Ascesa e caduta del campione svedese, ex n. 1 del mondo, dai successi al Roland Garros fino al suo inesorabile declino.
È il 1981. Il regista polacco Krzysztof Kieślowski ha appena portato a termine le riprese di una pellicola molto discussa ed enigmatica: Destino cieco (Il caso). La trama della film si articola in tre storie differenti che si susseguono in maniera lineare, tre ipotetiche vite del protagonista Witek, tutte generate da un imprevisto incidente in una stazione ferroviaria. Vite ipotetiche, potenzialmente reali, ma, in realtà, mai vissute. Nello stesso anno, non molti chilometri più ad ovest della Varsavia di Witek, un giovane tennista vince il suo primo Open di Francia juniores. È uno svedese di Växjö, un piccolo centro a circa 200 km da Malmö, celebre per aver dato i natali a Pär Fabian Lagerkvist, premio Nobel per la letteratura nel 1951. Il suo nome è Mats Wilander. E anche lui il suo destino c(i)eco lo incontrerà di là a qualche anno.
È il 7 giugno 1981 e dopo la vittoria sul pari età Henry Leconte, Mats prende in spalla la sua borsa ed abbandona il campo numero 1 del Roland Garros. La gioia, la stanchezza per il successo non lo distraggono da quello che sta succedendo a poche spanne da lui. Il boato della folla lo attira verso il Campo Centrale, lì dove si fa sul serio. Tra la polvere, in quel campo di battaglia divenuto ormai color cremisi, incrociano le racchette due vere leggende, lo svedese Bjorn Borg ed il ceco di ferro, Ivan Lendl. Mats fa in tempo a vedere solo gli ultimi due set (“era la prima volta che vedevo Borg dal vivo”, racconterà). Sufficienti per ammirare il suo mito annientare l’avversario con un ultimo set perfetto: 6-1. Il sesto successo agli Open per Borg. L’intera Svezia gioisce per il suo vichingo dal rovescio d’acciaio e l’occhio triste. Inarrivabile, irraggiungibile. E a chi importa se non ha mai vinto gli US Open? Il re ribadisce al mondo che lo scettro del più forte è ancora saldamente nelle sue mani.
L’anno successivo Mats ritorna a Parigi, stavolta fra i grandi. Un lungo viaggio in macchina, a causa di uno sciopero aereo, da Roma (dove ha appena perso in semifinale con uno dei giocatori più lenti che la storia di questo sport ricordi, l’ecuadoregno Andrés Gómez Santos) fino alla capitale transalpina. Un viaggio di riflessioni e paure e speranze. Borg non c’è più, e adesso tocca a lui. Arriva a Parigi di domenica mattina, in un clima grigio e un po’ cupo, che ben si attanaglia al nomignolo con cui i colleghi iniziano a chiamarlo, quando lo incrociano nei corridoi che portano ai campi. “Eccolo lì, il fantasma di Borg”. E Mats non sa se essere orgoglioso o indispettito per quel soprannome. Arriva e si allena. Dall’altro lato della rete, pronto ad fare due scambi con lui trova Mr.James Scott Connors, detto Jimmy. Palleggiano per un po’, poi Jimbo urla (pochi, in realtà, l’hanno sentito parlare sottovoce): “Hey, ragazzo ti va di giocare un po’?”. Giocano un set, un solo set, che non finirà mai. Mats, stanco e assonnato, prende a pallate il povero Jimmy, che a giudicare dalla faccia aveva trascorso una delle sue notti meno brave. 4-1 per Mats, che sta per servire di nuovo. Improvvisamente, Connors si ferma, si avvicina alla rete e gli dice: “Tu, tu sei un figlio di….”. Ecco, bienvenu a Parigi, ragazzino. Due settimane più tardi, quel ragazzino figlio di Växjö lo vincerà, quel Roland Garros. Lendl (eh sì, il suo destino ceco, con cui darà vita ad una delle rivalità più accese degli anni ’80; alla fine prevarrà Ivan il Grande, in vantaggio per 15 a 7 negli head to head all time), poi Gerulaitis, poi Clerc, Vilas in finale. Tutti messi in riga dal fantasma di Borg. Che appare, spaventa gli avversari e scappa via. Pochi autografi, pochi sorrisi, molta gloria.
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Ma torniamo al Destino cieco di Mats. Siamo nel 1988. Ha appena vinto il suo terzo Roland Garros, il suo terzo Australian Open (primo ed unico giocatore a svettare sia sull’erba del Kojong che sul cemento di Fliders Park) ed il 12 settembre di quell’anno è meritatamente numero uno della classifica Atp. Il suo anno migliore, insomma. Il 21 dicembre, dall’aeroporto di Heathrow, è in partenza il volo Pan Am 103 diretto all’aeroporto JFK di New York. L’aereo non parte, i soliti ritardatari (tra loro anche Kim Cattrall e Johnny Rotten, il leggendario frontman dei Sex Pistols, che su quell’aereo non ci saliranno mai). Ma non furono gli unici: nella lista prenotazioni della Pan Am non si presentano al check in altri due passeggeri: i loro nomi sono Mats Wilander e Sonya Mulholland, sua moglie. Qualcuno dice che Mats e Sonja fossero alle prese con i soliti litigi, in un albergo di Notting Hill: tradimenti reiterati, disinteresse, lui è cambiato. Qualcuno dice che fosse infortunato ad una gamba. Poco importa, alla fine. Quel volo Pan AM 103 precipita un’ora dopo il decollo in seguito ad una detonazione causata da un ordigno esplosivo nascosto in una valigia nella stiva del velivolo. Muoiono 259 persone tra passeggeri e membri dell’equipaggio, fra cui 189 cittadini statunitensi e 11 residenti della cittadina di Lockerbie, in Scozia. Eccolo, il destino cieco di Mats, il fantasma che, da quel giorno, è davvero l’ombra di sé stesso. Il pragmatismo, l’intelligenza tattica, dogmi su cui aveva edificato, mattone su mattone, la sua strepitosa carriera, crollano. Il 1989, infatti, è un disastro. Mats si rialza l’anno dopo. Arriva in semifinale all’Australian Open e vince il suo ultimo titolo (il n. 33) ad Itaparica, Stato di Bahia, Brasile, Mondo ma, comunque, lontano anni luce dai viali di Parigi e dai Royal Botanic Gardens di Melbourne. L’ultimo sorriso, ad ogni modo, prima del ritiro. Il tennis dà, il tennis toglie. Ti strozza il collo in un famelico tie break e ti porta in alto con uno smash fortunato che spazza la riga. E il destino cieco lo indirizza ad una vita senza Slam. Ma gli fa ritrovare l’amore di sua moglie Sonja, la serenità della sua famiglia ed i sorrisi. Gli stessi sorrisi che illuminano il volto del nostro Witek, il protagonista di Destino Cieco. ll film, terminato nel 1981, resta per sei anni bloccato dalla censura polacca per motivi politici e viene sdoganato soltanto nel 1987 quando l’opera di Kieślowski viene presentata al Festival di Cannes 1987, nella sezione Un Certain Regard. Anche a lui tocca un destino cieco che, alla fine, torna a vederci benissimo.
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