Altri Sport
09 Settembre 2019

La furia gentile di Charles Leclerc

È nata una stella.

Parlare di predestinato, anche dopo il weekend di Monza, è un vizio “giornalistico” figlio dei nostri tempi: la volontà di scrivere la storia prima che essa si manifesti. Al netto di ciò, Charles Leclerc è evidentemente devastante dal punto di vista agonistico, una stella nata 21 anni fa e battezzata sportivamente nei luoghi sacri dell’automobilismo sportivo: il GP di Spa-Francorchamps e Monza, tempio della velocità.

 

Ma come può incutere terrore, in un ambiente così spigoloso, un ragazzino acqua e sapone originario del Principato di Monaco, non di certo una malfamata periferia, con quella faccia pulita e occhio innocente? Leclerc in Formula 1 rappresenta ciò che si potrebbe definire l’uomo nuovo, anche rispetto all’ultimo uomo di Fukuyama, equilibrato, che aggrega elementi inconciliabili nelle categorie moderne, come gentilezza e furia, educazione e spregiudicatezza, con freschezza e normalità disarmanti. La virtù che sta nel mezzo, si sarebbe detto in altre epoche. Un ragazzo che ha trovato nella passione viscerale per i mezzi motorizzati su ruote l’espressione più alta della sua filosofia.

 

A star is born

 

Il primo a sentire il peso di questo vento di novità è il tedesco 4 volte campione del mondo compagno di squadra Sebastian Vettel, tamponato da una involuzione mentale preoccupante. Certo, non si scopre ieri lo spessore di Leclerc. Vettel, come tutti in Ferrari, all’indomani della sua firma per il Cavallino, sapeva che stava arrivando un campione, e non bisogna sforzarsi troppo con la memoria per ricordare alcuni gesti tecnici premonitori nelle serie minori, come il sorpasso selvaggio – a campionato già vinto! – su Albon in Formula 2 nel corso dell’ultimo giro del GP di Abu Dhabi. O la zampata in qualifica ad Interlagos con l’Alfa Romeo-Sauber l’anno scorso.

 

Ma nell’entusiasmo del godimento rosso post GP d’Italia, è bene fare un passo indietro, perchè negli ultimi dieci giorni l’altalena emozionale dei motori è stata piuttosto agitata. Motorsport is dangerous. Il presupposto prima di entrare in autodromo, tre parole inglesi, semplici, che sintetizzano un concetto che nel corso del tempo si è sbiadito nei pensieri di molti, per poi ripresentarsi in modo netto e inequivocabile (come non citare Jules Bianchi a Suzuka, altro esempio di altissima classe prematuramente scomparso). Appassionati, tifosi, addetti ai lavori e protagonisti di più o meno spessore, amanti di questo sport, chiunque dovrebbe avere ben saldo quel monito che è scritto in ogni biglietto o pass. La sicurezza ha raggiunto livelli di prim’ordine, ma non bisogna lasciarsi anestetizzare rispetto alla natura delle cose. Questo circus da miliardi di dollari dipende dal fascinoso quanto estremo elemento drammatico, dall’epica che sanno creare questi eroi moderni che rischiano davvero la vita nel tentativo di sfidare la velocità, non simulano. È necessario tenerlo a mente anche e soprattutto per valutare le gesta dei piloti in pista. Tutto il resto, gli aspetti commerciali per esempio, vengono dopo.

 

Il dramma di Tonio Hubert: l’altra faccia della Formula 1

 

SPA è stato l’impotente teatro di questa storia. La fatalità ha voluto che nello stesso fine settimana della consacrazione di Leclerc, un altro ragazzo, “Tonio” Hubert, fosse protagonista in gara nel modo più tragico, ovvero nell’incidente che gli ha tolto vita e sogni nello scontro con Correa (in ospedale con la speranza di uscire al più presto dal coma) all’esterno del Raidillon. Storie parallele di due giovani ragazzi, a loro modo protagonisti di uno spettacolo che, a Spa come nei classici della letteratura, ha messo in luce l’unico, vero, convitato di pietra: la sfida al pericolo della morte, che si può vincere ma si può anche perdere. E così in questo incrocio temporale, la realtà ci consegna due storie opposte: il fuoco di Charles è divampato, quello di Tonio si è spento per sempre.

 

E anche in Belgio Leclerc ha dimostrato la sua semplice grandezza, nessuna sceneggiata eccessiva, nessun protagonismo, due o tre gesti semplici, il dito all’insù, l’autentica incapacità di godere appieno della sua prima vittoria in Formula 1 (al volante di una Ferrari) e tanta riflessione tenuta a debita distanza dai media. Elementi di un anti-divo, anti-prodotto di marketing che proprio per questo attrae l’interesse di molti tifosi.

 

RIP Tonio, sul casco e nel cuore

 

La voglia di vincere, supportata da una monoposto particolarmente in forma su una pista “da motore” come Monza, è esplosa nella bolgia rossa alla fine dell’ultima Parabolica,(quanto sarebbe stato contento Enzo), dope la quasi totalità dei 53 giri passati a difendersi dal pressing di un 5 volte campione del Mondo che risponde al nome di Lewis Hamilton (per informazioni chiedere a Fernando Alonso o allo stesso Vettel). Il bello del monegaschino sta qui, essere una novità fresca e lampante, di non essere l’erede (altra storpiatura giornalsitica) di nessuno, non di Schumacher, non di Senna, non di Hamilton: lui è semplicemente se stesso, un uomo nuovo, gentile, prototipo di se stesso, della nuova generazione che, considerando anche Verstappen e il folletto volante Lando Norris, dimostra che il futuro del mondo della F1 è luminoso.

 

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Iceman è basso profilo, amore puro per la guida di auto da corsa e passione smodata per gli alcolici.