cliente in giro per l’Italia. Perché se tutti noi pensavamo che si trattasse solo di una sofferente parentesi di tre anni, ora siamo costretti a fare i conti con la realtà: il calcio italiano si è consegnato per almeno altri cinque anni a un servizio non certo impeccabile.
In tutto ciò Aurelio De Laurentiis, interrompendo Dal Pino nella conferenza stampa al termine della decisione sui diritti televisivi, ha criticato duramente la decisione presa, la quale non valorizzerebbe il calcio nazionale. Certo, fanno notare in molti, l’alternativa di ADL – ovvero l’ormai celebre canale della Lega – non stava in piedi, e da navigato uomo di cinema il patron del Napoli si è limitato a fare opposizione ma senza proporre una vera e affidabile proposta di ‘governo’. Probabile.
Eppure su alcuni punti è davvero difficile non condividere le parole del patron del Napoli, soprattutto quando parla della durata del vincolo e degli investimenti: «La stupidaggine assoluta di fare un accordo per cinque anni, quando sei mesi fa è venuta fuori l’Arabia, ora c’è la guerra i cui sviluppi non si sa dove ci porteranno – ha detto ADL –. Però sappiamo che in momenti di crisi cinema e calcio sono due cose che vanno fortissime, sono la panacea ai dolori del quotidiano. Noi questo sogno lo abbiamo messo nel cassetto, forse anche dei nostri tifosi».
E ancora: «Io vedevo Arsenal-Chelsea, fantastico. Poi vedo le partite italiane: le modalità di ripresa del nostro calcio fanno ridere. Ce lo hanno mai detto Dazn o Sky?»
E in generale al calcio italiano – oltre ai soldi, a cui si aggrappa disperato – manca clamorosamente una visione, ma pure un approccio ‘imprenditoriale’ che punti non semplicemente a vendere il prodotto e incassare, bensì ad investire per valorizzarlo e farlo crescere (anche economicamente). Eppure nel Paese del Gattopardo – anzi ancora peggio perché qui neanche più cambia tutto per non cambiare nulla, non cambia nulla perché nulla continui a cambiare – ci ritroviamo sempre a parlare degli stessi problemi. E tra cinque anni state pur certi che saremo ancora qui; per ora, invece, prepariamoci al prossimo aumento dell’abbonamento.