Papelitos
29 Giugno 2021

Francia, perdere e morire

Fuori dagli Europei e sull'orlo del collasso, il paese fa i conti con se stesso.

Monsignor Michel Aupetit, arcivescovo di Parigi, a seguito del drammatico incendio di Notre Dame del 15 aprile 2019 si chiese «Que veut nous dire le Seigneur à travers cette épreuve?», cercando estenuato un senso. La chiesa madre di Francia avvolta dalle fiamme pose il cristianesimo secolarizzato e la laicità statuale davanti un’allegoria così violenta da non poter più rimandare un confronto sulla società francese del terzo millennio. Il risentimento sociale, l’Europa, il fondamentalismo islamico, la grandeur macroniana e la posizione della Francia nel mondo collassavano davanti le potenti immagini della croce salva tra le ceneri, miracolosamente illesa e sopravvissuta al fuoco. La carica simbolica emanata dall’incidente squarciava però il velo di Maya di un paradosso storico incarnato nei secoli dalla Francia: la supremazia dello Stato, la raison d’Etat richeliana, su tutto e tutti. Un leviatano civico che fagocita semiotiche, culti, riti e valori, si stava mangiando anche la cattedrale. Non un luogo di culto a rischiare la fine ma un luogo civico, un emblema nazionale.

Lo stesso Papa Francesco ebbe a dire «Questa catastrofe ha gravemente danneggiato un edificio storico. Ma sono consapevole che ha anche colpito un simbolo nazionale caro al cuore dei parigini e dei francesi nella diversità delle loro convinzioni. Infatti, Notre Dame è un gioiello architettonico di memoria collettiva, luogo di raccolta di tanti grandi eventi, testimone della fede e della preghiera dei cattolici nella città». Olivier Roy, politologo autore de L’Europe est-elle chrétienne?, disse a Le Grand Continent che per i parigini, Notre-Dame è un luogo di storia, associato a molti ricordi personali, integrato in un paesaggio emotivo, che gioca un ruolo cruciale nella memoria collettiva della città. Non erano pierres cristiane a subire le fiamme, erano pierres francesi, con Notre-Dame ad impersonare la società francese, non un luogo religioso. E così è l’Équipe de France, la nazionale che da decenni è chiamata a racchiudere le idiosincrasie d’Oltralpe: una piattaforma di sintesi, un segno civico di laicismo deputato a cementare l’identità nazionale.

Notre Dame tra fiamme, ipotesi sulle cause, donazioni e previsioni di  intervento | Architetti.com

Nel 1998 la vittoria noir, blanche et beur ai mondiali di casa aveva messo a tacere le critiche mosse da Jean Marie Le Pen, fondatore del Front National, che dal ’96 andava predicando quanto l’XI nazionale non rispecchiasse fedelmente la società francese. Sul tetto del mondo les coqs ci erano saliti trascinati da un berbero di Cabilia, Zizou, e da antillani, armeni, ghanesi, senegalesi. L’apoteosi della Francia multiculturale ed inclusiva, vittoriosa in un dettaglio della Storia come lo definì sempre Le Pen, elevava la nazionale, in un paese assai meno calciofilo di quanto lo riteniamo, a vettore politico. Le prime contraddizioni nel modello potevano già notarsi. Christian Karembeu, per citarne una, campione di quella nazionale e di etnia kanak, rifiutava sistematicamente di intonare la Marsigliese poiché nel 1931, in occasione dell’Esposizione Mondiale di Parigi dove vennero mostrate con vanteria le bellezze coloniali, due zii di Christian furono esposti, insieme con altri Kanak, in una gabbia di ferro come fossero bestie.

Nel corso degli anni il modello si è tramutato in paradigma, dalla vittoria di Euro2000 alla sconfitta dell’Olympianstadion ai mondiali del 2006, l’Equipe de France ha accompagnato venti anni di tumultuosa storia francese. Lo scontro sociale mai sopito, dalla rivolta della racaille delle banlieu parigine ai gilets jaunes contemporanei, il terrorismo islamista, le diseguaglianze sociali ed ogni altra ferita che lacera la società francese nel profondo sono sempre state riassunte e ben visibili a Clairefontaine.

Postcards from Paris - the legacy of France's 1998 World Cup triumph | The  Football Pink

Il caso Benzema, al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica per anni, rende in maniera piuttosto evidente la debolezza non dell’approccio in sé, assolutamente normale per un paese con la storia francese, ma come spesso accade del suo precipitato dogmatico. Benzema è un figlio ingrato di Francia, da appena ventenne dichiarò in maniera piuttosto chiara che avrebbe preferito convocazioni di nazionali francesi–avendo doppia nazionalità franco-algerina–unicamente per questioni sportive. Rifiuto cronico di cantare l’inno, il quale parla di guerra a suo avviso, e di empatizzare anche marginalmente con il trasporto emotivo che il giocare in nazionale richiede.

Nel 2011 si arrivo a congetturare che l’allora CT Blanc stesse introducendo, d’accordo con gli apici della FFF, delle quote ‘bianche’ nella selezione pur di contrastare lo ‘squilibrio’ etnico presente. La questione è quanto la Nazionale interagisca in osmosi con il suo paese e la sensazione è che in Francia accada più pesantemente che altrove. La vittoria della coppa del Mondo del 2018 sublimò l’immagine di un modello sincretico vincente e privo di problemi, così è lecito chiedersi se la repentina uscita da Euro2020 può compromettere l’immagine di una Francia vincente che Macron intende irradiare.

https://www.youtube.com/watch?v=AXsTrSwIOu0
‘Gestisco io la carriera di Mbappe’ diceva all’Eliseo Emmanuel Macron lo scorso 21 maggio.

Il terrorismo ha colpito anche durante la pandemia, su tutti la decapitazione del professore Samuel Paty reo di aver mostrato delle vignette satiriche su Maometto ai propri alunni, le tensioni sociali si sono acuite durante le restrizioni per contrastare il propagarsi del virus e in aggiunta una lettera di alcuni vertici dell’esercito in pensione pubblicata su Valeurs Actuelles in cui il presidente è accusato di generare il caos nel Paese. Houellebecq rispose alla lettera su Unherd, parlando apertamente del rischio di una caduta narcisistica del paese, imploso nelle sue stesse contraddizioni. ‘Ovunque mi volti vedo oscurità’, sostiene il genio francese, il quale ricorda come pur distanziandosi politicamente dal movente della lettera, non può non condividere la premessa che la Francia sia prossima al collasso. L’uscita dagli europei, da rosa onnipotente e campioni del mondo in carica, stride con il messaggio macroniano: «Non bisogna mandare il segnale che il successo non faccia parta dei valori della Francia. Il successo, l’emancipazione attraverso il lavoro, fanno parte essi stessi dei valori di sinistra. Sarà duro lavoro gestire l’ansia dell’insuccesso per Macron, in un paese dilaniato dal conflitto sociale e dalle divisioni. Del resto De Gaulle diceva: Comment voulez-vous gouverner un pays qui a deux cent quarante-six variétés de fromage?

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