Calcio
29 Febbraio 2024

La questione Chiesa è sempre più un enigma

Problemi fisici, equivoci tattici e il solito dibattito polarizzato.

Minuto 57’ di Juventus-Frosinone. Harroui va a chiudere su Chiesa con l’aiuto di Cheddira in raddoppio. Lo juventino si libera del primo e si allunga il pallone, andando a contrasto con il secondo, che allarga il braccio e protegge la rimessa dal fondo. Federico Chiesa crolla misteriosamente a terra, coprendosi il volto, quasi a mascherare il suo errore e a sperare di rosicchiare almeno un calcio di punizione. Non ci casca nessuno. Né l’arbitro Rapuano, né i 40mila dello Stadium. Nell’inquadratura successiva al replay rivelatorio, il volto di Chiesa è imbronciato, quasi frustrato e sembra dire: “Le ho provate davvero tutte”. E infatti, pochi minuti più tardi, Allegri lo sostituisce.

Questa sequenza di immagini riassume lo stato d’animo e di forma di Federico Chiesa, fantasma di sé stesso. Quella simulazione è il fallimento dell’ennesimo tentativo di ritrovare la propria identità calcistica. Il numero 7 bianconero si era istintivamente spostato sulla fascia destra, liberandosi delle catene tattiche “allegriane” che lo tengono legato al ruolo di seconda punta. La ricerca dell’uno contro uno è la miccia esplosiva che accende il suo talento, eppure anche questa volta ha fatto cilecca. E i dati del match contro il Frosinone lo ribadiscono: 27 palloni giocati, 3 occasioni create e un solo tiro tentato, ma soprattutto nessun tocco in area di rigore avversaria. Emblema di come Chiesa, nelle zone centrali dell’attacco, proprio non ci voglia stare. 

Di chi è la colpa? Difficile, se non impossibile trovare una singola causa. Un velo di inquietudine da qualche mese sta avvolgendo Federico, intrappolato in una morsa, tra i suoi tormenti psico-fisici e il sistema di Allegri. Andiamo con ordine.

I problemi di Federico Chiesa iniziano il 9 gennaio 2022, con la rottura del crociato rimediata all’Olimpico contro la Roma, in un contrasto con Smalling. Da lì il lungo recupero e il rientro in campo in Champions League contro il Paris Saint-Germain dopo dieci mesi. Il peggio è passato, ma a più di un anno dal suo “back on track” – per citare il documentario che ha seguìto le tappe del suo recupero – il talento uscito dalla scuola fiorentina non ha ancora riacquisito quella brillantezza e quella dinamicità che lo hanno reso una certezza del calcio italiano ed europeo. Acciacchi continui, noie muscolari: fattori che incidono negativamente sulla sua rinascita calcistica.


Ma le conseguenze di un infortunio del genere sono inevitabilmente anche mentali. Il modo di stare in campo di Chiesa trasmette un senso di insicurezza e, secondo alcuni, maschera dei limiti fisici, tattici e di adattamento che solo ora stanno emergendo. Un’operazione al ginocchio d’altronde porta con sé degli strascichi considerevoli, soprattutto in un calciatore come Chiesa che fa dell’esplosività e del cambio di passo la propria specialità. E la sua forma fisica attuale – buona ma non di certo paragonabile a quella del “vero” Chiesa – rappresenta un freno mentale non indifferente, a livello conscio ma anche inconscio.

Questo è il nodo gordiano della questione, considerato che Chiesa non è uno di quei talenti baciati ed eletti da Eupalla, di quelli che quasi sembrano non faticare in campo: non è – per restare nell’ambito degli attaccanti esterni sinistri, quello che lui sente come suo ruolo – Neymar Jr., Vinicius e neppure Leao, che hanno un’altra naturalezza di gioco. Ciò non significa che Chiesa non sia un talento, anzi, ma è un talento “costruito”, che fa dello strappo e di un gioco dispendioso, muscolare la sua forza. Tradotto, senza una condizione fisica ottimale Chiesa rischia di andare in difficoltà, a maggior ragione se coinvolto in un ‘equivoco tattico’ da cui non riesce ad uscire.

Ed ecco che qui viene chiamato in causa Allegri, non esente da responsabilità per l’irrequietudine di Chiesa.

C’è poco da girarci attorno: Allegri vede in Chiesa una seconda punta, Chiesa vede in sé stesso un esterno. Nonostante le critiche continue, non si può rimproverare a Max la coerenza dimostrata fin dalla prima giornata di questa Serie A, quando nel post Udinese-Juve fu chiaro: «Chiesa secondo me è un attaccante, da esterno si isola troppo e diventa solo un giocatore di ripartenza. Deve fare 14-16 gol a stagione, è riduttivo farlo giocare esterno». Per l’allenatore livornese, Chiesa dovrebbe giocare più da “10-11” che da “7”, dialogando con Vlahovic e creandosi lo spazio attorno al fulcro offensivo serbo.

Ma non è forse uno spreco rinchiudere un giocatore con questa esplosività e con istinto dribblomane, un giocatore che ha bisogno di spazio per esprimere tutto il suo potenziale, nell’affollato recinto centrale del campo, dove peraltro scorrazzano spesso le due mezze ali McKennie e Rabiot? È l’eterno dubbio che assale gli allenatori: se sacrificare i propri principi tattici in nome del talento o se adattare quest’ultimo a moduli e schemi precisi. I risultati comunque danno ragione a Max, che con il suo 3-5-2 ha dato equilibrio a una squadra che, com’è giusto ricordare, è pur sempre la seconda forza del campionato fin dalle prime battute della stagione.



Anche i numeri confermano le difficoltà di Chiesa, ben lontano dai 14-16 gol voluti e pronosticati da Allegri. L’esterno (o forse è il caso di dire “la seconda punta”) è a quota sei gol e due assist, e c’è da sottolineare come quattro di queste reti siano arrivate nelle prime cinque giornate. Un inizio sprint, se consideriamo anche che solo in un’occasione Chiesa è andato in doppia cifra (stagione 2019/2020, 10 gol e 9 assist), cui non è seguita la continuità richiesta da Allegri, complici senza dubbio lo stato di forma del giocatore e le scelte dell’allenatore – ma anche la contemporanea scoperta di Yildiz, che tuttavia non può ancora essere certo all’altezza del Chiesa prime, per età anagrafica ed esperienza accumulata.

La crisi di Chiesa divide così anche il tifo bianconero, tra allegriani radicali che difendono a spada tratta il proprio allenatore, criticando l’attitudine di Federico, e i sostenitori del partito #allegriout, per i quali ogni pretesto è buono per criticare l’allenatore. E lo Stadium è lo specchio di questa lotta interna, come dimostra il mix di fischi e applausi che ha accompagnato l’uscita dal campo di Chiesa proprio contro il Frosinone.

È un vero e proprio enigma, un mistero senza un colpevole, un chiaroscuro in cui si alimentano anche rumours, ipotesi, dietrologie, accuse. La soluzione l’ha proposta ironicamente Giancarlo Marocchi in telecronaca a Sky, per scovare la verità una volta per tutte: «Organizziamo una conferenza stampa congiunta oppure mettiamo una telecamera nascosta nello spogliatoio di Allegri, che siano solo loro due e che si parlino. Chiesa ama stare là (sulla fascia, ndr). Il tema è valorizzare Chiesa e che faccia quello che dice l’allenatore. Che trovino un punto in comune per il bene della Juventus». E della Nazionale, verrebbe da aggiungere.

Perché non dimentichiamoci che mancano poco meno di quattro mesi alla sera del 15 giugno, esordio azzurro a Euro 2024 contro l’Albania a Dortmund.

Federico Chiesa è un patrimonio da preservare e valorizzare e lo sa bene Spalletti, che qualche mese fa lo paragonò a Sinner e lo definì “il fuoriclasse della Nazionale”. In realtà, Chiesa ha sempre mantenuto un ottimo feeling con la maglia azzurra, anche in concomitanza dei momenti più bui in bianconero. È anche grazie alla sua doppietta contro la Macedonia dello scorso novembre che Spalletti si è potuto giocare la qualificazione all’ultima giornata contro l’Ucraina, dove peraltro Chiesa è stato il migliore in campo.

Vista la carenza di personale nel reparto offensivo – le difficoltà dei vari Immobile, Scamacca e Berardi sono oggettive e preoccupanti – in estate sarà fondamentale poter contare su un Chiesa al top della forma per cercare di ripetere l’impresa di tre anni fa, o quanto meno di non fare figuracce. Ora ha di fronte a sé dei mesi cruciali, in cui può ritrovare le sue certezze, senza neppure troppa pressione di risultati: senza speranze di poter riacciuffare il sogno Scudetto e con la zona Champions ormai al sicuro, resta infatti solo la Coppa Italia. Serenità mentale, tenuta fisica e continuità saranno le chiavi per risollevarsi. Nella speranza che questo enigma, finalmente, possa sciogliersi.

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Niccolò Longo

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