Una premessa è doverosa: per chi scrive è più di un onore essere a Tokyo per le Olimpiadi. È la realizzazione di un desiderio nato durante l’infanzia. L’aria che si respira, con giornalisti da ogni parte del mondo che lavorano ai banchi dell’MPC (sigla che poi vi vorrà dire qualcosa), è impagabile. E ancora non siamo andati sui campi! Quindi ogni tipo di critica che verrà mossa all’organizzazione e alle procedure nasce non per provocare, ma per spiegare la particolarità di questi Giochi (e anche per far sorridere).
Un accredito è per sempre
Senza accredito a Tokyo non entri. Punto. Le regole sono chiare: con l’abolizione del visto turistico a causa della pandemia, nella terra del Sol Levante accedono solo atleti, allenatori, dirigenti e funzionari. E giornalisti: chi voleva esserci a tutti i costi ha dovuto richiedere al Coni l’accredito stampa, concesso dal Cio dopo un accurato controllo. Ovviamente solo se il Coni aveva precedentemente accordato la richiesta, inoltrata mesi e mesi prima, a volte anche prima della pandemia. Per questo io – che ho avuto l’idea di spendere i miei risparmi per andare da freelance nella città un tempo chiamata Edo – ero già in ritardo, avendo chiesto l’accredito a inizio maggio scorso. Ma trattandosi di Olimpiadi sotto Covid, un posto in più si è trovato. E così l’ho avuto finalmente in mano, un piccolo foglietto di carta con il mio volto e dei codici.
La prego, sputi qui
Con un comodo diretto Fiumicino-Haneda, siamo sbarcati in Giappone. Pensavo di conoscere il significato dell’aggettivo ‘cerimonioso’, ma mi sbagliavo. Il popolo nipponico va oltre il concetto di gentile e premuroso: l’esercito di steward (in maggioranza giovani donne) che ci accoglie per le varie ‘stazioni’ dei controlli all’aeroporto è sempre sorridente. Non in maniera affettata: semmai deferenziale (oppure affettata, ma vorrebbe dire che hanno finto talmente bene che non me ne sono accorto).
Rivolgo un konnichiwa (“salve”) agli addetti al test salivare, che con un’acribìa impressionante mi illustrano il bizzarro procedimento. Prendi la fialetta, ci sputi dentro tramite un minuscolo imbuto, attacchi alla fialetta un codice a barre connesso al tuo ID (in altre parole, i 7 numeri che identificano ciascuno di noi), e consegni la fialetta. Certo, il cartello appeso che illustra quali tipi di saliva non vanno bene fa un po’ schifo, ma ci si passa sopra. La procedura è facile, rapida, efficiente. Come tutte le altre soste del circuito obbligatorio: controllo immigrazione e dogana. Mi rendo conto solo adesso delle migliaia di persone dispiegate dal governo giapponese per la logistica dei Giochi: solo un popolo di soldati poteva realizzare un’impresa del genere durante la pandemia di Covid.
Regola numero uno: prenota, prenota, prenota
Io comprendo benissimo il fastidio dei colleghi ultracinquantenni, che hanno iniziato a fare questo lavoro quando era molto più affascinante e per le Olimpiadi non bisognava essere schedati e ricordare decine di password e account. Sì, perché per registrare la propria temperatura quotidianamente serve un’app, la simpatica Ocha. Ocha genera un codice QR da mostrare su richiesta (in hotel, al Media Press Center, alla fermata della navetta). E ancora: prima dei test salivari (uno al giorno i primi tre giorni, poi sputeremo una volta ogni quattro dì) serve registrarsi tramite un codice QR (seguito da ID e data di nascita).
Mi state ancora seguendo? Bene. Per assistere alle gare, che sono il succo dei Giochi, bisogna prenotarsi tramite un portale (realizzato bene, va detto).
Vietato fare i furbi e piazzare prenotazioni a raffica: se la disdetta arriva in ritardo, si viene richiamati all’ordine. Senza prenotazione, ça va sans dire, non si entra. Tutti gli eventi sono blindati, ma alcuni eventi sono più blindati di altri. Le finali del nuoto, si sa, sono attesissime da noi italiani. Ma per accedervi non serve la prenotazione classica, bensì una richiesta personale inoltrata dal Coni al Cio.
E visto che si tratta di 56 biglietti totali per la zona mista, e che i giornalisti di tutto il mondo (tra carta stampata, web e broadcast) sono 6000, è evidente che c’è un grosso squilibrio. I veterani dei Giochi (quindi non l’ultimo arrivato come chi vi scrive) borbottano e ricordano con malinconia le passate edizioni, quando si girava spensierati tra un campo e l’altro. E i posti in zona mista erano molti di più.
Non sia mai che prendiate i mezzi pubblici! Sono vietati per i primi 14 giorni, e dato che è “fortemente sconsigliato” girare a piedi per Tokyo, va da sé che le prime due settimane sono una quarantena mascherata: hotel-impianti sportivi, impianti sportivi-hotel, non si scappa. Poi però vedi l’MPC pieno di giornalisti da tutto il mondo, assembrati come siamo stati assembrati in aeroporto, e pensi: non è che gli sforzi fatti si vanificano del tutto?
“Scegli dove vai e ti dirò se puoi”
Una città tentacolare di 13 milioni di abitanti, affascinante groviglio di cemento e metallo, pulita come mai visto in vita mia. È questa la Tokyo dove sciamano centinaia di taxi e decine di bus, gli strumenti senza i quali andare al campo di tiro Asaka (42 kilometri dal centro città) o alle gare di surf di Tsurigasaki Beach (93 kilometri!) sarebbe impossibile. Le navette sono comode, ci si tiene compagnia e c’è il wi-fi, seppur ballerino. Il problema è che impiegano tantissimo tempo: 40 minuti per fare nove kilometri, per fare un esempio che mi riguarda. I taxi sono più svelti, e possiamo contare su 14 ticket con cui pagare le corse.
L’organizzazione è eccellente, ma le grane emergono lo stesso.
Con queste tempistiche, vedere nello stesso giorno sport che si disputano in impianti diversi è molto difficile. Anche se in linea d’aria sono vicini: vi ho già detto che non si può girare a piedi? Queste sono le mie impressioni all’ora di pranzo del quarto giorno. “Non hai ancora visto niente, finora non si è lavorato mica”, dicono i colleghi. Eppure mi sembra di non essere mai stato così prosciugato di energie in vita mia: è una sensazione clamorosa. Mi sono goduto Brasile-Germania a Yokohama, e adesso sono pronto per la cerimonia di apertura. Dopo di che, ogni giorno fino all’8 agosto mi gusterò una disciplina diversa. Sarà bellissimo.Sputo dopo sputo.