Compie 47 anni un uomo capace di lasciare il segno.
È il 26 giugno del 2011. È il giorno più nefasto nei 110 anni di storia del Club della “Banda”. Il pareggio (1 a 1) di quel pomeriggio al Monumental contro il Belgrano significa per il River Plate la retrocessione nel “Nacional B”, la serie cadetta del calcio argentino. Qualcosa di impensabile per un Club con la tradizione, il seguito e i successi del River. Matias Almeyda, squalificato per aver ricevuto la quinta ammonizione nella partita di andata di questa finale “play-out” persa dal River per 0 a 2, assiste inerme da bordo campo a quell’imprevedibile e devastante tracollo.
El Pelado ha già comunicato da tempo al suo presidente Daniel Passarella che quella sarebbe stata la sua ultima stagione in pantaloncini corti. Di chilometri in una cancha, d’altronde, ne ha percorsi davvero tanti. Matias Almeyda è il River Plate. È il giocatore simbolo, il più rappresentativo, il più carismatico, il più forte. Sempre l’ultimo a “mollare”. Con i Millionarios Almeyda ha fatto tutto il percorso nelle giovanili. Da quando, a 15 anni, lasciò la sua famiglia ad Azul, 300 chilometri a sud di Buenos Aires, per fare il calciatore. Nel River ha esordito in prima squadra nel febbraio del 1992, a 18 anni, e con La Banda ha giocato fino al 1996 per poi trasferirsi in Europa.
Nel “suo” River Matias ci torna nell’agosto del 2009, quasi a 36 anni e dopo uno stop di quattro anni dal calcio professionistico. Anni terribili, per Matias, che ha dovuto combattere contro un forte stato depressivo e problemi di dipendenza dall’alcol.
In quei quattro anni si accorge che il calcio gli manca molto più di quanto potesse immaginare e quando arriva la proposta di Enzo Francescoli, direttore sportivo del River, di tornare a giocare a calcio nel suo adorato club, Matias Almeyda rinasce. Molti, quasi tutti, lo interpretano come il gesto di una grande società che tende la mano ad uno dei suoi figli prediletti. Sarà per molti, quasi tutti, un grande equivoco. Matias Almeyda è ancora un fantastico calciatore di futbol e sarà determinante nella risalita del River.
Ora però, in questo tragico 26 giugno, Matias non è in campo. Doveva essere la sua ultima partita con il River. Invece è solo uno spettatore, un hincha in più che sta soffrendo per una retrocessione che si è trasformata da incubo in realtà. A fine partita ci sarà tanta rabbia e tanta violenza. Il senso di colpa che attanaglia il presidente Passarella, la dirigenza, lo staff tecnico e tutta la rosa è un macigno pesantissimo da portare. La storia li ricorderà in eterno per essere “quelli che sono retrocessi con il River”.
Un marchio a fuoco sulla loro pelle, sulle loro carriere e sulle loro vite. Matias Almeyda passerà quella notte a piangere “come non avevo mai fatto in vita mia per una partita di calcio”, dirà in seguito. Solo che Matias Almeyda è un guerriero, un lottatore indomito. “11 ALMEYDA”, era scritto su uno striscione nella curva nord dell’Olimpico, quella dei tifosi della Lazio che hanno potuto vedere probabilmente la migliore versione di Matias calciatore. La mattina dopo il dolore si è già trasformato in qualcosa di diverso.
È diventata “sete di rivincita”. Due mesi prima, quando Matias aveva comunicato a Passarella la sua decisione di smettere con il calcio, El Caudillo gli aveva risposto così: «Pela, io se fossi in te giocherei almeno un altro semestre. Ma se davvero vuoi smettere io voglio te sulla panchina del nostro querido River». Matias Almeyda si ricorda di quella conversazione. Prende in mano il telefono. Sa che le cose sono cambiate e sa benissimo che è una follia, un’autentica follia prendere in mano il River in un momento del genere.
“Daniel, se tu non hai intenzione di mollare sappi che non ce l’ho di certo io”.
Queste sono le parole di Matias in quella telefonata al suo presidente. A Daniel Passarella non sembra vero. Matias Almeyda, l’uomo più amato da tutto il popolo del River, è disposto a sedersi sulla panchina dei Millionarios. Con tutto da perdere e nulla, ma veramente nulla, da guadagnare. Matias ha infatti una sola possibilità: riportare il River nella massima divisione argentina. Qualunque altro risultato sarebbe inaccettabile. Un’autentica catastrofe, identica, se non peggiore, a quella di essere retrocessi. Matias Almeyda quella sfida l’accetta. Per amore del River certo. Ma anche e soprattutto perché Matias Almeyda, come dicono da quelle parti, tiene dos huevos asi!.
Un gol semplicemente surreale: Matias Almeyda in Parma v Lazio del 1999
Sarà un anno difficilissimo, lunghissimo, faticoso e stressante. In giro per la provincia argentina contro piccoli club che contro il River giocano la partita della vita, con calciatori che contro i Millionarios sputano anche l’anima in campo consci che una “vetrina” così probabilmente non capiterà più. Ci saranno momenti duri, segnati dalla paura di non farcela. Anche la panchina di Almeyda ad un certo punto della stagione sembra essere assai traballante.
Ci penserà il bomber Cavenaghi a fare da portavoce per tutta la squadra “schiarendo” definitivamente l’aria. «Se mandate via Almeyda ce ne andiamo anche noi», questo è quello che si sentiranno dire Daniel Passarella e la dirigenza del River. Ed esattamente 362 giorni dopo, il 23 giugno del 2012, grazie alla doppietta di David Trezeguet contro l’Almirante Brown il River Plate tornerà nella massima serie del calcio argentino. Matias Almeyda, il condottiero che aveva tutto da perdere e nulla da guadagnare, ce l’ha fatta.
EPILOGO
Mancano poche ore alla partita che potrebbe sancire il ritorno del River nella massima serie del calcio argentino, quella che i Millionarios giocheranno contro l’Almirante Brown al Monumental. A Matias Almeyda arriva questo messaggio:
«Manca davvero poco alla tua gran finale contro l’Almirante Brown e io ho appena chiesto a Dio di aiutare il River a vincere questa partita. Forse non mi crederai. Però è esattamente quello che ho fatto. Parliamoci chiaro. Se tu non fossi l’allenatore del River Plate non glielo avrei mai chiesto. Anzi. Invece di guardare la partita del River domani metterei nel videoregistratore un vecchio film in bianco e nero e non me ne fregherebbe nulla di quello che succede nella cancha del Monumental. Solo che io sono totalmente dalla tua parte e spero con tutto il cuore che tu ce la faccia amico mio. Comunque vada, ti voglio dire una cosa: tu devi essere sereno.
Perché una partita o un campionato non possono cambiare nulla di quello che sei tu come persona. “Pela” tu sai quanto ti ammiro e quanto ti voglio bene. Ti ho conosciuto davvero solo pochi anni fa ma quello che ho capito di te mi ha colpito in maniera incredibile. Persone come te stanno scomparendo dalla faccia della terra. Persone che hanno una parola sola, una faccia sola. Persone che danno valore alla verità e all’amicizia. Ti auguro il meglio “Pelado”, dal profondo del cuore. Credimi, mai e poi mai avrei immaginato di chiedere a Dio di aiutare il RIVER PLATE!!! Ma è successo. E il il merito è tuo, soltanto tuo, querido Pelado».
Firmato: DIEGO ARMANDO MARADONA.
POSTILLA
Matias Almeyda, dopo essere un grande centrocampista del calcio mondiale, è ora un allenatore che si è formato nella complessa palestra sudamericana. Il suo curriculum qui è eccellente. In tutte le squadre dove ha allenato ha lasciato il segno. Al momento si trova nell’America del Nord, ma si rincorrono da tempo le voci su un suo futuro prossimo in Europa.
“Garra, calcio offensivo e risultati”.
Queste le garanzie del Pelado. Resta solo da vedere chi sarà il primo club del vecchio continente a pensare a lui.
Un ringraziamento speciale alla rivista El Grafico, al bellissimo sito Revista Un Caño e alla meravigliosa biografia su Matias Almeyda scritta dal bravissimo Diego Borinsky, tutte fonti dalle quali ho attinto a piene mani per questo pezzo su Matias Almeyda.