Emiliano Caliendo
1 articoli
La conferenza stampa del nuovo tecnico è stata soprattutto la celebrazione di un matrimonio: quello tra Antonio Conte e il mondo Napoli. Questa è stata la presentazione ufficiale dell’ex ct della Nazionale, già allenatore di Juventus e Inter, presso il Palazzo Reale di Napoli, un evento volto a suggellare l’inizio della sua nuova avventura partenopea. La scelta della location non è certo casuale, bensì pregna di simbolismo regale, come ben puntualizzato dal “Re Sole” del Napoli, Aurelio De Laurentiis, dal palco del teatro di Corte, poco prima che iniziasse il botta e risposta tra Conte e i cronisti:
“Questo luogo è stato creato da Ferdinando Fuga in occasione delle nozze di Maria Carolina d’Austria con Ferdinando IV di Borbone nel 1768. Successivamente, in seguito ai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, è stato poi ristrutturato”.
Ed eccoli, ADL, despota e sovrano illuminato al contempo, con l’arduo compito di ricostruire il regno SSC Napoli dalle macerie della stagione post-scudetto, e il suo nuovo capo d’armata, mister Antonio Conte dal Salento, ex Terra d’Otranto di duosiciliana memoria. A dimostrazione dell’importanza sociologica del calcio a Napoli, circo ancora di rango imperiale, vi è il parterre de rois giunto ad omaggiare l’allenatore dell’unica squadra cittadina.
Oltre ai 100 tra giornalisti e operatori, ben 300 invitati, tra cui alti papaveri del mondo delle istituzioni e dell’economia che realmente regnano (e governano) sulla terza città d’Italia: il sindaco Gaetano Manfredi, il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, il presidente dell’Unione Industriali di Napoli Costanzo Jannotti Pecci, il prefetto Michele di Bari e il questore Maurizio Agricola, oltre a tutti i dirigenti del club. Senza dimenticare il jet-set di imprenditoria, borghesia cittadina, mondo accademico e parvenu (in napoletano si direbbe “pezzente sagliute”), pronti a mostrarsi in doppio petto ad ogni appuntamento patinato che riguardi la città, in questo caso anche quella calcistica.
Allora, come in ogni matrimonio che si rispetti, è immancabile “la bomboniera” del club agli ospiti: una t-shirt con sovrastampato il neo-motto del nuovo tecnico: “Ammà faticà”. Brutalità gobbo-sabauda, di stampo quasi calvinista, tradotta in napoletano, lingua del popolo epicureo per eccellenza. Meravigliosa contraddizione del Fútbol.
E mentre all’interno del Palazzo andava in scena il primo manifesto di ciò che sarà il Contismo a Napoli (“Posso promettere che iniziamo un percorso dove possiamo essere competitivi per la vittoria. Poi sapete bene che ne vince solo una ed è molto difficile. Lo dico spesso, testa bassa e pedalare, noi dobbiamo parlare poco, c’è poco da fare proclami. Facciamolo con i fatti non a chiacchiere”) all’esterno il popolo, o meglio i lazzari, come venivano indicati i giovani dei ceti popolari nella Napoli del ‘600 e del ‘700, si accalcava sin dal mattino, sotto il sole cocente di un torrido giugno, nella vana speranza di un saluto alla folla da parte del nuovo Conducător.
I cori dei tifosi azzurri sono scemati via via col passare delle ore, una volta che si sono inevitabilmente resi conto che non avrebbero avuto modo di ricevere alcuna benedizione dal loro nuovo beniamino. Per motivi di etichetta e cerimoniale così non è stato, perché finita la conferenza, Conte è stato costretto a prestarsi a selfie e strette di mano con quel gotha della buona società giunta ad omaggiarlo in maniera plasticamente appiccicosa.
Poco prima, al netto delle melliflue e impalpabili domande di molti dei giornalisti presenti, Conte ha precisato di aver accettato la sfida Napoli perché ha avuto serie rassicurazioni sull’incedibilità dei giocatori più rappresentativi come Di Lorenzo, Anguissa, Lobotka e Kvaratskhelia – “Kvara rimane, sono stato molto categorico su questo” – e che il primo reparto da rinforzare è indubbiamente la difesa – “L’anno scorso il Napoli ha preso 48 gol, ha finito per essere la decima peggior difesa del campionato, e stranamente siamo finiti decimi. E la cosa che lascia un pochino sconcertati è che abbiamo subito 27 gol in casa, giocando al Maradona, la 15esima peggior difesa. In trasferta invece solamente 21 gol subiti che sarebbe la quinta miglior difesa.
E mentre il manager Conte, per citare Ibra, disquisiva di mercato con una sicumera mai vista alle falde del Vesuvio – neanche Benitez osò tanto – al cospetto di un presidente padre-padrone come De Laurentiis, quest’ultimo è intervenuto poche volte nel corso della conferenza, in maniera pacata, misurando le parole, lasciando spazio e onori all’unico protagonista possibile. Gli unici strali sono stati riservati al presidente del PSG, nonché presidente dell’ECA (organo che riunisce i principali club europei) Nasser Ghanim Tubir Al-Khelaïfi, reo di aver avvicinato l’entourage del 77 georgiano di proprietà del Napoli facendo valere le ragioni “del vil denaro”, per citare ADL stesso.
La città, ad ogni modo, anela al “Conte Impact“, ovvero alla possibilità, quasi taumaturgica, che la venuta di un allenatore top di livello mondiale nel Calcio Napoli si riverberi come per magia sull’innalzamento delle condizioni socioeconomiche e culturali della città. Emblematica, a tal proposito, la domanda dell’ex rettore federiciano Guido Trombetti, tifosissimo del Napoli e spesso presente in qualità di opinionista sulle reti delle tv locali, all’ex bandiera bianconera:
“Napoli e la Regione Campania vivono un momento di grande crescita, il suo arrivo a Napoli è considerato coerente con questo clima di crescita. Per lei è un peso o uno stimolo?”.
Conte non si scompone, anzi, sottolinea come la città “è bellissima sotto ogni punto di vista” e “malata di pallone in senso positivo”, come piace a lui. Tuttavia, “la città e il calcio possono migliorare di pari passo, ma sono due cose separate, poi c’è chi deve prendersi la responsabilità di continuare per proprio conto”. Conte e il Napoli possono “solo assecondare questa voglia; sarebbe bellissimo vedere il Napoli crescere dal punto di vista economico e di pari passo il Napoli combattere come ha fatto in passato per portare gioia con più frequenza”.
Insomma, l’effetto Scudetto esiste, ma non sposta più di tanto in una città che continua a vivere un boom turistico importante, iniziato sin da prima del trionfo del 2023 e che prosegue ancora adesso con grandi numeri e le sue relative problematiche. Auspicabile, invece, la nascita di un turismo calcistico che vada oltre la visione della partita allo Stadio Maradona: per questo serve l’infrastrutturazione del club con il rifacimento del campo di gioco, la costruzione di un centro di allenamento di proprietà, la presenza di un museo e una sede fisica in città. Tutti elementi di un processo che Antonio Conte potrebbe accelerare se la squadra lo seguirà nella voglia feroce di vincere.
Comunque, ogni qual volta si è toccato l’argomento contratti e rinnovi, Conte, uomo di mondo, ha avuto la raffinata sensibilità di specificare alla fine di ogni risposta che quanto da lui asserito in quel momento è stato già annunciato precedentemente dal presidente. Un modo per affermare: “Sì, comando io, ma non pensiate che il presidente non sia d’accordo”. La speranza è quella di ricostruire quella sana alchimia nel rapporto tra panchina e presidenza che ha portato al terzo scudetto: ADL assente mediaticamente per mesi, a lungo fisicamente in America, con Spalletti che triturava il campionato.
Conte avrebbe bisogno della stessa serenità per partire subito bene. L’assenza delle Coppe sicuramente lo favorirà. Serve dunque una comunione d’intenti tale da portare subito risultati in ambito sportivo. L’obiettivo, niente affatto celato, è quello di ripetere l’impresa realizzata con il Chelsea: “L’unica esperienza in comune è il Chelsea. Due anni prima aveva vinto lo scudetto e poi finì fuori dalle coppe arrivando decimi. Penso che sia stato fatto veramente qualcosa di irripetibile. In Premier ci sono tante super potenze e quindi riuscire dal decimo posto a vincere la Premier è stato incredibile”.
Conte potrà contare su un DS ambizioso proveniente da mamma Juventus, Giovanni Manna, e sul suo amico fidato Lele Oriali, uomo d’esperienza, team manager e punto di raccordo tra squadra e società. Si è appena immerso in una sfida unica, a partire dalle sue prime ore. La città ha bisogno di un nuovo re e adesso tocca ad Antonio provare a prendersi il trono.