La tecnica, il coraggio, la natura. La sfida con la morte.
Prima di tutto è nata la strada, la via per l’uomo da percorrere. La ruota, il motore, infine, la corsa. Il rally è solo l’ultimo atto di un intreccio secolare tra uomo e natura, tra uomo e macchina, tra uomo e tempo. Il più moderno, o il più antico. Il motorsport nasce da un connubio di destini, uomini ancora alla ricerca di sfide al limite dell’umano e lo strumento, l’avanzamento della tecnica, l’automobile, con cui solcare strade e magari tracciarne di nuove. Una rivoluzione portatrice di un’idea nuova: la velocità.
Da quando siamo passati dal cavallo – meglio, dalla carrozza – all’automobile, i rallye sono questo, per dirla alla francese, un rendez-vous di velocità e resistenza, mentale e fisica, tra gloria e follia. C’era e c’è ancora quel tempo in cui le automobili sono delle stranezze metalliche su ruote capaci di accendere l’immaginazione dell’uomo, di ispirarlo e di farlo andare oltre i propri limiti. Siamo ancora figli di quell’estetica che partorì, quasi per caso, il più affascinante e imprevedibile degli sport motoristici.
Oggi, nel nuovo mondo, che ha sostituito il viaggio spaziale a quello terrestre, quello virtuale a quello reale, in cui la tecnologia digitale ci fa essere dall’altra parte del mondo in pochi istanti, in cui la mobilità è funzionalistica e cattedraticamente smart, qualsiasi cosa voglia dire, l’uomo al servizio della tecnica, ci troviamo a riscoprire la mistica del rally, ad amare la guida legata alla terra, all’avventura, libera, spericolata, diversamente smart, pericolosa, quasi come un metodo di evasione dalla vita per rimanere vivi. Uno sport che è filosofia dell’automobile. Il rally come stile di vita.
“Per prima cosa si sentiva il fischio dei freni e poi un fascio di luce sembrava scrutare velocemente l’interno della foresta come per cercare chissà cosa. La gente si era alzata tutta in piedi lasciando i fuochi ormai spenti e incominciava a fremere urlando: Eccolo! […] Senti! Che roba, mamma mia come scende. Poi un bagliore accecante e un rumore rabbioso di motore al limite. […]. Poi senza nemmeno rendersene conto, in una nuvola di polvere e sassi la rossa vettura passava e spariva dietro il terrapieno stracolmo di gente che applaudiva eccitata.”
È con questa meravigliosa fotografia in parole che Vittorio Caneva, uno dei maestri dei rally italiani, descrive (in ‘RALLY. Appunti di una vita: il sapore della passione 2’) una delle scene che lo ha folgorato, trafitto, facendo nascere un amore lungo un’intera esistenza.
Un viaggio tra polvere e follia
Innanzitutto storicamente la sfida fu per l’automobile. I piloti, o l’equipaggio, sono fantini a servizio della causa più alta: portare la meccanica al limite. Fu il giornale Le Petit Journal a lanciare l’idea di mettere alla prova quelle nuove “carrozze senza cavalli” per affidabilità più che per velocità, sulle strade sterrate che portavano da Parigi a Rouen. Una sfida aperta tra uomini intraprendenti e macchine temerarie. Vinsero una Peugeot-Daimler e una Panhard-Levassor, ma vinse soprattutto l’idea che l’automobile potesse andare lontano. E veloce . . .
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