Correva l’anno 1981. Nel primo giorno di marzo Bobby Sands, immortale attivista politico nordirlandese rinchiuso nel carcere di Maze, iniziava lo sciopero della fame che l’avrebbe portato ad abbandonare questa vita terrena in un paio di mesi, per la precisione il 5 maggio. Dalle isole britanniche alla penisola italica, una settimana dopo il terrorista turco Mehmet Ali Ağca puntava la propria pistola contro l’addome di Giovanni Paolo II, ferendo gravemente il papa polacco.
Restando nel nostro amato paese, ma passando ad argomenti più leggeri, in quella caldissima – politicamente parlando – primavera la Juventus si apprestava a vincere il suo diciannovesimo scudetto, nella controversa stagione del gol-di-Turone. In estate la liberalizzazione degli sponsor sulle maglie avrebbe poi segnato una piccola ma significativa rivoluzione nel contesto del calciomercato, facendo sì che anche squadre minori – come il neopromossoCesena, salito insieme a Milan e Genoa – potessero permettersi il lusso di tesserare giocatori di un certo livello.
E a proposito del Cavalluccio bianconero, che ha da poco festeggiato le ottantacinque primavere. Con la prima promozione in massima serie (stagione 1972/73) iniziano a prendere vita anche forme di tifo organizzato, quei club ancora oggi riuniti sotto le 4 C del Centro Coordinamento (Clubs Cesena). Di lì a poco nascerà anche un nucleo ultras, affiancato, in concomitanza con la storica promozione in Coppa Uefa, dalle Brigate Bianconere. Sono gli anni in cui l’ultimo movimento sottoculturale – se così possiamo chiamarlo – che ancora oggi in Italia riesce ad aggregare e mobilitare migliaia di giovani si propaga con tutta la sua forza vitale dalle Alpi alle isole, dalle coste dell’Adriatico a quelle del Tirreno.
Stagione 1980/81. L’ultima prima che le brigate ‘traducessero’ il proprio nome… / Foto Museo Bianconero Cesena
Ma torniamo all’estate del 1981: sessione di calciomercato in cui, appunto, il Cesena si assicura le prestazioni del ventiquattrenne Walter Schachner. Il nome dell’avanti austriaco dirà forse poco al lettore più giovane. Ma all’epoca il ragazzo di Leoben aveva già una sua dimensione continentale: iconiche Puma King nei piedi, giusto mix tra velocità e potenza, l’attaccante titolare del fu Wunderteam aveva partecipato – segnando alla Spagna – al Mondiale del 1978. In patria nel triennio all’Austria Vienna fece incetta di titoli nazionali (tre campionati, una coppa) e personali (due volte capocannoniere più la Scarpa di bronzo).
Il buon Edmeo Lugaresi – diventerà suo malgrado famoso grazie alla Gialappa’s – da poco subentrato allo zio Dino Manuzzi, per assicurarsi le sue prestazioni dovette staccare ai bianco-viola un assegno da 700 milioni delle care vecchie lire. Il colpo è di quelli grossi tanto che, caso più unico che raro nel panorama ultras italiano, le Brigate decidono di tradurre il proprio nome in tedesco.
Perché, più che qualcosa di serio, da queste parti il pallone sfiora la sfera del sacro.
Il lettore dubbioso può recarsi nel Duomo locale laddove, nelle vetrate dietro all’altare, ai piedi del patrono cittadino San Giovanni Battista spuntano un pallone di cuoio e l’inconfondibile baffo generazionale di Schachner – «tornerò a Cesena a vedere una partita ed andrò in Duomo per osservare la vetrata con la mia immagine», ha dichiarato lui stesso recentemente, inconsapevole che quell’omaggio fosse lì da decenni. Una storia inimitabile (e stra-ordinaria) nell’Italia del pallone.
Arriviamo così al 14 agosto 1981. Alla Fiorita – dal nome del quartiere in cui nasce l’oggi Orogel Stadium – arriva il Diavolo. Cesena-Milan, amichevole di lusso, finisce 2-1. Chi segna per i bianconeri? Due volte Walter Schachner, ovviamente. Attenzione però, perché sulle rive del Savio la data rimane negli annali per un altro motivo. Per l’occasione infatti nel vecchio Curvone – lo stadio verrà rinnovato radicalmente a fine decennio – compare per la prima volta lo striscione Weisschwarz Brigaden.
La prima comparsa dello striscione delle “Weisschwarz Brigaden” avviene nell’amichevole con il Milan, agosto 1981
Lungo 25 metri e interamente disegnato a mano, oltre alla caratteristica scritta ossea, ispirata a un fumetto per adulti, il nuovo vessillo degli ultras romagnoli vedeva ai lati una doppia bandiera austro-cesenate (dall’unione del biancorosso e del bianconero, con un particolare effetto Tradizione) e due teschi dotati di elmetto tedesco. In mezzo fronde d’alloro – erroneamente ricongiunte in alto: lasciatecelo dire, è il bello dell’artigianalità – e un gladio. Era calcio ma, ci mettiamo la mano sul fuoco senza il rischio di scottarsi, probabilmente pure politica.
Stadio e militanza, storie di tifo e fronti della gioventù. Una connotazione che però andrà a diluirsi nel tempo tanto che, da diversi decenni, la curva cesenate si dichiara completamente apolitica.
“Né rossi, né neri, solo bianconeri” come recitava uno striscione comparso in balaustra a cavallo dei due millenni. In passato, verso la metà degli anni ’80, è apparso lo striscione “Hasta la victoria siempre” con il volto di Che Guevara (esposto in rare occasioni), e da sempre il gruppo degli Sconvolts – altra colonna portante del tifo cesenate – alle tonalità sociali abbina il tricolore rastafariano. Ma dall’altro lato della medaglia abbiamo avuto l’imponente scritta degli Skins o in tempi più recenti l’esperienza dei Disperato Amore. Rossi e neri, per quei novanta minuti semplicemente bianconeri.
Lo striscione più lungo del tifo bianconero realizzato da Diego Ridolfi. Dietro questo striscione, le tante anime romagnole. Qui Cesena-Torino, 1981-82 / Foto Museo Bianconero Cesena
Più che politica quindi, la questione è stata (e continuerà ad essere) squisitamente territoriale. Sul rettangolo verde Cesena significa Romagna, e viceversa. Ecco che nella parte più calda degli spalti altri nomi storici non hanno mai potuto prescindere dal luogo d’origine: stiamo parlando, su tutti, dei Viking di Forlì e dei Mad Men di Bellaria. Anzi, per un paio di stagioni – intorno al 2005 – i gradoni della Sud sono riusciti a riempirsi di pezze e due aste, ognuna indicante la cittadina, il paese o la frazione di provenienza. Da Alfero a Cattolica, da Cervia a Riccione, da Lugo a Cesenatico.
Una singolare cartina geografica delle province di Forlì-Cesena, Rimini e Ravenna, se così vogliamo vederla.
Caratteristica che poi si riversa nelle rivalità. Con il Bologna quella per antonomasia, che ha portato a violentissimi scontri passati (anni ’80) ma anche più recenti (celebri quelli del 2012, che coinvolsero qualche centinaio di persone). E poi, rimanendo in Emilia: Modena, Spal e Reggiana. Forti tensioni, ovviamente, si sono registrate anche nei due derby romagnoli (Ravenna, Rimini). Così via discorrendo – in ordine alfabetico, sicuri di dimenticarci qualcuno – Ascoli, Atalanta, Bari, Catania, Hellas Verona, Fiorentina, Padova, Pescara, Perugia, Sambenedettese, Torino, Vicenza.
Lasciando ad altri contesti racconti ed aneddoti su questa comunque affascinante peculiarità del mondo ultras, eccoci ai gemellaggi. Storici, con Brescia e Mantova, rispettivamente da 40 e oltre 30 anni, e continentali: oltre i confini assidua è la frequentazione con i Commando Cannstatt dello Stoccarda, freschi vincitori della Coppa di Germania. Di lunga data il rapporto con i Magic Fans di Saint-Étienne. Amicizia nei confronti dei palermitani e un ripetuto scambio di visite anche con i tipi del Peterborough United (League One, terza serie inglese).
Cesena-Juventus, stagione 1982/83. Notare i draghi sputa fuoco che, nello strsicione delle Weisschwarz Brigaden, sostituiscono i teschi con l’elmetto / Foto Museo Bianconero Cesena
Ma non è solo una questione di dinamiche ultras. Perché il tifo tutto qui è viscerale, sanguigno, romagnolo, profondamente radicato nel tessuto sociale come dimostra la partecipazione allo Stadio Manuzzi. E di questa identità il tifo si fa portatore, mettendo il legame con la propria terra al di sopra di tutto: è così che due anni fa, in occasione dei playoff per la promozione in Serie B ma soprattutto dell’alluvione che mise in ginocchio la Romagna, gli ultras disertarono lo spareggio con il Vicenza rilasciando un comunicato ufficiale:
«La data del primo appuntamento dei playoff è sempre più vicina, ma è davanti agli occhi e nel cuore di tutti che la nostra terra, la nostra gente ha ancora bisogno di noi. È la nostra coscienza che sa ciò che è giusto o sbagliato fare… Per noi abbandonare le nostre strade, i nostri scantinati sarebbe come sputare sulla vita di chi ha perso tutto e tutti. Per questo e tanti altri motivi questo sabato non seguiremo il nostro amato Cavalluccio, ma marceremo con gli stivali per le strade della nostra terra, perché la Romagna intera ha bisogno di noi». E ancora:
«Sarebbe una mancanza di rispetto verso tutti coloro che sono colorati di fango e che hanno perso tutto. La nostra gente e la nostra terra noi non le abbandoniamo. Uniti risorgeremo».
È per un simile e indissolubile legame che, già da diverse stagioni, il Cesena ha ritirato la maglia numero 12 per consegnarla simbolicamente ai suoi tifosi, rappresentati e guidati dagli ultras della Curva Mare. Provare per credere: nei giorni migliori, quando il Cavalluccio attacca sotto il settore di casa, colore e calore dei romagnoli sembrano risucchiare letteralmente il pallone alle spalle del portiere avversario. Ma questa è un’altra storia. O forse no…
Un sentito ringraziamento al Museo Bianconero Cesena, che ci ha messo a disposizione le bellissime foto d’epoca.