Diceva Randolph Bourne, scrittore americano, che se non si è idealisti a vent’anni non si ha cuore; se lo si è ancora a trenta, non si ha testa. Stupidaggini. O meglio formule vagamente applicabili a chi aspetta solo di conformarsi a un’esistenza (post)borghese fatta di scadenze, tasse, ferie, obblighi, compromessi. Quando abbiamo fondato Contrasti, a metà strada fra i 20 e i 30 anni, era proprio per sfuggire a questa dicotomia, anzi per ricomporla: per diventare adulti a modo nostro e tenere fede, nella transizione, a una promessa di totalità che ci eravamo fatti da ragazzi.
L’atto fondativo di questa rivista è stato un atto di ribellione, l’utopia tutta giovanile di continuare a vivere di assoluti. Non ci interessava diventare giornalisti né fare carriera. Cercavamo la disintegrazione, non l’integrazione. Il disordine, non l’ordine. L’opposizione e non il posizionamento. Figli di mezzo della storia, con il cuore che batteva come un tamburo nel ‘900 e la testa travolta dalle angosce del 2000 e oltre.
Viene quasi da ridere, oggi, a pensare a quante energie avessimo allora. Le collette, le riunioni, le nottate passate a scrivere, l’entusiasmo immenso. E però non si trattava solo di una ribellione giovanile, c’era qualcosa in più:la necessità di occupare uno spazio, allora vuoto, e di dare ossigeno all’asfissiante racconto sportivo italiano. Un obiettivo tanto ambizioso quanto acerbo e che all’inizio, come ripetuto più volte, partiva solo da una consapevolezza negativa, montaliana: ciò che non eravamo, ciò che non volevamo.
“Nell’epoca in cui non si fa più nulla per nulla, dell’usa e getta elevato a sistema e dei fenomeni mediatici che durano il tempo di una sveltina, abbiamo coltivato questa rivista con uno spirito quasi sacro, come un monaco zen cura il giardino del suo monastero; perché per citare Giovanni Lindo Ferretti il sacro, in qualsiasi sua forma, scaccia via gli incubi e gli spettri. Ecco cosa è stato Contrasti per noi: una cura, un antidoto esistenziale”.
In una narrazione spartita tra nostalgici e progressisti, tra chi cullava il mito degli anni ’90 e chi già accelerava la settorializzazione del prodotto calcio, rendendolo una scienza vivisezionabile con le sue leggi specifiche, Contrasti è stata la reazione pop-insofferente di chi voleva essere altro(ve): né conservatori senza più nulla da conservare, né progressisti con tutto da distruggere. Pur nelle nostre contraddizioni, abbiamo provato a raccogliere il testimone di una grande tradizione letterario-sportiva (fatta di simboli, identità, estetica, religione, politica) adattandola ai tempi che correvano.
Abbiamo provato a tenere insieme l’alto e il basso: le accademie e i potreros, i professori e gli hooligans. L’alto degli intellettuali prestati allo sport, che dello sport avevano capito l’essenza profonda e tendevano le proprie penne verso il “basso”, e il basso del calcio di strada, che pian piano erigeva verso il cielo la sua Chiesa universale, fondando la più ecumenica delle religioni (senza atei). Tutto fa vita ma ancor prima tutto fa sport, non solo i fatti di campo.
E però di anni ne sono passati: siamo cambiati noi, è cambiata la rivista.
Con il tempo siamo maturati ma paradossalmente è proprio a quest’età, ai trent’anni, che si capisce quanto la ribellione giovanile avesse solide base: è a quest’età, in cui la morsa sociale si fa sempre più stretta, che comprendiamo cosa vogliamo fare (da grandi) e chi vogliamo essere. Perché spesso le nostre consapevolezze sono influenzate dagli altri, da ciò che ci circonda. Ma ammesso che Contrasti non c’era prima e non ci sarà dopo, nel bene così come nel male, non sarà il caso di fare le cose a modo nostro?
Intanto vi confidiamo una cosa, per quei pochi che non lo sapessero: con il giornalismo oggi non si campa; a meno di non avere gli agganci giusti, e approfittare degli ultimi contratti decenti disponibili, o di fare i cinesi redazionali, e quindi pubblicare 30 articoli al giorno, abbassare drasticamente la qualità e comunque condurre una vita d’inferno tra precarietà, stress, insoddisfazione e gastriti. Questa lagna però ve la risparmiamo volentieri: non si può scendere su un ring di boxe e poi lamentarsi dei colpi incassati. E, detta tra di noi, tanti colpi i giornalisti se li sono pure meritati.
Qui il punto è un altro, ovvero che Contrasti non è (solo) una rivista. Per un po’, spinti da una inconscia volontà di assimilazione e da qualche traguardo professionale, abbiamo creduto di dover ripercorrere le orme altrui: diventare – seppur a modo nostro – giornalisti. Un clamoroso errore di prospettiva. Questa rivista è nata perché se ne fregava dei trend topic, del gossip, delle marchette. Ed è cresciuta grazie a valori umani e intellettuali, spinta da una sana follia che, a pensarci lucidamente, è fuori da ogni logica e non ha termini di paragone.
La verità è che noi non volevamo fare la vita dei giornalisti odierni (un mestiere totalmente diverso rispetto a 20-30 anni fa) e soprattutto non avevamo il carattere per farlo. Di più, non avevamo lo stomaco. Un lavoro per cui si deve essere pronti a litigare per le briciole, a scrivere tutto e il contrario di tutto, a stare sempre sul pezzo; ad arrampicarsi, scavalcare, strisciare, sudare, mandare messaggi alle persone giuste e stringere rapporti con quelle che contano. E poi ad autopromuoversi, pompando all’inverosimile profili social egolatrici, a tratti patologici, vetrine private di pubblica masturbazione.
Noi non volevamo iscriverci all’albo, scrivere sui grandi giornali, vantarci a cena con amici e parenti di essere giornalisti. Noi volevamo, più di tutto, fare Contrasti.
Il “giornalismo” come artigianato e come esperienza collettiva, umana. Contrasti era il sogno e l’orgoglio della nostra vita, non solo il percorso ma anche la meta. Un amore maturato nel tempo, riformulato negli anni, con i suoi alti e i suoi bassi ma che, pur mutando, si era mantenuto saldo e profondo. Contrasti era la nostra promessa di fedeltà che ci eravamo fatti da ragazzi. Altrimenti non saremmo andati avanti di volontarismo per quasi sette anni.
Eppure qualche tempo fa, tutti impegnati nelle nostre vite e fiaccati dai nostri lavori, stavamo per gettare la spugna: la strada ci appariva sempre più stretta, il vicolo cieco; avevamo capito che non avremmo mai conquistato il mondo (da giovani lo si pensa sempre) e ci trovavamo al termine della giovinezza come Bardamu era al termine della notte. Erano subentrati la stanchezza e il fatalismo, mali strutturali della nostra epoca, ma proprio lì abbiamo capito una cosa: Contrasti non sarebbe mai morto, sarebbe solo entrato nella sua fase adulta.
Ciò non significava rinunciare al nostro carattere bensì accantonare l’ansia, tutta giovanile, di totalità: scrivere tutti i giorni, trattare tutti i temi, coprire tutti i fatti. O tutto o niente. O la cima dell’Everest o tanto valeva abbandonare la scalata. La vita però non funziona così. E del mondo adulto, più che i contenuti, avremmo dovuto assimilare il metodo: tornare un po’ più sulla terra e convogliare le energie, stipulando un patto con noi stessi e con i lettori. Abbiamo quindi lanciato un appello e chiesto una mano sotto forma di donazioni: perché va bene la passione ma il tempo e il lavoro hanno un costo, e la libertà ha un prezzo.
Il sostegno si è spinto oltre le più rosee aspettative e ci ha consentito di andare avanti per quasi un anno – grazie davvero, a ciascuno di voi e dal profondo.
Soprattutto, vedere che c’era così tanta gente che credeva in noi, disposta a sostenerci, ci ha dato una carica incredibile. Da lì però ci siamo interrogati su cosa poter dare ai lettori, su come migliorarlo quel patto. Perché anche qui, finiamola con l’ipocrisia: non tutti i lettori sono uguali. Quando Montanelli scriveva che ‘il giornalista ha un solo padrone, il lettore’, si riferiva a quelli che acquistavano il giornale, e con esso il diritto di approvare o contestare, di criticare nel senso latino del termine (giudicare).
Chissà cosa ne avrebbe pensato di pseudo-lettori isterici e fanatici che davano sfogo su piattaforme virtuali a tutte le proprie frustrazioni esistenziali. A questi noi non dobbiamo proprio nulla, così come a milioni di analfabeti di ritorno (ma pure di andata) che sbraitano, insultano, magari condividono anche ma senza neppure la briga di aprire gli articoli, commentandone solo le didascalie. Gente che non ha la minima idea di chi siamo, da dove veniamo, come lavoriamo. Non è per loro che abbiamo fondato Contrasti, e a loro nemmeno ci rivolgiamo.
Ci rivolgiamo invece a chi questa rivista l’ha vista nascere e crescere, a chi ne ha compreso lo spirito, ai tanti che ogni giorno vengono sul nostro sito e, anche quando non condividono ciò che scriviamo (pure basta con questa mania infantile del condividere sempre), sanno che quel qualcosa lo potranno trovare solo su Contrasti. Come ci ha detto recentemente un vecchio scrittore: «io vi leggo sempre, spesso non sono d’accordo ma ogni volta mi date qualcosa». Il complimento più bello che si possa ricevere.
Così abbiamo pensato alla nuova fase di Contrasti: una responsabilizzazione nostra, degli autori, e vostra, dei lettori. Perché non si può vivere di soli diritti, e qui preferiamo immaginare un “giornalismo” fatto anche di doveri: nostri, di informarci, approfondire, leggere, fornire contenuti esclusivi e di alto livello, stilistico e ideologico; vostri, di capire che una rivista indipendente non può garantire gratuitamente approfondimenti quotidiani a tutti. Da qui, dopo aver parlato molto tra di noi e studiato vari modelli, è maturata l’idea della fase adulta di Contrasti.
Un piano di abbonamenti a prezzo base (5€ al mese o 50€ all’anno) con cui offriremo, chiaramente a chi fosse interessato, tanto l’accesso a determinati contenuti sul sito quanto la ricezione settimanale di una newsletter con contenuti esclusivi. Gli articoli per gli abbonati sul sito saranno gli approfondimenti delle nostre sezioni più contrastiane, Cultura e Tifo, i nostri esercizi più alti di Critica e in generale tutti quei long-form e quegli articoli, sanamente folli, che potete trovare solo sulle nostre disgraziate colonne. Ma nel piano sarà anche compresa una newsletter settimanale completamente stravolta, in cui entreranno:
un episodio dell’Angolo del Brasile, la rubrica più sportivamente scorretta del web, che sfiderà ogni censura, querela e ordinamento democratico; una selezione dei migliori articoli italiani e soprattutto esteri, montati dalla sapiente regia contrastiana (a vostro rischio e pericolo); brevi pillole da alcuni dei protagonisti dello sport italiano, fatto e raccontato; una reviewsul tifo, con le migliori coreografie e imprese della settimana; un estratto di letteratura sportiva pescato da vecchi libri, articoli, film che tutti dovrebbero conoscere. Insomma la versione 2.0, ampliata e migliorata, del nostro Gazzettino.
Sostanzialmente, l’abbonamento sarà una chiave d’accesso per i più alti e originali contenuti contrastiani.
Il prezzo sarà quello minimo che prevede la piattaforma di cui ci serviremo (Substack) ovvero 5.00€ mensili. L’obiettivo molto chiaro: non quello di arricchirci, ma certo quello di sostenerci. Una logica necessariamente economica che si inserisce però in una cornice ideologica: basta social, urla, rumore vuoto, quantità e non qualità; basta numeri, interazioni, insights; basta cercare di ragionare con chi vuole trascinare ogni cosa nel fango. Basta con il si dice, la chiacchiera e l’equivoco. E basta con la democrazia del web, un chiassoso pollaio in cui tutti starnazzano e tutto si confonde.
Invece, un patto trasparente e adulto con il pubblico. Risparmiandoci lagne e lamentele, rimboccandoci le maniche e dando una misura concreta a ciò che in questi anni abbiamo costruito. Chi vorrà, conoscendo la proposta e soprattutto il nostro lavoro, potrà abbonarsi e sostenerci: criticando poi, magari consigliando e suggerendo, ma offrendo il suo contributo senza più essere un utente X; chi non potrà o non la sentirà, continuerà ad avere accesso a quei contenuti che resteranno disponibili sul sito.
È giunta anche l’ora di distinguere i lettori, di canalizzare gli sforzi, di costruire un modello che possa garantire un riconoscimento a quegli autori che, per scrivere un certo approfondimento, acquistano e leggono uno o più libri, investono energie, sacrificano tempo. Pezzi che hanno lunghe gestazioni e bibliografie, numerose revisioni, e che devono poi essere modellati nel migliore dei modi dai capo-redattori, i quali sono chiamati ad operare di fioretto e di cesello (per non dire di grafica e impaginazione). Contenuti che vanno valorizzati da persone che ne capiscano il valore, soprattutto in un mondo di fast-news e di trend topic.
Dopo quasi sette anni di semina, allora, è arrivato anche il momento di una parziale raccolta. Sperando che nel frattempo sia cresciuto qualcosa.
Al tempo abbiamo imboccato la strada più tortuosa, solitaria, impervia; certamente quella con il panorama migliore e, probabilmente, quella che dà più forza nelle gambe. Una lunga gavetta nelle categorie minori. E se oggi siamo qui a chiedere il vostro sostegno è per non arrenderci a Google ads invasive, a finanziatori invadenti, a fusioni diluenti; per mantenere il nostro spirito corsaro e creare una realtà, indipendente e mai ricattabile, che vada oltre il puro progetto giornalistico.
In un mondo ultra-specializzato, in cui siamo tutti identificati con il nostro lavoro e che non sa ragionare oltre la settorializzazione delle discipline, non vogliamo essere dei semplici giornalisti e non ci rivolgiamo a voi come semplici lettori, benché meno come ‘consumatori’ di contenuti sportivi. Ci rivolgiamo a voi come uomini e donne che hanno interessi, passioni e depressioni, con l’obiettivo di creare una comunità che legga, approfondisca, rifletta (viva Dio), che magari inizi ad incontrarsi (questo sarà il prossimo passo), che coltivi rapporti umani e stimoli intellettuali, non solo che fruisca contenuti.
Se poi abbiamo tanto rimandato questo momento è perché, da buoni finiani, conserviamo ancora quel pregiudizio ideologico-adolescenziale per cui nel denaro vediamo pur sempre lo sterco del demonio. Ci sentiamo in difficoltà a chiederlo, a maneggiarlo, ma proprio per questo nel denaro vediamo il mezzo e non il fine. L’inizio e non la fine. Il principio di un progetto che cerchi, faticosamente, di reggersi sulle sue gambe e non scendere a patti con nessuno. Questo significava, in fin dei conti, rimanere giovani per tutta la vita. Se volete, con un piccolo contributo, potremo farlo insieme. Ora la palla passa a voi. Grazie di tutto, e in alto i cuori.
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Non c’è bisogno di presentazione, c’è bisogno di una colletta: pagare le spese legali a Federico Brasile, che verrà presto portato in tribunale per i suoi contenuti irricevibili. Una rubrica di cui non ci assumiamo alcuna responsabilità, ma solo le querele. Una rubrica da non far leggere ai buoni e giusti, da cartellino rosso – per fortuna nel mondo del Brasile gli arbitri fischiano poco, e le telecamere del VAR vengono distrutte di notte come gli autovelox. A palla lontana, ma anche vicina, nell’angolo del Brasile si può entrare duro. Qui trovate l’elenco degli episodi pubblicati fino ad oggi.
Ogni sera, pazientemente, faremo una rassegna stampa dei migliori articoli usciti sui giornali e siti esteri per poi montarli la domenica. Ci saranno i contenuti più originali, le firme più autorevoli, le tesi più provocatorie – cosa che all’estero ancora succede, soprattutto in Francia, Inghilterra e Germania. Sarà sostanzialmente la settimana vista da Contrasti ma scritta da altri, in cui noi ci siederemo semplicemente in cabina di regia e montaggio.
In questi anni, oltre che alcuni nemici, ci siamo fatti anche molti amici nel mondo dello sport (commentatori, giornalisti, radio e tele cronisti, dirigenti). Ogni volta chiederemo un commento a qualcuno di loro sui fatti clou della settimana, lo registreremo e caricheremo come file audio: delle cose che magari non si dicono tanto ai microfoni o davanti alle telecamere, cose da contesti più informali. Senza scadere nel trevisanismo – d’altronde lo scopo non è quello di creare viralità – ma andando oltre il gesso dei media istituzionali.
Chi può dare spazio a quei disperati degli ultras e dei tifosi se non i sottoscritti? Beh molti altri, direte voi, ma nessuno che faccia una review settimanale delle migliori coreografie, scenografie, imprese, disfatte. Questa sarà una panoramica internazionale sul mondo del tifo che vuole rimettere il dodicesimo uomo al centro del campo e del villaggio, anche solo con immagini, video e brevi descrizioni. Ma anche lo spunto per fare approfondimenti su determinate tifoserie, che compariranno poi (per gli abbonati) sul sito.
Libri, interviste, vecchi articoli, film. Ogni settimana proporremo un estratto di letteratura sportiva per combattere l’equazione più nichilista e anti-letteraria che esista, lo sport come spettacolo. Da Pasolini a Camus, da Buzzati a Montanelli, da Galeano a Soriano; e ancora da Dimitrijevic ad Augé, da David Foster Wallace a Carmelo Bene, da Brera a Mura, da Minà a Sconcerti e via discorrendo. Lo sport è anche cultura alta, oltre che rito. E ogni sette giorni ve lo dimostreremo.
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