Lettera aperta ai lettori: il futuro di Contrasti dipende da voi.
Qualche mese e saranno sei anni dalla nascita di Contrasti. Sei anni pesanti, gli anni migliori delle nostre vite, così almeno sostiene la biologia; anni vissuti tra facoltà universitarie divenute ormai scuole dell’obbligo e posti di lavoro a cui ci siamo seduti a dir poco malvolentieri. Ma soprattutto gli anni di Contrasti, un progetto che per noi è statoun sogno grande in un tempo piccolo. Mica è facile, d’altronde, essere giovani oggi: inquinati e drogati nell’immaginario, bombardati da mille stimoli e altrettante angosce, rallentati da telefoni veloci e distanziati da piattaforme sociali, un bel paradosso. Irascibili ma sfiduciati, allergici al conflitto ma ultracompetitivi, incapaci di stare nel presente e sempre proiettati altrove – a forza di voler essere qualcun altro o qualcos’altro, come diceva Gianni Mura, è finita che nessuno è più nessuno.
Contrasti è stato per noi un progetto di artigianato digitale, un retaggio novecentesco, una militanzafuori tempo massimo. Non solo scuola o palestra ma autentica sezione di vita, tipo quelle che ragazzi come noi frequentavano negli anni ’70-80-90. È con questo spirito che siamo nati e cresciuti, spinti da una fede e da una missione: in teoria quella di riformare il giornalismo (ma chi ci ha mai creduto, è irredimibile) in pratica quella di combattere ancora, confusamente, contro qualcosa e qualcuno che voleva annichilirci, omologarci.
Miliziani sì ma senza più una causa, Don Chisciotte in lotta contro i mulini a vento e gli spiriti del tempo, che soffiano in tutt’altra direzione.
Nell’epoca in cui non si fa più nulla per nulla, dell’usa e getta elevato a sistema e dei fenomeni mediatici che durano il tempo di una sveltina, abbiamo coltivato questa rivista con uno spirito quasi sacro, come un monaco zen cura il giardino del suo monastero; perché come insegna Giovanni Lindo Ferretti il sacro, in qualsiasi sua forma, scaccia via gli incubi e gli spettri, dalle vite e dalle società. Ecco cosa è stato Contrasti per noi: una cura, un antidoto esistenziale. Di certo la cosa migliore che abbiamo mai fatto, uno splendido progetto inutile ma perché ha sempre rifiutato il criterio dell’utile, o meglio del produttivo.
La verità è che non abbiamo mai lavorato a Contrasti per arrivare da qualche parte o per piazzarci, non c’era alcun business plan né obiettivo da centrare a 10 anni, al massimo sogni e utopie da alimentare.
Contrasti è Nazzareno, partendo dagli ultimi arrivati, che decide di inforcare la moto e andare in Sudamerica a campare di espedienti, e che quando sente la nostalgia per l’Italia legge i nostri articoli, ci contatta da El Salvador e inizia a collaborare con noi; è Gabriele, di giorno barista a Monfalcone e di notte accanito lettore e scrittore di sport, il sonno un optional: un’enciclopedia vivente con una cultura calcistica inquietante e sterminata, che scrive agli autori di libri per correggerli su dettagli riguardanti partite di quarant’anni fa (lo fa in buona fede, quel pazzo); è Giacomo, giornalista che va alle Olimpiadi di Tokyo per vendere i suoi reportage e a noi li offre perché siamo “un’altra cosa” – dove i giornali tradizionali tagliano corrispondenti, qui crescono volontari; è Giovanni, che gira per i cimiteri slovacchi per consegnarci ritratti-gialli di personaggi improbabili e cerca finanziatori per tenere in piedi un “progetto che non può scomparire”.
Contrasti è le sue bandiere: è Gianluca, Vito, Alberto, Leonardo, Michelangelo, Giacomo, Luca; e ancora Marco, Valerio, Francesca, Alessandro, Lorenzo, Andrea, collaboratori prima e adesso amici che in questo progetto hanno messo anima, testa e corpo. E Contrasti è anche tutti quei giornalisti navigati che si sono affezionati a noi, accompagnandoci nella nostra crescita e offrendo un contributo decisivo. Infine Contrasti è i suoi lettori storici, che hanno almeno un pezzettino emotivo di questa storia da poter rivendicare. Tutti, o quasi, accomunati dal fatto di “non vivere per questo mondo” come direbbe Silvio Baldini – anche se non necessariamente devoti di Santa Rosalia.
Per cinque anni siamo andati avanti con le collette redazionali per il programmatore, i rinnovi del dominio, le spese di costituzione dell’associazione, la ricostruzione del sito e così via. E lo abbiamo fatto perché si sono formati dei rapporti umani che ci resteranno per tutta una vita, comunque vada. Nel frattempo abbiamo sviluppato collaborazioni importanti (These Football Times, Sportmediaset, il Guerin Sportivo), ci siamo fatti conoscere e apprezzare (ma anche detestare) da tanti, abbiamo stampato libri, organizzato eventi, messo in piedi corsi di formazione, creato un gruppo editoriale; alcuni di noi hanno iniziato a scrivere per quotidiani nazionali e riviste cartacee prestigiose. Fino a che siamo diventati grandi, troppo per continuare a vivere di sole passioni: sono arrivati i lavori, gli affitti, i mutui, le spese, le “responsabilità”; sempre occupati, con la vita che iniziava a scivolare via.
Abbiamo deciso di pensarci il meno possibile e professionalizzarci sempre di più, scegliendo di trasformare in un lavoro quella che era nata solo come una passione: per farlo abbiamo ascoltato, approfondito, letto, rispolverato modelli che altri avevano riposto in soffitta; e ogni mattina ci siamo alzati presto e abbiamo fatto la nostra rassegna stampa, su giornali/siti italiani ed esteri, lavorando con il metodo di una vecchia redazione, spesso tirando fino a notte inoltrata. Siamo diventati grandi senza accorgercene, “giornalisti” senza rendercene conto. Abbiamo commesso errori, come tutti, ma sempre per convinzione e mai per convenienza. Perché nell’età in cui si deve scendere a compromessi il nostro obiettivo, almeno con Contrasti, è uno solo: farne il meno possibile.
La “crescita” di questa rivista potrebbe passare da strade diverse ma ugualmente sconvenienti: dalle pubblicità, quindi dallo stravolgimento della linea editoriale per ottenere quanti più click possibile, e dalla sporcatura del sito con banner ultrainvasivi; o dalla spinta economica di investitori ancor più invasivi, che accampino pretese sull’identità editoriale per avere determinati ritorni di interesse e di piazzamento. Ma che senso avrebbe? A costo di ripeterlo, non è per questo che lo abbiamo fatto. E se anche decidessimo di “piazzarci”, oggi che è tutto posizionamento, in quel caso perderemmo la nostra spinta umana, ci scioglieremmo come neve sotto il sole delle nostre contraddizioni. O forse diventeremmo solo altro, che è pure peggio.
Noi invece vogliamo continuare ad essere questi: a crescere, a conquistare spazi, a imporci come reale alternativa culturale, sportiva, mediatica, ma conservando le mani libere e la schiena dritta. Se oggi siamo ancora qui è perché già qualcuno ha già deciso di supportarci, senza pretendere nulla in cambio se non la garanzia che restassimo noi stessi. Ma adesso chiediamo una mano anche a voi: perché il tempo e il lavoro hanno un costo ma la libertà, prima di tutto, ha un costo. In questi anni dovevamo dimostrare di poter reggere, di poter camminare sulle nostre gambe e di essere capaci. E dovevamo farlo a maggior ragione nel periodo della fretta, fretta di arrivare in cima risparmiandosi la fatica dei tornanti. Sei anni di gavetta si sono fatti sentire, ma forse sono stati sufficienti per farvi capire di che pasta fossimo fatti. Per questo crediamo sia giunto il momento di parlarvi, in totale onestà.
Abbiamo bisogno di voi per mantenere la nostra rivista gratuita ed accessibile a tutti, per valorizzare delle professionalità come meritano e anche per iniziare a ripagare – sia pure poco, sia pure in modo simbolico – dei ragazzi straordinari che hanno solo dato, senza ricevere nulla in cambio. È vero, in un mondo ideale questo compito non vi spetterebbe: ci dovrebbero essere fondi, investitori illuminati (grazie a Dio qualcuno, per strada, lo abbiamo incontrato) ancor prima dovrebbe essere riconosciuto il valore culturale di un dibattito autentico, anche nello sport. Ma purtroppo oggi il giornalismo è in macerie, preda di interessi e conflitti d’interesse, arma di orientamento di massa, se non proprio di indottrinamento; non più un servizio ai lettori bensì uno strumento in mano a chi decide cosa debbano pensare i lettori.
Il giornalismo di oggi, se tutto andrà come deve andare, sarà sul banco degli imputati della storia di domani.
Per questo vi chiediamo di aiutarci a invertire la rotta, o almeno a garantirci uno spazio di lavoro e libertà. Pensate se non ci fossimo più: per i nerd, gli statistici e i progressisti nel pallone sarebbe un bel sollievo, disabituati come sono al dissenso, ma per tanti altri, anche per chi spesso è in disaccordo con noi, verrebbe meno un riferimento quotidiano, una voce inconfondibile in una narrazione sportiva sempre più asfissiante e corretta, indistinta e pilotata, deformata dal sentimentalismo social, dallo storytelling a ribasso, dagli aspiranti stregoni del calciomercato, dalle ossessioni tattiche e inclusive. Che noia mortale.
Da parte nostra continueremo ad essere la vostra lettura quotidiana: la prima del mattino o l’ultima della sera, quando insieme al sole sarà calata la voglia di leggere articoli o vedere video tutti uguali. Saremo rottura, approfondimento, critica nel senso etimologico del termine, quindi spunto di riflessione – anche per mandarci a quel paese, viva Dio. Per sei anni ci siamo stati, ogni giorno, e non vi abbiamo mai chiesto nulla: adesso lo facciamo ma solo perché, per restare noi stessi e avere un futuro, abbiamo bisogno che scendiate in campo insieme a noi, che vi sentiate parte di questo progetto, che ci aiutiate non solo a tenere duro ma anche a rilanciare la sfida. Sta a voi giudicare se lo meritiamo, se in questi anni abbiamo conquistato la vostra fiducia e se ci siamo guadagnati un vostro supporto.
Sappiate che una donazione per noi vale molto. Una tantum, mensile, scegliete voi il come e il quanto, non è questo l’importante.
L’importante è creare un modello diverso, dare benzina a un progetto unico nel suo genere affermatosi senza finanziatori, padrini e padroni, e che non può continuare a viaggiare in riserva; creare una piccola comunità nell’epoca del distanziamento fisico e del ripiegamento mentale. Sostenere Contrasti vuol dire riconoscere il lavoro fatto in questi anni e darci la possibilità di fare di più, continuando a lasciarci sedere dalla parte del torto – o quantomeno del dubbio – laddove gli altri posti sono tutti comodamente occupati. L’obiettivo, anzi la necessità, è costruire un’alternativa sostenibile: ci lamentiamo sempre delle condizioni attuali, degli impedimenti, dei media tradizionali, degli altri. Beh, è arrivato il momento di fare qualcosa, insieme; o di morire provandoci.
Con il vostro supporto questa rivista durerà anni, decenni. Passeremo pure noi ma non lo spirito contrastiano: la volontà di mettersi in gioco, la necessità della cura, il rifiuto del dare per avere, l’attitudine ostinata e contraria; e soprattutto l’abitudine al contrasto e alla contraddizione, anche con noi stessi. Nel mentre vedremo progetti, più o meno pompati, nascere, crescere, fallire, bruciarsi finiti i soldi e vendersi per sopravvivere. Noi, se ce lo consentirete, resteremo qui come monaci: in silenzio a lavorare, a scrivere, a provocare e a riunirci. Senza fretta e senza ansie, sperando soprattutto di aver seminato bene. Per dirla con i latini, con Seneca e con D’Annunzio dopo di loro: “io ho quel che ho donato”. Ci auguriamo in questi sei anni di avervi donato qualcosa, e di poter godere dei frutti del raccolto; adesso dipende da voi. Ad maiora! E grazie.
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