Sognavamo corse folli e roboanti ma saranno le macchine a guidare le persone.
All’inizio del XX secolo l’uomo conobbe per la prima volta il rombo dei motori: una musica nuova. Nessuno prima avrebbe potuto immaginare che i sogni potessero sublimarsi in una forma così bella, fatta di metallo verniciato e benzina da bruciare alla velocità del vento.
A vedere in anticipo la portata storica dell’invenzione automobilistica fu il Futurismo – movimento culturale di congiunzione tra l’interesse umanistico degli artisti e la tecnica – che vedeva proprio nella rivoluzionaria evoluzione della tecnica il progresso dell’umanità. Dopo oltre cent’anni le cose sono cambiate e l’automobilismo vive una profonda crisi d’identità.
“Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita”.
Così scriveva Marinetti nel 1909 a Le Figarò, nella pubblicazione del manifesto “Le Futurisme”. Immediato fu lo sviluppo appena successivo – osannato dai futuristi – del motorsport, che per Henry Ford“nacque appena fu prodotta la seconda autovettura”. Un cocktail di arte, cultura e sport che eccitò una società ribollente nel periodo post-rivoluzione industriale. L’ideale nel progresso tra le due guerre mondiali e poi oltre, nuove forme di libertà e bellezza, più grande della Vittoria di Samotracia, a misura dell’uomo nuovo e moderno.
Come detto però, oggi sia l’automobile sia il motorsport vivono una profonda crisi d’identità. L’utilitarismo contemporaneo infatti, abbandonati sia Epicuro che Malthus e Ricardo, lo sviluppo dei sistemi urbani, il concetto di Smart Cities, le evoluzioni del mercato, la sharing economy, stanno portando a riconsiderare l’automobile come un semplice ingranaggio nel sistema della vita civile da automatizzare, un mezzo di trasporto utile soprattutto a spostare l’individuo da A a B. E poi norme di sicurezza, ecologia alla Greta Thunberg, necessità di ridurre al minimo il tempo sprecato in attività inutili, sono solo alcune delle moderne ragioni che stanno inevitabilmente sterilizzando l’esperienza automobilistica.
Elon Musk e l’autopilot di Tesla ne sono l’esempio più vivace: una vittoria della cultura nerd. Che ne sarà dei viaggi senza meta e magari oltre i limiti del Codice della strada? Non è dato sapere che posto occuperà il piacere della velocità nella società di domani. Di certo sarà diverso da come l’aveva immaginato il futurista Roberto Marcello Baldassari: nel suo quadro “auto+corsa+città” – descritto da Achille Funi – le case arrivavano addirittura a piegarsi al passaggio dell’automobile.
Non solo futurismo, ma anche molte altre espressioni della cultura novecentesca; automobilismo e motorsport hanno occupato un posto di enorme prestigio nella società per più di mezzo secolo. Le gesta eroiche dei piloti nei diversi circuiti del mondo, la consuetudine dell’individuo al volante della propria auto appena lucidata in viaggio anche senza una meta precisa, l’arte connaturata nel design di alcune opere marchiate Ferrari, Alfa Romeo, Maserati, Lancia, Mercedes, BMW, Aston Martin, le sfide ingegneristiche all’inseguimento del limite, sono state espressioni autentiche del genio umano. Così si è scritta la grande cultura dei motori.
Se in principio il valore di un’auto – anche semplicemente di status symbol – era dato da estetica, potenza, qualità dei materiali, ora l’unico tratto di distinzione è l’aspetto green. È l’ecologicamente corretto, come ci hanno insegnato i programmi Top Gear e The Grand Tour. E così è nato il nuovo dualismo automobilistico tra untori inquinanti e ecologisti salvatori dell’umanità a bordo di ibride-elettriche.
Non c’è dubbio, lo sviluppo tecnologico ha permesso al progresso umano di fare passi in avanti esponenziali, ma questa potenza può facilmente perdere la dimensione dell’uomo. Come scrive il Papa emerito Ratzinger nel libro Il tempo e la storia. Il senso del nostro viaggio:
“il mondo della tecnica, del calcolo esatto e della pianificazione da solo non basta. La nostra società moderna è scossa da un’insurrezione inconscia contro la totale pianificazione della nostra esistenza, che produce un senso di soffocamento da cui ci vorremmo difendere, anche se non è possibile”.
Se la tecnica – oltre a imporre interrogativi di largo respiro, e a restringere sempre di più lo spazio dell’humanitas – sembra aver tradito gli ideali futuristi, è suggestivo pensare che il rombo di un motore rimarrà simbolo di libertà, anche nel mondo elettrificato e automatizzato di domani.