Ma giocare a porte chiuse è l'unica soluzione per non interrompere il campionato.
Neanche durante la Seconda Guerra Mondiale il campionato italiano di calcio è stato interrotto; o meglio, successe solo nelle stagioni 1943-44 e 1944-45 (in cui comunque ci furono competizioni più o meno ufficiali come il Campionato Alta Italia). Da scenario apocalittico in ogni caso è la narrazione, l’atmosfera da assedio e da emergenza nazionale che si sta diffondendo da Nord – in particolar modo, comprensibilmente – a Sud. E pensare che in tempi difficili, di panico e angoscia generalizzati, sono le commedie a doverla fare da padrone: un tentativo di scacciare i brutti pensieri, di spegnere il cervello, di lasciare il mondo dietro di noi.
Ecco perché l’altra sera, domenica, dopo una giornata passata fuori per lavoro tra spostamenti continui e gruppi Whatsapp che esplodevano per il Coronavirus, speravo di rientrare a casa e – rinviata Inter v Sampdoria – di trovare almeno un bel cinepanettone stile Boldi e De Sica che rinfrancasse un po l’animo e l’umore. Qualche battuta sconcia, situazioni equivoche, belle ragazze vestite succinte e quell’umorismo parossistico che però, non si sa come, ci è sempre piaciuto; d’altronde noi Italiani siamo così, come dice un amico «un popolo di *non si può dire*, e scommetto che il paziente 0 è una massaggiatrice cinese, sarebbe giusto così».
Invece facendo zapping tra i maggiori canali della televisione generalista – le tre emittenti Rai, tre Mediaset e mettiamoci dentro anche La7 – quattro/cinque parlavamo del Coronavirus, COVID-19 dicono gli studiati; e il panico si alimentava sempre di più, di ora in ora. Il presidente del Consiglio non sembrava saper bene che pesci pigliare e nel frattempo era filtrata l’eventualità di interruzione del campionato: dopo le quattro partite rinviate a data da destinarsi, l’eventualità di bloccare del tutto il pallone, religione laica di stato. Noi, né scienziati né politici, solo di questo possiamo parlare.
Ebbene il caos degli inizi è pienamente comprensibile, tanto per le autorità sportive quanto per quelle amministrative. Non vogliamo nemmeno qui sminuire l’allarme Coronavirus, che sembra essere una brutta bestia, ma l’atmosfera generale sta causando una psicosi con cui già non possiamo più convivere: fermare il campionato di calcio come paventato da alcuni, ad esempio, è una risposta irrazionale che contribuisce solo ad aumentare l’allarmismo.
Quindi come spesso succede, seguendo Aristotele o la via media di John Malkovich – ad ognuno i suoi riferimenti – la virtù sta nel mezzo. Le parole di Simone Inzaghi a tal proposito, allenatore della Lazio, secondo noi sono la risposta più sbagliata possibile al problema:
“Per quello che sta succedendo penso che sia giusto prendere le giuste precauzioni, fare tantissime prevenzione, cercare di sconfiggere e capire il problema fermando il campionato perché non bisogna sottovalutare quello che sta capitando. Penso che ci stiamo muovendo nella direzione giusta. Giocare a porte chiuse? No no, assolutamente no. Assolutamente no perché il calcio sono i tifosi, sono il succo del calcio i tifosi (…) è giusto vivere con le tifoserie”.
Non solo si dice d’accordo con lo stop al campionato (precisiamo, qui non è chiaro se solo al rinvio delle partite di domenica o più in generale) ma addirittura rifiuta categoricamente l’unica opzione possibile, ovvero quella di proseguire il campionato a porte chiuse. Facciamoci però tutti un bagno di realismo: noi siamo sempre stati in prima linea nel sostenere il tifo come cuore pulsante del calcio, vero fattore in più che trasforma un semplice gioco in un gigantesco fenomeno sociale e culturale. Tuttavia, ripetiamo, quella delle porte chiuse è ad oggi la sola opzione percorribile.
In uno scenario in cui vengono sbarrati gli accessi a scuole di ogni ordine e grado, a musei, cinema, uffici e aziende, luoghi come gli stadi – soprattutto nelle zone a rischio – non possono garantire libero accesso come se nulla fosse. Qui però sta anche l’inconsistenza della mozione per lo stop ai campionati, perché in tal caso si tratterebbe di un’interruzione definitiva e non di un breve rinvio: siamo tutti coscienti infatti che la situazione non rientrerà nell’arco di qualche settimana e, tra calendari fittissimi ed Europei alle porte (?), non ci sarebbe neanche tempo e modo di aspettare.
Che poi qual è l’unica speranza per tornare a frequentare scuole, cinema, uffici e stadi? Contiamo realmente che il virus possa essere isolato? O non ci conviene confidare invece che, con il passare dei giorni e con gli aggiornamenti clinici, emerga un quadro più rassicurante della patologia unito ad un altissimo numero di guarigioni? I casi in rapido aumento e in diverse regioni dimostrano che il COVID-19 non si riuscirà facilmente a confinare, e le misure straordinarie sono di attesa per capire quanto esso sia effettivamente pericoloso.
Se nel lungo termine dovesse rivelarsi preoccupante, vivremmo l’incubo di uno scenario apocalittico con quarantene auto-imposte e scorte ai supermercati per tutto lo Stivale; se invece dovesse dimostrarsi non così aggressivo – incrociamo tutti le dita – dovremmo iniziare a conviverci, e le misure verrebbero revocate di per sé un po’ ovunque (non potremmo pensare, con una patologia non grave ma diffusa, di bloccare a tempo indeterminato un Paese e in particolar modo le sue regioni più produttive).
In questa attesa, che si prolungherà per un bel po’, non ci resta che scegliere la via mediana e in tal senso si è mosso il presidente della FIGC Gravina, che ha chiesto al governo l’autorizzazione per disputare delle partite a porte chiuse.
“Abbiamo inviato richiesta ufficiale per lo svolgimento a porte chiuse della partita di Europa League Inter-Ludogrets di giovedì prossimo, e aspettiamo a breve un riscontro positivo. Per quanto riguarda la Serie A, fermo restando l’indipendenza delle Leghe, credo che già domenica ci saranno le porte chiuse: entro stasera dovremmo avere una risposta del governo per quanto riguarda le partite da disputare nelle regioni coinvolte».
Nella stessa direzione è andato, in ambito legislativo, il Ministro dello Sport Vincenzo Spadafora, che secondo l’ANSA «ha già proposto al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte lo schema di dpCm – ndr, decreto del presidente del Consiglio dei ministri – che prevede la possibilità di svolgere partite a porte chiuse nelle aree a rischio contagio da coronavirus. La decisione, spiegano fonti ministeriali, è già stata presa ieri sera e lo schema è pressoché ultimato».
Insomma alla fine proprio noi, sempre sostenitori dei tifosi e spesso avvocati difensori degli ultras, schernitori dell’Occidente infiacchito e paranoico, ci dobbiamo responsabilizzare invocando – ove necessario -campionati a porte chiuse. Certo, senza l’apporto dei sostenitori si parla di tornei dimezzati o quasi ma, visto l’andazzo e la preoccupazione generalizzata, forse è meglio dimezzati che nulli.