Papelitos
19 Maggio 2025

La contemporaneità è il vero calcio spettacolo

Altro che norma superata e calcio spezzatino.

Alla fine, nella penultima giornata di campionato – giornata di partite decisive per il titolo, per le qualificazioni europee, per la salvezza – è arrivata la tanto attesa contemporaneità. Una formula che ci ha riconnessi con un calcio, quello della Serie A e di uno spezzatino divenuto ormai frullato, che sembra non volerci più come cantava Lucio Battisti. La contemporaneità ci ha ricordato invece cosa significhi vivere una domenica di Serie A, con nove partite da seguire insieme. Emozioni, adrenalina, mancanza di controllo, la giornata tutta nello stesso orario ha riaperto la dimensione dello stupore e dell’epica sportiva.

E al di là del piano soggettivo da tifosi, ha anche proposto la soluzione più giusta per quell’equa competizione sportiva che sempre viene richiamata – ma non sempre applicata.

Da anni infatti noi, Paese moralista in assenza di morale e giustizialista in assenza di giustizia, pretendiamo dal nostro pallone (comprensibilmente) ‘giustizia’: una formula molto vaga che significa tutto e niente, ma che da Calciopoli ai vari scandali del nostro calcio fino ad arrivare al VAR e alla questione arbitrale è tornata prepotente. Ebbene, quale miglior modo di garantirla, quella giustizia sportiva, che con la contemporaneità? Senza calcoli, accordi sotterranei, quote che scendono in picchiata o salgono vertiginose a seconda dei verdetti precedenti degli altri campi.

Se anche il penultimo turno della scorsa stagione si fosse giocato con l’attuale regolamento – modificato in virtù di quanto accaduto – forse avremmo avuto verdetti diversi, a partire dalla lotta per la retrocessione. E pensare che lo stesso De Siervo, a tal proposito, aveva parlato della contemporaneità come di una “norma superata”. L’ennesimo errore di valutazione di un amministratore delegato che sembra più impegnato nella lotta senza quartiere alla pirateria che nella tutela degli interessi dei tifosi.


Fatto sta che le partite tutte insieme garantiscono emozioni in purezza, spettacolarità dell’evento inteso in senso lato. Chi scrive era in tribuna stampa per seguire Inter-Lazio, una partita drammatica e con continui ribaltamenti, e mentre Pedro si apprestava a far vivere ai tifosi nerazzurri un revival del 5 maggio (quanti scudetti buttati l’Inter, ma questo è un altro discorso) uno stadio era collegato con il Tardini per il Napoli, ancorato sullo 0-0. Laddove invece gli azzurri, viste le difficoltà sul campo, pregavano, si disperavano, esultavano per le notizie da Milano. Un tempo c’erano le radioline, oggi gli smartphone; sicuramente meno romantico, ma l’essenza è quella lì.

Altro che la deriva di questa Serie A la quale, ormai, ragiona solo ed esclusivamente in base alle esigenze di sponsor e broadcaster e i tifosi non li inserisce nemmeno come variabile nell’equazione.

In altri Paesi sono montate forti proteste sul tema, soprattutto su quello che ormai con un terribile inglesismo chiamiamo ‘Monday Night’, tant’è che di lunedì non si gioca in Germania né in Francia, e in Spagna anni fa si era abolito l’appuntamento per poi reintrodurlo. Qui invece regna ormai la rassegnazione totale, con una Serie A che ha avuto il coraggio di disputare 10 partite in 9 o addirittura 10 fasce orarie diverse – venerdì alle 20.45, sabato alle 15.00, 18.00 e 20,45, domenica alle 12.30, 15.00, 18.00, 20.45, lunedì alle 20.45 e a volte anche alle 18.30.

La speranza è che la Lega possa aver imparato la lezione, almeno per le ultime giornate. Perché sfidiamo chiunque abbia seguito una partita di Serie A, ieri sera, ad affermare di non essersi divertito, o meglio di non aver provato emozioni forti, come da tempo non capitava. Memorie di un pallone più umano, più “vicino” e sicuramente più entusiasmante. La lotta per lo scudetto e le coppe europee da una parte, quella per la salvezza dall’altra. Tutto insieme, nello stesso momento. Mica la Serie A spalmata in innumerevoli fasce orarie, preferibile solo per voyeur, scommettitori e fantacalcisti radicali.

Sicuramente sul tema saremo nostalgici, ma è anche questa parola ad essere una trappola. Nostalgico è chi rimane legato al passato senza sapersi evolvere, in Italia è chi ancora rimpange un regime del secolo scorso, o comunque chi vuole replicare condizioni irreplicabili per lo sviluppo economico, tecnologico e così via. Ebbene, qui siamo sicuri che il football all you can eat sia l’unico modello possibile e il solo adatto allo sviluppo dei nostri tempi? Serate come quelle di ieri ci fanno capire che un altro mondo, e un altro calcio, forse sono possibili. Nonché auspicabili.

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