Ritratti
16 Luglio 2022

Lutz Eigendorf, la morte del traditore

Il Kaiser dell'Est ucciso dalla STASI.

Il buio, le foglie umide sull’asfalto, la curva, la quercia e l’Alfa Romeo straziata. La scena che racconta la fine di Lutz Eigendorf sembre il tipico incidente per guida in stato di ebbrezza. Strada maledetta la Braunschweig – Querum. Dopo due giorni di agonia l’autopsia è mera formalità, il tasso alcolemico è sufficiente per l’archiviazione, il caso è chiuso. Oltre trent’anni dopo, uno sbandato viene arrestato per tentata rapina, e davanti ad un giudice della Repubblica Federale di Germania racconta una strana storia, tira in ballo una missione affidatagli dalla STASI, parla della morte di un calciatore fuggito nella Germania Ovest…

Il giornalista Heribert Schwan mangia la foglia, tesse la trama della verità e ricostruisce la vicenda: “Tod der Verrater” (Morte del traditore).

È il 1970 quando il quattordicenne Lutz Eigendorf entra nelle giovanili della Dynamo Berlin, dopo gli esordi nella Motor Sud della natale Brandeburgo. Gioca davanti alla difesa, recupera il pallone e sa impostare, ogni tanto segna pure; dopo quattro stagioni è tempo di vestire la maglia color vinaccia della prima squadra. Per chi ha dimestichezza con l’araldica calcistica il prefisso Dynamo nei Paesi del Blocco Sovietico non lascia adito a tante interpretazioni: dalla rifondazione nel 1966, il club è direttamente presieduto da Erich Mielke, fondatore e vertice della STASI dal 1957 al 1989, l’uomo più potente nella Germania oltre cortina.


Con il numero 4 della Dynamo Berlino (Wikipedia)

Per lui, la Dynamo Berlin è una faccenda personale, i suoi successi un vanto da sbattere in faccia ai cugini capitalisti, la testimonianza dell’infallibilità dell’organo di polizia. Peccato che, nonostante il ricorso a qualsiasi mezzo, dai trasferimenti coatti di giocatori fino alle deportazioni di intere squadre, la bacheca rimanga sigillata fino al ‘78/79, quando la vittoria della DDR Oberliga inaugura un dominio decennale fino al crollo del muro. Eigendorf è tra i protagonisti di questo primo successo, in una stagione che lo ha visto vestire anche la maglia blu della nazionale in sei occasioni. Lo hanno ribattezzato Kaiser, per non essere da meno rispetto al 5 che guida il Bayern Monaco ed i bianchi dell’Ovest, però, nelle foto dei festeggiamenti non è presente…

Visitare il museo del Check Point Charlie significa scorrere una rassegna d’ingegno umano: aquiloni e palloni aerostatici, un sottomarino, vani segreti ricavati in qualsiasi tipo di veicolo, invenzioni di ogni sorta; la creatività che anela alla libertà. Moltissimi tentativi, tanti fallimenti. Invece per Eigendorf non sarà affatto difficile. Nel marzo 1979, di ritorno da una trasferta a Gießen contro il Kaiserslautern, il pullman fa tappa per consentire di spendere gli ultimi marchi prima di rientrare nella DDR.

Lui si allontana dai compagni, si confonde nella folla, sale su un taxi e fa perdere le sue tracce. O almeno così vorrebbe.

Quando si apprende pubblicamente della sua fuga, il dossier a lui dedicato è già in cima alla pila di documenti sulla scrivania di Mielke. La defezione è un insulto alla sua persona, il tradimento del suo Paese, l’abiura di una dottrina. Delle 85000 spie ai suoi comandi, una cinquantina sono dedicate al caso; per prima cosa bisogna recidere qualsiasi legame con il passato: un agente “Romeo”, specializzato in operazioni “di cuore”, seduce la moglie ed adotta la figlia. A Est del muro, le vite degli altri appartengono alla STASI.



Intanto Eigendorf, dopo un anno di squalifica, veste proprio la maglia del Kaiserslautern e vuole dimenticare il passato; un nuovo amico, anch’egli fuggito dall’Est, Karl Heinze Felchner, lo aiuta ad introdursi nella realtà occidentale. Proprio sotto al muro, rilascia un’intervista alla tv pubblica della Bundesrepublik in cui critica le condizioni di vita ed il sistema sportivo della DDR.

È il febbraio 1983, per Mielke è il momento di fargliela pagare.

Dopo aver trascorso una partita in panchina con la nuova maglia del Eintracht Braunscweig, viene avvicinato da due tifosi, che gli offrono da bere. In realtà sono due agenti che gli drogano il bicchiere e poi lo costringono a mettersi al volante. Nel dossier rinvenuto da Schwan trent’anni dopo, il piano contempla anche un furgone, che gli si faccia incontro con gli abbaglianti spianati, prima dell’ultima curva: Eigendorf non ha scampo. A raccontare di fronte al giudice la trama ordita da Mielke è lo stesso Felchner, ormai ex infiltrato nella Germania Ovest; all’epoca non se l’era sentita di eliminare il calciatore che lo credeva amico.

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