Gianpaolo Mascaro
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Calcio
Gianpaolo Mascaro
23 Dicembre 2020
(Piccola) Patria basca
Orgoglio e radici dell'Euskal Selekzioa.
Il Mondiale russo è alle porte e tutti gli appassionati di calcio pregustano già l’emozionantissimo mese estivo durante il quale si daranno battaglia tutte le migliori nazionali del pianeta, o quasi. Ben sappiamo infatti che vi è una vasta schiera di delusi che il Cremlino lo vedrà soltanto in cartolina e, ahimè, mai come quest’anno il tema delle esclusioni di lusso ci riguarda così da vicino. Tuttavia, non avendo abbastanza fantasia per rinvigorire con originalità le innumerevoli analisi sulla disfatta di Buffon e compagni, si preferirà guardare altrove e ripercorrere la storia di un’altra grandissima realtà che non prenderà parte alla spedizione in Russia: il Cile. L’eliminazione della Roja dal Mondiale, come del resto ogni insuccesso sia nello sport che nella vita, è dovuta ad una serie di concause, alcune delle quali così singolari e così casuali che rendono davvero complicata la ricerca del loro filo conduttore. Basterebbe ricordare in tal senso che le qualificazioni per Russia 2018 si sono disputate a cavallo della Copa America del 2016, vinta proprio dal Cile, e della Confederations Cup, in cui i rossovestiti si sono posizionati secondi, perdendo di misura in finale contro la corazzata tedesca.
Non esattamente un segnale di imminente declino. Eppure il calcio sa essere maledettamente crudele. Il ricorso presentato dalla Federazione cilena contro la Bolivia, colpevole di aver schierato Cabrera (già convocato dal Paraguay), porta la vittoria a tavolino della Roja per 3 a 0, regalando un surplus di due punti, essendo la partita effettiva terminata in pareggio. Peccato che quel ricorso spingerà anche i peruviani a fare altrettanto e che questi ultimi guadagneranno ben tre punti rispetto al risultato realmente conseguito, avendo infatti sul campo perso contro la distratta Bolivia. Quel punto in più risulterà decisivo affinchè le due squadre arrivino, a fine girone, inchiodate a pari punti. Differenza reti quindi decisiva: -1 Cile, + 1 Perù. A far pendere dunque la bilancia dalla parte del Perù è stato il gol segnato al 92’ da “El ‘Barbaro’’ Paolo Guerrero nello scontro diretto tra le due compagini, conclusosi con un tanto pirotecnico quanto amaro 3 a 4 in favore del Cile.
La sorte indirizza gli eventi, si sa, ma non è la sola a poterlo fare. E dunque, anche se abbiamo già sottolineato l’impossibilità di individuare un preciso momento classificabile come l’inizio della fine, non bisogna nemmeno nascondersi dietro al dito degli episodi sfavorevoli. L’eccessiva dipendenza dai gol di Sanchez e di Edu Vargas, le voci su presunti stili di vita non pienamente professionali di alcuni elementi e l’inevitabile tramonto di calciatori fondamentali per la struttura e il gioco della squadra, in primis l’incantevole Mago Valdivia, sono tutte difficoltà a cui è necessario trovare assolutamente rimedio per poter continuare a restare ai vertici delle maggiori competizioni. Detto ciò, riviviamo ora soltanto alcuni tra gli avvenimenti sportivi più iconici della storia della selezione roja, molto spesso indissolubilmente legati ed influenzati dal turbolento ambiente politico e sociale respirato a Santiago e dintorni. Nel 1960 il Cile venne devastato da quello che, fino ancora ad oggi, è considerato il terremoto più violento degli ultimi secoli. Il territorio e la popolazione intera ne uscirono ovviamente distrutti: numerose città rase completamente al suolo e una grave penuria di acqua potabile durata per settimane furono solamente alcune delle terrificanti conseguenze del sisma. Il paese è in ginocchio ma, ciononostante, la FIFA assegnò il Mondiale del ’62 proprio al Cile, il quale scavalcò la ben più quotata candidatura dell’Argentina (probabilmente decisiva fu la pressione della Federazione Brasiliana, la quale non era del tutto entusiasta di essere ospitata dalla storica arci-nemica).
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A dispetto delle previsioni, l’organizzazione del torneo risultò pressochè impeccabile. Ciò non fu evidentemente abbastanza per placare le ardenti penne di alcuni giornalisti nostrani i quali, alla vigilia della sfida tra gli azzurri e il Cile (inseriti nello stesso girone), dipinsero sui quotidiani Il Resto del Carlino e La Nazione l’immagine di un paese ospitante poverissimo, che versava in condizioni di pietoso degrado e sottosviluppo sociale. I giornalisti cileni della Revista Estadio replicarono scrivendo che anche loro avevano visto ed erano a conoscenza della terribile situazione presente nell’Italia meridionale post-guerra, ma che malgrado ciò avevano preferito soffermarsi sulle bellezze regalate da città come Venezia e Firenze. El Clarin al contrario non fu altrettanto elegante e diplomatico, avendo infatti stampato a lettere cubitali l’eloquente espressione ‘’Guerra Mondiale’’. La risposta che comunque fu serbata ai calciatori italiani in campo non si dimostrò affatto da meno. Il 2 giugno andò infatti in scena quella che passerà agli annali come La Battaglia di Santiago.
Gli azzurri entrarono sul terreno di gioco lanciando garofani rossi al pubblico, nel vano tentativo di placare gli animi. Ricevettero indietro infatti bordate di fischi: indiscutibili presagi di quello che li avrebbe attesi nei seguenti novanta minuti. Fu uno scontro infernale tra provocazioni e colpi proibiti, tra focose proteste e quantomeno dubbie sviste arbitrali. La partita si concluse inspiegabilmente con ‘’soltanto’’ due espulsioni, entrambe tra le fila italiane (Giorgio Ferrini e Mario David), e sul risultato di 2 a 0 per i cileni. Grazie a quella vittoria la Roja superò il girone e approdò ai quarti, nei quali affrontò vittoriosamente l’Unione Sovietica, per poi fermarsi al turno successivo contro il Brasile che si sarebbe, a distanza di qualche giorno, laureato campione del mondo. Il Cile vinse comunque la finalina terzo e quarto posto contro la Jugoslavia, aggiudicandosi dunque un soddisfacente gradino del podio. Nei successivi dodici anni la selezione collezionò un’ulteriore medaglia di bronzo, questa volta nella Copa America del 1967, e poi solamente mancate qualificazioni e premature eliminazioni. Quello era però un periodo bollente per la storia del Cile e non si può fare a meno di trattare, seppur brevemente, alcune vicende sociali, politiche e culturali che cambiarono per sempre la coscienza del popolo e che quindi, abbastanza comprensibilmente, influenzarono anche il mondo del calcio e dello sport in generale.
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Verso la fine degli anni ’60 numerosi artisti cileni caldeggiarono con vigore e testardaggine l’ascesa al potere del socialista democratico Salvador Allende. La Brigada Ramona Parra, per esempio, il ‘’collettivo muralista’’ che, su espresso invito di Pablo Neruda, dimostrarono con le proprie opere d’arte sui muri e i monumenti del Paese un ardore di ideali senza limiti. E ancora tutti gli esponenti della Nueva Canciòn Chilena, movimento musicale che rievocava l’orgoglio delle tradizioni sudamericane per riaccendere nella gente la voglia di scendere in campo e prender parte attivamente a quelle fasi così decisive per il futuro della Nazione. E dunque, come tutti ben sappiamo, nel 1970 Allende vinse le elezioni e si mise alla guida del Cile. Soltanto tre anni dopo tuttavia, nel secondo 11 settembre più famoso della storia, il colpo di stato di Augusto Pinochet rovesciò il governo democratico e instaurò un regime dittatoriale. Moltissimi tra gli intellettuali e gli artisti poco prima ricordati furono, a causa delle loro ribellioni tanto accese quanto culturalmente elevate, furono deportati, torturati e nella maggior parte dei casi uccisi dai soldati del golpista.
Uno su tutti il cantautore Victor Jara, al quale nel 2003 fu intitolato l’Estadio de Chile, luogo in cui fu assassinato e che assieme al più ben più grande Estadio Nacional de Chile (lo stadio in cui la Roja disputa le partite interne) divenne in quel periodo teatro di indicibili orrori e crudeltà ai danni degli oppositori politici di Pinochet. E questo ci riporta al nostro tema centrale, e più in particolare alla vergognosa sceneggiata del 21 novembre 1973. Nel Murale raffigurante Victor Jara appaiono delle parole:
‘’Canto, che cattivo sapore hai quando devo cantar la paura. Paura come quella che vivo, come quella che muoio, paura’’.
Questi sono, infatti, tra gli ultimissimi versi composti dal musicista. Pochissime settimane dopo il golpe infatti, Cile e Urss dovettero affrontarsi in uno spareggio per conquistare la qualificazione alla Coppa del Mondo del 1974 in Germania Ovest. Nonostante il clima infuocato attorno alla nazionale cilena e i pessimi rapporti che ormai intercorrevano tra Santiago e Mosca, la partita di andata in Russia si disputò e terminò sullo 0 a 0. Esito dunque rinviato alla gara di ritorno, nella tana della Roja e quindi in quell’Estadio Nacional de Chile, trasformato ormai in campo di concentramento. La federazione sovietica era ben al corrente di ciò che stava accadendo in quell’impianto sportivo e molte furono le pressioni sulla FIFA affinchè la partita fosse quantomeno giocata altrove, in campo neutro. Così la massima autorità calcistica inviò una commissione per accertare la situazione all’interno dello stadio. Gli incaricati che presero parte alla spedizione furono, eufemisticamente parlando, alquanto sbadati e superficiali.
Non annotarono nessuna anomalia, confermando così che il match dovesse svolgersi lì. E così avvenne, con l’unico e non trascurabile inconveniente che la selezione sovietica non scese affatto in campo. La federazione sovietica aveva scelto di non essere complici di quella tanto palese pantomima e aveva pertanto dichiarato, con due giorni di anticipo, che la loro nazionale non sarebbe mai partita alla volta di Santiago (scelta che peraltro si ripetè tre anni dopo, questa volta nel tennis, in occasione della semifinale di doppio della Coppa Davis. In quel caso il tandem cileno approdò a tavolino in finale, dalla quale uscì sconfitto per mano del duo italiano Panatta e Bortolucci). Il Cile ottenne dunque il pass d’ufficio, ma la FIFA ci tenne a puntualizzare che quel 21 novembre la partita si sarebbe dovuta disputare egualmente, anche senza avversari. Pertanto la Roja scese in campo nell’incontro più facile della sua storia. Schieratosi dunque gli undici titolari in campo, si passarono il pallone fino ad arrivare alla porta sguarnita opposta. A depositare la sfera in rete fu il capitano Francisco Valdez, su assist di Carlos Caszely, talentuoso attaccante molto vicino al decaduto governo di Allende e che fu protagonista, in tutti i sensi, della nazionale cilena di quegli anni.
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Famoso per aver negato la stretta di mano a Pinochet prima della partenza per la Germania Ovest, Caszely fu espulso nella gara d’esordio proprio contro i padroni di casa. Tanto bastò dunque per considerarlo il principale responsabile della débacle della squadra e per tenerlo lontano dalla nazionale per ben cinque anni. Nel 1979 il dissidente indossò nuovamente la maglia rossa e trascinò i suoi ai Mondiali spagnoli. Neanche in quel caso però la sorte gli fu benevola: Carlos sbagliò un rigore di fondamentale importanza contro l’Austria, ed ecco ancora che feroci critiche si abbatterono su di lui. Terminò così la sua amara avventura col Cile. Ma egli non scomparve definitivamente dal palcoscenico. Nel 1988, in occasione del referendum con il quale il Paese fu chiamato a decidere sulle sorti della dittatura di Pinochet, Caszely appoggiò apertamente e con successo il ripristino della democrazia, facendo conoscere ai più l’esperienza di martire della madre, arrestata e torturata qualche anno prima dalla polizia del regime.
Nel settembre del 1989 il Cile si trovò a dover affrontare un’altra gara da dentro o fuori, questa volta contro il Brasile. Ai verdeoro bastava il pareggio per approdare alle Notti Magiche di Italia ’90, mentre la Roja aveva un solo risultato utile: la vittoria. Quella che prima del fischio d’inizio si prefigurava come un’ardua impresa, dopo qualche minuto divenne una vera e propria mission impossible. Il Brasile infatti si portò subito avanti grazie ad un gol di Careca. La qualificazione stava allontanandosi sempre più e, in preda alla frustrazione che tutti gli atleti assaporano nel momento in cui capiscono che nulla può esimerli dalla sconfitta, il portiere cileno Rojas ricorse ad uno squallido trucchetto da telenovela per provare ad ottenere il pass mondiale attraverso una vittoria a tavolino. L’estremo difensore estrasse un minuscolo bisturi che aveva accuratamente nascosto nei guantoni e si procurò un taglio al sopracciglio, che inizialmente tutti pensarono fosse stato causato da un bengala proveniente dagli spalti occupati dai tifosi verdeoro. La FIFA tuttavia, dopo qualche giorno, riuscì a far luce sull’accaduto. Le conseguenze furono chiaramente drastiche: squalifica a vita per Rojas ed esclusione della nazionale dalle edizioni della Coppa del Mondo del ’90 e del ’94.
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Quella furbata sembra però sia costata ancora più cara al Cile. Infatti anche chi non nutre troppa fiducia nella legge del Karma non può che notare che da quell’episodio in poi si sia abbattuta una specie di maledizione sulla Roja ogniqualvolta questa sia andata a scontrarsi contro il Brasile, la vittima della messa in scena. Ai Mondiali del 1998 in Francia, nella Copa America del 2007 e ancora ai Mondiali Sudafricani del 2010 il Cile venne eliminato sempre dalla Seleção pentacampeòn. E non è tutto. Nel Mondiale del 2014 (giocato in Brasile, come se non bastasse) il Cile venne inserito nel più classico dei gironi di ferro: si trovò infatti di fronte le temutissime Spagna e Olanda e, nelle vesti di quarta incomoda, l’insidiosa Australia. Nonostante gli sfavori del pronostico, la Roja superò il turno già alla seconda giornata grazie al successo per 2 a 0 ai danni delle Furie Rosse iberiche. Tuttavia la sconfitta contro gli Orange guidati da uno scatenato Arjen Robben costò al Cile il primato del girone e ciò significò l’ennesima sfida ai verdeoro.
Traendo ispirazione dal commovente video motivazionale dei 33 minatori cileni rimasti intrappolati nel 2010 nel sito di San Josè, il popolo cileno mostrò al mondo intero un esempio meraviglioso di quanto si possa essere fieri della propria terra e della propria identità. Portiamo ancora tutti nella memoria lo spettacolo da pelle d’oca che si ripeteva ad ogni partita del Cile prima del fischio d’inizio: calciatori e tifosi uniti nel canto del proprio inno, con gli occhi della tigre ed i cuori pieni di coraggio. Per quella squadra nulla sembrava insuperabile. E in effetti per i padroni di casa la partita fu una sofferenza disumana. 1 a 1 al termine dei novanti minuti, con Sanchez che replicò a David Luiz.
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Si andò dunque ai tempi supplementari. La stanchezza si faceva sentire prepotentemente di minuto in minuto, sempre di più, eppure quel gruppo di guerrieri andava oltre, ribattendo colpo su colpo ogni giocata dei talentuosi palleggiatori avversari. Mancavano pochissimi istanti allo scoccare del 120’, quando partì dal destro di Mauricio Pinilla un tiro terrificante che si stampò sulla traversa della porta protetta da Julio Cesar. Il più dolce dei sogni che in pochi attimi si trasforma nell’incubo più profondo. La lotteria dei rigori condannò infatti il Cile e tutte le speranze della sua gente. Episodio questo che ricorda molto da vicino la scena iniziale di ‘’Match Point’’ di Woody Allen. La pallina da tennis che sbatte sul nastro della rete e può andare al di qua o al di là della stessa: in sintesi, tra la vittoria e la sconfitta vi è sempre un elemento di imponderabilità che sfugge al nostro controllo e, nel mondo dello sport, questa variabile impazzita è spesso rappresentata da pochissimi centimetri.
Ed eccoci tornati al punto di partenza, con il Cile che conquista la Copa America per due anni consecutivi, battendo in finale entrambe le volte l’Argentina di Messi ai rigori, ma che al contempo fallisce l’appuntamento con Russia 2018. Sicuramente un duro colpo per il movimento sportivo e per il popolo cileno intero, il quale avrebbe tanto desiderato perdere ancora una volta la voce per la propria maglia, per il proprio colore. Tuttavia possiamo esser certi che la Roja getterà nuovamente il cuore oltre l’ostacolo e in Cile si tornerà a cantare. Pablo Neruda scriveva:
‘’Ma della nostra terra intera sale un altezzoso splendore. Già ritornerà la primavera […] Già ritornerà la primavera. Seppelliremo il dolore […] ed in quell’ora giustiziera il paese alzerà la sua bandiera’’.