Il calcio in Corea del Nord sta finalmente crescendo?
Negli ultimi Asian Games, disputati ad Hangzhou (capoluogo della provincia cinese del Zhejiang) tra il 23 settembre e l’8 ottobre 2023, la Corea del Nord, dopo 4 anni di assenza, è tornata a disputare competizioni sportive internazionali. Tra le 39 medaglie ottenute (di cui 11 d’oro) dalla delegazione, meritano una particolare attenzione i risultati ottenuti dalla Selezione maschile U23 e da quella femminile (maggiore) di calcio.
I Chollima (è l’appellativo del cavallo alato, figura centrale della mitologia nordcoreana, condiviso, per beneaugurante affinità, dalla squadra maschile), dopo aver dominato il girone di qualificazione (0 gol subiti nelle prime 4 gare), sono stati eliminati solo ai quarti di finale dal ben più attrezzato Giappone. La Selezione allenata dal Commissario Tecnico Yong-nam Sin ha dimostrato, però, di potersela giocare alla pari con rose che, almeno sulla carta, apparivano decisamente più strutturate e competitive, pronte alla sfida con avversari di primissimo livello su palcoscenici internazionali.
Non c’è nulla di rivoluzionario nel gioco proposto dal CT nordcoreano: grande fase difensiva, corse e geometrie a centrocampo, fasce sulle quali sfondare e sfornare cross a ripetizione. E poi, per aggiunta, anche qualche elementare, semplice schema su palla inattiva. In due parole: coniugare la massima essenzialità alla più decisa concretezza, cercando di far arrivare, il più velocemente possibile, la palla nei piedi delicati, ma sapienti, di Kim Kuk-bom, classe ’95, pilastro anche della Selezione maggiore e di Chung-song Paek, attualmente in forza al Ryomyong SC.
Sorte simile è toccata anche alle Azalee dell’Est, la Selezione femminile, allenate da Ri Yu Il (già tecnico della nazionale U23). Anche in questo caso, infatti, è risultato fatale il match decisivo contro il Giappone: le Nadeshiko hanno superato nella finalissima continentale le nordcoreane con un netto 4-1. Comunque, degno di nota il percorso delle Azalee che, nei quarti di finale, hanno superato le rivali di sempre della Corea del Sud. In occasione della vittoria contro i gemelli, assai diversi, il Rodong Sinmun (il giornale ufficiale del Comitato centrale del Partito del Lavoro di Corea), ha identificato la squadra avversaria con una definizione beffarda: “the region of south Korean puppets“.
Per chi si chiede come sia possibile stupire, in campo calcistico continentale, dopo decenni di rigido e claustrale isolamento internazionale – non bisogna dimenticare che la Nord Corea, medaglie alla mano, si è confermata fra le dieci nazioni asiatiche più performanti a livello sportivo – la risposta va cercata, analizzando alcune vicende inerenti la storia, complicata ed intrigante, della Dinastia Kim.
DINASTIA KIM: SPORT E BIOPOLITICA
Per il politic bureau di Pyongyang, fin dai tempi della guida del “Grande Leader” Kim Il-sung (capo della Repubblica Popolare Democratica di Corea dal 1948 al 1994), ottenere risultati sportivi a livello internazionale è sempre stato considerato un must irrinunciabile, una specie di decisiva parte costitutiva della politica interna ed estera del paese. E proprio da qui nasce una specie di virtuosa affinità tra successi sportivi e questioni che si inseriscono in quel filone della storia e filosofia contemporanea che va sotto il nome di ‘biopolitica’.
La preservazione del corpo del Presidente e il conseguente controllo dei suoi movimenti era, e rimane tuttora, uno dei temi ricorrenti nella dialettica fra la dinastia Kim ed il Partito dei Lavoratori di Corea (la corrente politica dominante nel paese).
Sia il corpo di Kim Jong-il prima (al potere dal 1994 fino alla morte arrivata nel 2011), quanto quello di Kim Jong-un poi (entrambi “figli” di un elaborato culto della personalità, ereditato dal fondatore della Repubblica Popolare Democratica di Corea, Kim Il-sung), furono ‘divinizzati’ dalla rivoluzione targata juche (ideologia ufficiale della RPDC).
Il corpo del Presidente non appartiene, quindi, più solamente al suo legittimo proprietario ma, come non mancano di sottolineare i suoi seguaci, alla Nord Corea stessa; qualunque cosa possa apparire come un flagrante rischio alla sua incolumità – esattamente come accadeva agli imperatori della Cina antica – può avere conseguenze sulla nazione. All’indomani della presa del potere di Kim il-sung, la cultura fisica venne completamente politicizzata, lo sport letteralmente divorato dall’ideologia, e la cura del corpo dei nordcoreani inserito in un progetto totalmente innovativo. La preservazione della salute dei Leader si trasformò, quindi, in un tema ricorrente nella dialettica tra il popolo e la dinastia Kim.
Non deve quindi meravigliare il fatto che anche il successore Kim Jong-il mostrasse grande attenzione agli argomenti sportivi, tanto da diventare principale patrocinatore di quella che diverrà il pilastro calcistico della nazione, cioè L’April 25 Sports Club (il gruppo sportivo dell’Armata Popolare Coreana).
Kim Jong-un (cresciuto in Svizzera, grande appassionato di NBA), da quando ha sostituito il padre alla guida della RPDC, ha proseguito, a spron battuto, sulla strada precedentemente tracciata. Che per “Il Grande Successore” lo sport sia questione eminentemente politica lo dimostra anche il fatto che, fra il 2013 ed il 2020, ingegneri nordcoreani si siano impegnati in numerose nuove costruzioni o ammodernamenti di impianti sportivi in tutto il paese.
Il gioiello è, ovviamente, la celebre Pyongyang Football School, inaugurata ufficialmente nel 2013, che permette, ai più giovani talenti della nazione, di crescere in un ambiente di primo livello. Dalla scuola sono uscite le Nazionali giovanili che hanno vinto il Campionato mondiale femminile U20 (Papa Nuova Guinea 2016) e femminile U17 (Giordania 2016), oltre al Campionato Asiatico Under16 maschile (Thailandia 2014). Una grande accademia calcistica, aperta ai visitatori, finanziata anche grazie al programma di sviluppo promosso dalla FIFA, precedente alle ultime sanzioni internazionali.
Qui, prima della pandemia, si allenavano 200 tra ragazzi e ragazze tra i 9 e i 15 anni. “Per ora l’obbiettivo è dominare, calcisticamente parlando, l’Asia e, in un prossimo futuro, spero che riusciremo a raggiungere anche il resto mondo”.
Ri Yu-Il a ESPN
La struttura si trova nella capitale, a pochi passi dal Rungrado May Day Stadium che, con una capienza di 114 mila posti, rappresenta un autentico fiore all’occhiello dell’architettura dell’estremo Oriente. Kwang-Song Han (ex Cagliari e Juventus) e Choe Song-hyok (ex Perugia, Olbia ed Arezzo), rientrati finalmente in patria dopo un lungo calvario durato 4 anni, senza ombra di dubbio, sognano di poter calcare nuovamente, in tempi brevi, il prato di questa maestosa struttura. I due furono selezionati, a Pyongyang, insieme ad altri 13 calciatori (4 classe ‘99, gli altri 11 del ’98), da Alessandro Dominici.
Fondatore dell’Academy perugina ISM, Dominici, in occasione di un viaggio organizzato in Nord Corea nel 2014, fece parte della delegazione italiana guidata dall’onorevole Antonio Razzi, e dal segretario della Lega Nord Matteo Salvini. Proprio in quei giorni venne siglato un contratto di collaborazione che aprì le porte della scuola di calcio perugina a 15 giovani nordcoreani ogni anno. Il regime aveva il compito di svolgere una preselezione, presentando i ragazzi con maggiore potenziale, ma a scegliere sarebbero stati gli occhi attenti e scrupolosi degli allenatori italiani.
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Arrivati in Umbria, i giocatori risiedevano al Convitto di Assisi o negli alloggi universitari del Collegio Ruggero Rossi dell’Adisu, a Ferro di Cavallo. La mattina veniva riservata allo studio: i più giovani frequentavano le scuole superiori, gli altri i corsi all’Università per Stranieri. Due ore al giorno venivano riservate esclusivamente allo studio della lingua italiana. Il pomeriggio allenamento, 5 volte a settimana, tutti insieme, nei campi di San Sisto o in quello di Prepo.
IL CASO KWANG-SONG HAN
I rapporti tra l’Ism e Pyongyang permisero, sorprendentemente, al segretario generale della Federazione, Kim Jong-Man, ex calciatore, di visitare i campi umbri. Kwang-Song Han venne tesserato dal Cagliari nel marzo del 2017, prelevato proprio dall’Academy perugina ISM. L’attaccante, allora diciottenne, giocò subito il Torneo di Viareggio con i rossoblù, mettendosi in mostra grazie ad una discreta tecnica individuale ed una grande agilità nello stretto. Le sue prestazioni gli regalarono l’attesissimo esordio in Serie A con la prima squadra, segnando nella sua seconda presenza contro il Torino, diventando così il primo nordcoreano a realizzare un gol nella massima serie italiana.
Nel settembre del 2019 arriva l’approdo alla Juventus, per una cifra intorno ai 3 milioni di euro, che lo aggrega alla formazione Under 23 militante in Serie C. Nel gennaio del 2020, dopo appena cinque mesi, complici prestazioni non certo memorabili con l’Under 23, e con una sola convocazione in prima squadra, viene ceduto a titolo definitivo ai qatarioti dell’Al-Duhail. Qui arriva la svolta: l’ufficio del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che si occupa di applicare le sanzioni economiche contro Pyongyang, obbliga il calciatore a risolvere il contratto con il club di Doha. I guadagni dei calciatori, infatti, secondo la risoluzione 2397 del 2017, venivano confiscati dal regime di Pyongyang per sostenere i suoi programmi nucleari e missilistici proibiti.
Risoluzione che dava ai propri stati membri 24 mesi di tempo – a partire dal dicembre 2017 – per rimpatriare tutti i cittadini nordcoreani che lavoravano nelle rispettive giurisdizioni. La pandemia Covid 19, però, complica ulteriormente i piani dell’attaccante: la Corea del Nord costretta a chiudere i suoi confini, rende impossibile il ritorno a casa dei calciatori e di tutti gli altri lavoratori all’estero. Il 26 gennaio del 2021, Han è stato messo su un aereo per Roma dalle autorità del Qatar, raggiungendo, nell’ambasciata nordcoreana in Italia, Choe Song-hyok (svincolato dall’Arezzo nel gennaio del 2020).
Choe Song-hyok guadagnò la ribalta nazionale quando, nel maggio del 2016, venne inizialmente tesserato dalla primavera della Fiorentina. Il classe 1998 vide il suo trasferimento bloccato da un’interrogazione parlamentare presentata da Michele Nicoletti e Lia Quartapelle. I due deputati del PD, infatti, chiesero ufficialmente se anche a Choe Song-hyok, come il resto dei lavoratori nord coreani all’estero, venisse requisito una parte dello stipendio da parte del governo di Pyongyang.
Solo a metà agosto 2023, dopo circa due anni passati all’interno dell’Ambasciata insieme ai diplomatici nordcoreani a Roma, i due sono ripartiti alla volta di Pechino e sono successivamente rientrati in Patria. Difficile dire se sia possibile, per entrambi, venir selezionati per il secondo turno delle qualificazioni asiatiche, valevoli per la qualificazione alla World Cup del 2026 (la Nord Corea è stata inserita nel gruppo B).
Anche se quasi incomprensibile dal punto di vista del cinismo ed opportunismo occidentale, per i calciatori nordcoreani, infatti, la massima realizzazione umana e personale è ancora quella di vestire la maglia della propria nazionale.
In un’intervista del dicembre 2022 An Byong-jun, attaccante nordcoreano parte integrante della rosa del Suwon Bluewings (squadra sudcoreana di prima divisione – K League 1), confermando questa percezione, mi raccontava: “Sono fiero delle mie origini. Per me vestire la maglia della nazionale nordcoreana è motivo di grande orgoglio. Provo delle sensazioni uniche quando scendo in campo per rappresentare il mio paese. Non vedo l’ora di avere nuovamente l’opportunità di cantare l’Aegukka (l’inno nazionale, ndr) all’interno del rettangolo di gioco”, aggiungendo con apprezzabile onestà: “Secondo la mia opinione, c’è ancora una chiara differenza tra il livello calcistico della Sud Corea o del Giappone e della Nord Corea. Ma, allo stesso tempo, credo che il potenziale dei Chollima sia evidente. Sono sicuro che, se si lavora nella giusta maniera, in un ambiente che permette di esprimersi al meglio i risultati arriveranno”.
La politica sportiva di Kim Jong-un risponde ad alcuni precetti del celebre soft power che passa, anche, attraverso l’ottenimento di successi sportivi a livello internazionale. In Nord Corea, però, il tentativo è, se vogliamo, ancora più ambizioso: la dinastia Kim vuole mostrarsi, grazie a medaglie e trofei, solida e granitica agli occhi dei propri cittadini. Dopo la pandemia Covid-19, l’ormai imminente apertura delle frontiere nazionali ed il ritorno alle competizioni internazionali potranno dare, da questo punto di vista, una grossa mano alla leadership nordcoreana. A settanta anni dalla separazione con Seoul e a più di venti dalla morte dell’Eterno Presidente Kim Il-sung, potrebbe presto incrinarsi l’isolamento in cui perdura Pyongyang.