Wimbledon, campo centrale. Lunga vita al (nuovo) re.
2 luglio 2001. Il nuovo millennio era iniziato da qualche mese e il mondo stava per cambiare per davvero, ma ancora nessuno lo sapeva. Ce ne saremmo accorti tutti poco tempo dopo, in un giorno di fine estate, incollati alle nostre televisioni sintonizzate sullo stesso evento in ogni parte del mondo. Quel 2 luglio, però, l’estate era appena iniziata e settembre era ancora lontano.
Come ogni anno, le prime settimane d’estate portano il tennis nel suo tempio: nel sud-ovest di Londra, sull’erba dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club, meglio conosciuto come Wimbledon. Roger Federer, che oggi ha nella sua collezione una ventina di Slam e qualche decina di record infranti, allora non aveva ancora vent’anni e non era ancora entrato nei primi 10 al mondo, era quindicesimo. Si parlava già di lui come di un ragazzo estremamente dotato con la racchetta, certo, ma ancora lontano, lontanissimo, dall’essere il simbolo universale di regalità tennistica e non che ci appare oggi.
Era una promessa, insomma: un ragazzo di cui si diceva un gran bene negli ambienti del circuito, con un codino stilisticamente non impeccabile e la faccia dell’adolescente che ha appena cessato di esserlo. Con colpi non ancora perfetti e un carattere ancora da limare. Il più forte di tutti, quel 2 luglio 2001, era un altro. Un greco d’America, introverso e taciturno, con la faccia da bravo ragazzo e i riccioli scuri, tanto timido nella vita quanto dirompente sul campo da tennis: all’anagrafe americana è registrato come Petros, per tutto il resto del mondo invece è Pete, e di cognome fa Sampras. Il dominatore degli anni ’90.
P
Una macchina da tennis vicina alla perfezione, che trova nell’erba di Church Road il suo palcoscenico preferito, il suo giardino dell’Eden, imponendo al circuito una dittatura sul veloce che ad allora non si era ancora vista. Lo score di Pete a Wimbledon è impressionante, rasenta la perfezione. Nel 1992, ventunenne, perde la semifinale contro Goran Ivanisevic. Da lì sette trionfi nelle successive otto partecipazioni. 56 vittorie su 57 giocate. Ultima e unica sconfitta contro l’olandese Krajicek ai quarti nel ‘96. Poi fanno 31 vittorie e quattro Championship consecutivi, fino al giorno in cui la storia decise di cambiare padrone.
È un torneo particolare quello del 2001. Non convenzionale, con molte prime volte che invadono il tempio della tradizione per eccellenza. È il primo Slam con 32 teste di serie, raddoppiate rispetto alle 16 delle precedenti edizioni. Sarà, alla fine, la prima vittoria a Church Road di una Wild Card: vincerà infatti il croato Goran Ivanisevic, all’inizio del torneo fuori dai primi 100 del mondo, che riuscirà a coronare i suoi sogni di gloria sull’erba londinese all’ultimo, disperato tentativo dopo due finali perse.
Ma soprattutto l’edizione del 2001 è quella in cui Mr. Eddie Seaward, capo giardiniere di Wimbledon per più di due decenni, cambia il mix di sementi che compongono l’erba più famosa del mondo. Il cambio di tipologia e il diverso trattamento che da esso deriva porteranno il manto erboso di Wimblebon a rallentare, ad avere un rimbalzo più alto e più regolare, rimettendo così in gioco per il titolo anche giocatori non proprio specialisti della superficie.
Cambia il modo di pensare Wimbledon: non solo i grandi specialisti dell’erba, ma tutti, da adesso in poi, possono sognare un Championship nella loro personale bacheca.
Mr. Eddie Seaward, autentica leggenda di Wimbledon
Anche il campione in carica quell’anno, esattamente come l’erba dei “suoi” campi, sembra essere diverso. Nelle prime partite fatica ad aver la meglio sui suoi avversari; ha addirittura bisogno di 5 set per battere la Wild Card britannica Cowan al secondo turno. Non è brillante come al solito. Non sembra il tennista che ha imposto la propria legge sull’erba nell’ultimo decennio. Il suo tennis è meno fluido, meno aggressivo e nello stesso tempo meno tranquillo. Il tempo che passa, la pressione dei record, la necessità della vittoria a tutti i costi probabilmente hanno iniziato a scalfire la sua armatura da invincibile.
Federer invece prima di quella edizione non aveva mai superato un turno a Wimbledon. Quell’anno ne supera tre, e arriva alla partita con Sampras con la tranquillità di un ragazzino di diciannove anni che gioca contro il sette volte campione, contro la leggenda. Sarà la prima volta per lui sul centrale e da perdere non ha niente. Si può godere il momento.
Lunedì 2 luglio è un Maniac Monday, quella tradizione non è cambiata. Tutti gli ottavi maschili e femminili lo stesso giorno. Il miglior giorno di tennis dell’anno, che arriva subito dopo la pausa del Middle Sunday, la prima domenica del torneo. Il caldo è inusuale per Londra, l’umidità di quel giorno è molto poco inglese. All’inizio del pomeriggio il Centrale è gremito, così come la “Henman Hill”, la collina dove si trovano a vedere i match i tifosi che non hanno trovato i biglietti per il centrale.
La resa dei conti
Il campione e il ragazzino scendono in campo vestiti di bianco, come la storia di Wimbledon impone da sempre. L’entrata la guida Roger, molto lontano dai suoi ingressi in cardigan o blazer che saranno negli anni a venire. Segue Pete, ciondolante nei suoi classici pantaloncini XL. Da lì in avanti sono 3 ore e 41 minuti di lotta. Quasi quattro ore all’ultimo respiro: sicuramente, almeno a livello tecnico, non la partita del secolo, anche se di grandi scambi se ne vedono parecchi. Entrambi i campioni rimangono attaccati al match con le unghie e con i denti nonostante il caldo, la tensione e gli errori, di cui uno clamoroso di Pete sul 4-4 al terzo set.
È una partita equilibratissima, che si gioca punto a punto, la tensione si sente da ambo le parti. Sampras gioca la miglior partita dell’anno, sicuramente la migliore nel suo torneo londinese; mentre all’epoca si sussurrava che Roger difettasse un po’ nel tocco e nel gioco a rete: in quella partita non se ne accorge nessuno, negli anni a venire ancora meno.
I punti giocati, alla fine, saranno 370 (190 a 180 per Roger). Si arriva al quinto set, e Pete non ha mai perso al quinto set a Wimbledon. Sul 4-4 Federer salva da campione due palle break che avrebbero portato Sampras a servire per il match. Sul 5 pari Federer tiene il servizio, e nel dodicesimo gioco il campione serve per salvare il suo trono. Sul primo match point a disposizione, la risposta vincente numero 12 nel match dello svizzero è il momento che riscrive la storia: il dritto di Roger incontra perfettamente il servizio di Pete, che accenna un timido serve&volley ma non può far altro che guardare il passante dello svizzero finire alle sue spalle, mezzo metro buono dentro al campo.
Il regicidio più iconico della storia del tennis è consumato, il passaggio di testimone compiuto.
Roger sacrifica il regno di Pete sull’altare della storia di questo sport per iniziare il proprio. Anche se dovrà aspettare ancora due anni, l’edizione di Wimbledon del 2003, per vincere il suo primo Slam e iniziare la continua rincorsa alla leggenda che caratterizzerà il suo regno. Un regno sul quale, ad oggi, vent’anni più tardi, ancora nessuno ha scritto davvero la parola fine. 2 luglio 2001. Il Re è morto, lunga vita al Re.
Aridatece Gianni Clerici e Rino Tommasi, i due commentatori più amati del tennis italiano, e soprattutto le loro sublimi divagazioni. «... Comunque, 15-0».