Calcio
19 Ottobre 2017

La tragedia di Matthias Sindelar

La fine del più grande giocatore austriaco di sempre rimane un giallo.

Il protagonista di questa storia è uno dei tanti ragazzini che inseguono il pallone negli spiazzi sterrati di Favoriten, quartiere industriale di Vienna, capitale dell’impero asburgico. Si è trasferito qui con la famiglia dalla Moravia Austriaca nel 1905, di nome fa Matthias, cognome Sindelar, ed è piuttosto gracile, tanto che sui campetti lo chiamano scherzosamente “Gschropp”, “Nanerottolo”. La sua infanzia corre via veloce come i tiri scagliati verso le porte improvvisate, finché il padre, operaio, non fa più ritorno dalla battaglia dell’Isonzo nel 1917.

 

Il lutto impone nuove responsabilità e Sindi può dedicarsi al football soltanto nelle pause tra l’impegno in officina e lavanderia, dove lavora anche la madre. Sebbene il tempo per il gioco sia ridotto, risulta sufficiente per conoscere Karl Weimann, insegnante ed alfiere del calcio giovanile nel quartiere. Egli organizza regolarmente avvincenti sfide su campetti di fortuna, a cui assistono con divertito interesse i dirigenti dell’Hertha Vienna, la principale squadra della zona.

 

 

Nel 1926 Sindelar con la maglia del Wiener Amateur e la vistosa fasciatura sul ginocchio destro. (archivio TIMF)

 

 

Proprio uno di loro, Febus Oster, rimane colpito da quel piccoletto che dribbla accarezzando la palla come nessun’altro e lo invita ad entrare nelle rinomate giovanili del suo club. Il percorso di Sindelar nelle giovanili è agile come una sua corsa palla al piede nella metà campo avversaria e l’esordio in prima squadra a diciotto anni è un meritato premio.

 

Tuttavia, da una rapida ascesa si passa ad un’altrettanto celere caduta, quando nell’inverno del ’23 Matthias scivola in piscina, fratturandosi il menisco. Dopo mesi di sofferenza, soltanto la provvidenziale abilità del luminare chirurgo Spitzy gli consente di ritornare in campo, tuttavia con indosso una maglia differente ed una vistosa fasciatura sul ginocchio operato: l’Hertha ha attraversato gravi guai economici ed è stato costretto a vendere i suoi elementi più pregiati per “fare cassa”.

 

Quindi Sindelar passa all’Amateure Vienna, detentrice del campionato e della coppa del 1923/24, che diventerà poi “Austria Vienna FK” con il passaggio al professionismo due anni dopo. Nelle Violette giocherà fino alla fine della sua carriera e dei suoi giorni, diventandone la stella ed il capitano.

 

Così, al ritorno in campo dopo la riabilitazione, ben presto il “Nanerottolo” è ribattezzato dal suo nuovo pubblico “Der Papierene” (“Cartavelina” o “Uomo di carta” n.d.t), sia per la figura slanciata sia per la leggiadria e l’imprevedibilità con cui fa fuori gli avversari. Per chi lo segue dagli spalti, è impossibile non pensare ad un pezzetto di carta che si agita in balia del vento, osservandolo fintare e guizzare imprendibile tra le maglie delle difese avversarie.

 

Nel club del tredicesimo distretto “Auhofstrasse”, Sindelar conquista un campionato, cinque Coppe d’Austria e due Coppe Mitropa (o Coppa dell’Europa Centrale da “Mitteleuropa”), “tradendo” la maglia viola soltanto con quella bianca della nazionale, il suo secondo amore. A dire la verità, a partire dal ’26 le prime esperienze nella selezione non sono propriamente convincenti e la critica si divide nel giudicare il suo apporto. Fortunatamente il buon senso e l’acume tattico del grande Hugo Meisl prevalgono sui dubbi e dal 1931 Matthias diviene l’astro che illumina il gioco del “Wunderteam”.

 

 

Una cartolina del leggendario Prater di Vienna celebra il Wunderteam vincitore della Coppa Internazionale. A sinistra Hugo Meisl, il demiurgo della Squadra delle Meraviglie. (archivio TIMF)

 

 

Nella primavera del ’31 l’epopea della “Squadra delle meraviglie” è inaugurata da un clamoroso successo per 5-0 sulla Scozia, una delle migliori scuole dell’epoca. Da lì in avanti, la striscia di imbattibilità si protrae per altri quattordici incontri, condita da roboanti vittorie. Il gioco proposto è costruito su reti di passaggi fitti e precisi, che esaltano l’abilità tecnica dei singoli, in particolare dei quattro attaccanti, tra cui Sindelar riveste il ruolo di fantasista.

 

Un calcio offensivo e moderno quindi, perfetta rappresentazione di un Paese che si era già dimostrato terreno estremamente fertile per le avanguardie artistiche di inizio secolo. Nel dicembre del ’32 soltanto i maestri inglesi riescono ad interrompere il filotto austriaco, in una sfida che tuttavia rimarca il valore dei ragazzi di Meisl e di Cartavelina in primis.

 

Sul campo pesante di Stamford Bridge, i padroni di casa prevalgono 4-3 sugli indomiti ospiti, ma nelle menti dei sessantamila presenti rimane vivida soprattutto la sinfonia composta da quel “Mozart del pallone”: una serpentina, disegnata con la sfera di cuoio ai piedi, che si conclude soltanto alle spalle del portiere inglese, dopo aver superato tutta la retroguardia.

 

 

Così, mentre la stampa d’Oltremanica lo eleva a “Football genius” e squadre come Arsenal e Manchester United offrono cifre faraoniche per strapparlo all’Austria Vienna, ormai Sindi è divenuto una celebrità continentale, tanto che maestà come il principe Giorgio d’Inghilterra ed il Re di Svezia si scomodano per stringergli la mano.

 

A dimostrazione della propria supremazia, nello stesso anno il Wunderteam solleva la seconda edizione della Coppa Internazionale, antesignana dei moderni Europei, ma al giorno d’oggi si dice che a questa nazionale sia mancata soltanto la consacrazione della Coppa Rimet. Infatti nel ’34, il cammino ai Mondiali italiani si interrompe in semifinale proprio per mano dei padroni di casa.

 

A San Siro, il gol di Guaita è decisivo e consente agli Azzurri di superare una selezione composta dai migliori elementi delle squadre viennesi, fiore all’occhiello del calcio danubiano, nonché i più ostici avversari dei club nostrani in Coppa Mitropa. Proprio in questa occasione, Sindelar incontra uno dei suoi pochi nemici in campo, ovvero il difensore oriundo Luis Monti, che cerca di brutalizzarlo sfruttando la permissività del fischietto svedese Eklind.

 

 

Il Bologna ospita l’Austria Vienna: al centro Sindelar e Schiavio, campioni uniti dall’antipatia per Monti. (archivio TIMF)

 

 

Nonostante l’eliminazione lasci un retrogusto amaro nei palati austriaci, negli anni a venire i loro animi saranno turbati decisamente di più dal pericoloso evolversi della situazione politica sia interna sia estera. Innanzitutto nel ’32 il cancelliere Engelbert Dolfuss ha soppresso la democrazia parlamentare, instaurando un regime autoritario e nazionalista, guidato dal partito del Fronte Patriottico; in questo modo egli ha sperato di stabilizzare il Paese, agitato da tensioni che si protraggono dalla sconfitta nella Grande Guerra e dalla dissoluzione dell’Impero Asburgico.

 

Nel frattempo, alla fine del gennaio ’33, il partito nazionalsocialista è salito al potere a Berlino e ben presto Hitler ha rivolto l’attenzione ai territori della “Grande Germania”, tra cui l’Austria. Il 26 luglio ’34 un tentato putsch, guidato dai nazisti, ha portato all’assassinio del cancelliere austriaco, principale oppositore di una possibile annessione. Gli è succeduto Von Schuschnigg, ministro della difesa, che tuttavia non sarà più in grado di sostenere le pressioni e le minacce tedesche. Infatti è prima costretto ad integrare tre dirigenti nazisti nel governo, poi non è in grado di opporsi quando uno di loro, Seyss-Inquart è stato nominato Cancellerie d’Austria.

 

A questo punto l’Anschluss è divenuto soltanto una questione di ore, esattamente quelle necessarie alle truppe di Hitler per varcare il confine ed entrare a Vienna indisturbate. E’ il 12 Marzo 1938 e Sindelar non può credere a ciò che vede: la capitale, la sua città, da sempre crogiolo di popoli, razze e religioni diverse, accoglie festosamente le colonne di un esercito che risponde ad ordini dettati da odio razzista. In più l’ideologia antisemita gli suona ancora più terribile adesso che frequenta Camilla, un’ebrea italiana che fa l’insegnante.

 

Ovviamente, anche il calcio è vittima della forzata “arianizzazione” della società, tanto che le squadre di origine ebraica sono sciolte ed i dirigenti allontanati. Lo stesso Austria Vienna viene rinominato “SC Ostmark Wien”, dove “Ostmark” indica i territori annessi, mentre il presidente ebreo Michl Schwarz è allontanato dal club. Legato a lui da un affettuoso rapporto, Matthias non esita ad esprimergli gratitudine e solidarietà: “Il nuovo fuhrer dell’Austria Vienna ci ha proibito di salutarla, ma io vorrò sempre dirle buongiorno, signor Schwarz, ogni volta che avrò la fortuna di incontrarla”.

 

Per quanto riguarda la nazionale, espressione dell’Osterreich ormai ridotta a provincia, il futuro prevede la fagocitazione all’interno della federazione tedesca. Inoltre per celebrare l’Anschluss sotto il profilo sportivo, viene organizzata un’amichevole allo stadio Prater: nei piani prestabiliti l’esibizione sarebbe dovuta essere un “biscotto”, o meglio una fetta di torta Sacher da servire ai vertici nazisti. Tuttavia, nell’Austria c’è una nutrita frangia di giocatori che vuole boicottare il progetto e guastare la festa. Chiaramente Sindelar è il vertice di questa dissidenza.

 

 

L’eleganza del Wunderteam.

 

 

Per lui, la soppressione è un’ulteriore insulto, dato che si tratta di una delle selezioni più forti mai viste fino ad allora ed è già qualificata per i Mondiali, che si terranno in estate in Francia. Per giunta il calcio in Germania è arretrato e verte su un’aberrante mentalità difensivista.

 

Quindi, il 3 maggio l’Altreich affronta la nazionale austriaca, in campo per l’ultima volta. Per l’occasione gli atleti di casa vestono un’inedita maglia rossa con calzoncini bianchi, in omaggio ai colori della loro bandiera. Dopo le prime fasi di studio, Cartavelina si accende, diventa immarcabile e segna il primo gol, sotto gli occhi delle autorità naziste in tribuna.

 

Il raddoppio arriva grazie ad un missile su punizione da quaranta metri del terzino Karl Sestak, suo amico e compagno dell’Austria Vienna. Nemmeno un anno dopo, il 23 gennaio ’39, Sindelar è trovato morto insieme alla compagna Camilla Castagnola nel letto del suo appartamento, al numero 3 di Annagasse.

 

Al funerale della coppia partecipano migliaia di persone e l’addio al campione ed alla sua donna si tramuta in una manifestazione dell’orgoglio austriaco. Tra i presenti, probabilmente nessuno è convinto della versione ufficiale della polizia, che parla di morte per avvelenamento da monossido di carbonio, dovuto al malfunzionamento del camino di una stufa. Oggi come allora si sa soltanto che il fascicolo riguardante il decesso è scomparso e che l’autopsia sui corpi non è mai stata eseguita.

 

Come consuetudine di fronte ai misteri insoluti, i dubbi diventano illazioni, poi speculazioni. Che sia stato un assassinio politico per eliminare un soggetto tanto celebre, quanto inviso al regime? Oppure, che sia stato un duplice suicidio dal movente passionale? O ancora una semplice e tragica fatalità? Addirittura c’è chi sostiene che Sindelar abbia sfruttato le espropriazioni agli ebrei per acquistare a prezzo di favore la sua famosa “kaffeehaus”, nell’amato quartiere di Favoriten.

 

Verosimilmente la verità non si avrà mai, ma sappiamo certamente che dopo l’amichevole Sindelar rifiutò la convocazione dell’allenatore tedesco Sepp Herberger per i Mondiali di Francia. Inoltre nel giorno di Santo Stefano del 1938, condusse l’Austria Vienna contro l’Hertha Berlino all’Olympiastadion, in occasione della finale del campionato interno organizzato nel Reich.

 

 

Il Wunderteam schierato a centrocampo nel 1936: Sindelar guarda in camera, mentre Sestak è il primo da destra. (archivio TIMF)

 

 

“…Maestro della finta, si è detto. La sua non era una finta scomposta, plateale, marcata. Era un accenno, una sfumatura, il tocco di un artista. Fingeva di andare a destra e poi convergeva a sinistra colla facilità, la leggerezza, l’eleganza di un passo di danza alla Strauss, mentre l’avversario, ingannato e nemmeno sfiorato, finiva a terra nel suo vano tentativo di carica. Allora, quando questo suo giuoco gli riusciva, «Sindi» si ispirava; come il vero artista”…

 

“Non è morto da eroe questo idolo delle folle danubiane. Pare che strida, che urti col senso morale, il fatto che un uomo ammirato, idolatrato per le sue virtù atletiche ed artistiche, muoia nelle braccia di una donna o, per lo meno, per mano od in compagnia con una donna. Eppure la cosa è cosi umana, che la folla che lo ha tanto amato gli perdonerà anche questo suo modo di allontanarsi dalla vita. E’ stata l’ultima sua «finta»…

 

Gli sportivi italiani, che lo hanno a suo tempo ammirato e temuto, i calciatori nostri, che nella conquista del primato mondiale considerarono lo studio per neutralizzare l’opera di «carta velina» come una delle più difficili tappe della loro marcia, si inchinano davanti alla scomparsa dell’uomo in cui più non vedono l’avversario, ma il collega, l’artista, il supremo esponente di una scuola. Lo salutano commossi”. Con queste parole, Vittorio Pozzo salutava il campione austriaco dalle colonne della “Stampa” del 23 gennaio 1939.

 


Bibliografia:
La partita dell’addio” di Nello Governato (Omnibus, Arnoldo Mondadori Editore, 2007).
Il Bologna e l’Austria Vienna di Matthias Sindelar” da Archivio TIMF.


 

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Alberto Fabbri

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