Negli anni '70 e '80 era la Regina del Sud e da allora a sostenerla ci sono gli Ultras Catanzaro. Chiacchierata con uno dei gruppi ultrà più fieri d'Italia.
“Dalla lontana America, dalla Germania in poi, un grido di speranza siete voi”, questo ritornello è tratto da un inno che accompagnò gli anni d’oro del Catanzaro calcio. Erano gli anni 70, anni gloriosi per la storia calcistica catanzarese e il messaggio era rivolto ai numerosi calabresi emigrati che da ogni parte del mondo seguivano le sorti della squadra del capoluogo. Il 1971 è l’anno di svolta nella storia dei giallorossi, l’anno della storica promozione in serie A. La Calabria per la prima volta ebbe la possibilità di dimenticare i conflitti sociali che la affliggevano per salire sul palcoscenico più importante del calcio, al pari delle città che al tempo vivevano il grande boom economico.
Il risultato fu grandioso: il Catanzaro divenne la squadra che rappresentava il riscatto di un’intera regione. Ogni domenica, l’allora Stadio Militare era colmo di tifosi sui gradoni, mentre nel piazzale antistante si radunavano tutti quelli che non avevano trovato il biglietto. Da quei grandiosi anni 70 dobbiamo partire per rintracciare la passione che ancora oggi anima i sostenitori delle aquile: gli anni del Presidente Nicola Ceravolo, della finale di Coppa Italia, del goal vittoria di Angelo Mammì contro la Juventus. E ancora, del Re di Catanzaro Massimo Palanca, di Claudio Ranieri con la fascia da capitano, di Carletto Mazzone in panchina e della qualificazione in Coppa Uefa mancata per un niente.
Questo e molto altro è stato il grande Catanzaro, una squadra che per quasi 20 anni ha fatto emozionare una regione intera. Purtroppo nell’ultimo ventennio le sorti della società non hanno ripagato la tradizione che il blasone delle aquile porta con sè. Prima l’incubo della C2, poi la maledizione playoff e infine l’angoscia del fallimento hanno segnato le sorti degli ultimi anni. Oggi con la nuova società targata Noto in città è tornato l’entusiasmo, ma come è giusto che sia, sarà il campo a parlare.
Categorie e società a parte, la tradizione del tifo catanzarese non ha mai conosciuto resa e declino. Oggi come ieri “il magico”, nome dato dai tifosi al club, può vantare un ottimo seguito in ogni stadio in cui scende in campo. Dal 1973 la fazione del tifo più caldo della Curva Massimo Capraro è guidato dalla regia di un gruppo organizzato che ha resistito alle delusioni e porta ancora oggi in ogni stadio il suo striscione e con sè il nome della città: gli Ultras Catanzaro 1973. Sempre presenti da oltre 40 anni, hanno seguito “il magico” in ogni categoria e a ogni latitudine. Noi li abbiamo incontrati per scambiare due chiacchiere.
Iniziamo con una domanda di rito, chi sono gli Ultras Catanzaro?
Gli Ultras Catanzaro sono un movimento nato nel 1973 e vivo più che mai ancora oggi, che al suo interno racchiude militanti storici con oltre 30 anni delle attività ultras alle spalle, presenti fin dalle origini, e ragazzi più giovani che donano nuova linfa vitale al gruppo.
Con oltre 40 anni all’attivo, vi sentite un gruppo al passo coi tempi o siete condizionati dall’ampio raggio d’azione della vostra storia? In breve, si sente il peso dell’età del gruppo?
Il peso dell’età non lo sentiamo perché essere ultras fa parte di uno stile di vita, di un modo di essere, quindi chi lo fa ancora oggi, tralasciando la nascita anagrafica, non sente il peso dell’età. Nel nostro gruppo il militante storico e il ragazzo appena arrivato hanno lo stesso spirito e la stessa voglia di fare. Certo, purtroppo notiamo che in tutta Italia, nell’ultimo decennio i movimenti ultras non hanno avuto un grande ricambio generazionale rispetto ai numeri che si avevano in passato. Questo calo, a nostro parere, è legato a vari motivi come l’avvento di social network, tessera del tifoso e inasprimento delle formule repressive.
Nel tempo cosa è cambiato nello stile dell’ultras?
Partiamo dal presupposto che per ripercorrere la storia del movimento è necessario fare una divisione temporale che parte dagli anni 70, decennio in cui gli ultras sono nati, conosce una prima evoluzione sul finire degli anni ottanta che dura per tutti i novanta, fino ad arrivare agli anni che vanno dal 2000 ai giorni nostri con un’ultima fase del movimento. Inizialmente l’ultras era il tifoso organizzato che iniziava a colorare il proprio settore, a identificarsi dietro uno striscione e un simbolo, in casa e in trasferta. Col passare del tempo tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta, il movimento prende una forma ben definita, con organizzazioni stabili, ruoli ben definiti all’interno dei gruppi e l’accentuarsi di uno stile ben preciso fatto di valori non scritti che caratterizzano ancora oggi il carattere dell’ultras.
Infine individuiamo il terzo stadio del fenomeno ultras, che è quello degli ultimi 10 anni. In questa ultima fase, l’ultras si ritrova a combattere contro la repressione, che lo stato ha deciso di indirizzare contro il movimento. Quindi oggi fare l’ultras vuol dire andare incontro ad arresti, fedine penali sporche, tanti fattori che rendono la vita quasi impossibile a chi vuole intraprendere questo percorso. Motivo per cui chi ancora oggi porta avanti questo stile merita tutto il nostro rispetto.
A vostro giudizio, chi è un ultras? Come si concretizza nella vita di tuti i giorni questa passione?
Uno slogan che fa parte del nostro repertorio è sempre stato “7 giorni su 7”, questo dice tutto su cosa vuol dire per noi vivere ultras. L’ultras non è chi vive lo stadio solo la domenica o durante la partita, l’ultras è chi per tutto l’arco della settimana; lavora per il gruppo, è sempre presente sul territorio, chi scrive il giornale da distribuire in curva, chi organizza la trasferta, chi scrive gli striscioni, chi studia e mette in atto la coreografia. Questo vuol dire “7 giorni su 7” vivere la tua militanza ultras contribuendo quotidianamente alle sorti del gruppo.
Cambiando prospettiva e argomento. Cos’è per voi il calcio moderno?
Il calcio moderno è tante cose, tutte negative. La prima che ci viene in mente parlando dell’argomento è il fatto di aver messo i bastoni tra le ruote al tifo popolare. Basti pensare che il calcio è diventato uno sport che si gioca dal lunedì alla domenica, quindi quello che era per eccellenza lo sport seguito dal popolo, non può più esserlo grazie alla variazione dei giorni (spesso lavorativi) in cui si disputano le gare. In un’altra accezione, il calcio moderno, è il calcio del business e del dio denaro, fattori che hanno rovinato l’essenza del gioco del calcio allontanandolo dalla tradizione popolare che lo caratterizzava. Il calcio che sogniamo noi è forse utopico, lo possiamo rivedere ad esempio come stile nel “calcio storico fiorentino”, uno sport senza scopo di lucro, senza giocatori pagati, dove il popolo e l’appartenenza la fanno da padrone.
Le conseguenze che il mondo ultras paga per provvedimenti come Tessera del Tifoso o inasprimento delle pene per chi subisce un DASPO, quali sono secondo voi?
Questi provvedimenti, a nostro parere fallimentari, hanno come unico fine quello di tagliare le gambe al movimento ultras. Se analizziamo il tema dalle origini, il movimento ultras, così come l’hooliganismo vantano una grande tradizione inglese. Oggi in paesi che dal punto di vista della gestione dei tifosi risultano, “politicamente corretti”, come Inghilterra o Germania, non esiste la tessera del tifoso. Eppure a livello europeo Inghilterra e Germania sono zone dove gli scontri si verificano esattamente come in Italia, solo che i giornali non ne parlano e quindi per l’opinione pubblica lì non esiste violenza. Da parte nostra, affermiamo tranquillamente, che questo renderci la vita più dura, ci rinvigorisce nell’orgoglio e nella voglia di andare avanti. In Italia ci sono gruppi come il nostro, che contano decine e decine di diffide, ma che non intendono piegarsi, anzi.
Una curiosità a questo punto sorge spontanea, cos’è per voi la violenza negli stadi?
Per noi la violenza negli stadi è una macchinazione mediatica, di cui non viene quasi mai identificato il vero autore. Noi ammettiamo le nostre responsabilità in materia, ma allo stesso tempo affermiamo con serenità che viviamo da sempre in contesti in cui le forze dell’ordine provocano gli ultras e spesso aggrediscono per primi. Mediaticamente però, la responsabilità non ricadrà mai su di loro. Resta ben inteso che per noi lo scontro è un tratto ben definito e presente nella nostra cultura. Ma per noi lo scontro non si realizza in gesti folli contro donne, bambini o semplici tifosi, tantomeno nel fare violenza gratuita contro chi non ha la nostra appartenenza. Per noi lo scontro rappresenta un campo di battaglia in cui ci confrontiamo esclusivamente con chi la pensa come noi e allo stesso modo vuole avere questo confronto con noi. Tutto il resto sono titoli da giornale e stumentalizzazioni mediatiche create a tavolino per condannare il movimento.
Tornando a voi, nonostante le numerose delusioni sportive, cosa si nasconde dietro alla vostra longevità e ai vostri numeri?
Il nostro fattore più importante è senza dubbio la tradizione intesa come trasmissione che di generazione in generazione forma un UC. Così un ragazzo che inizia a militare nel gruppo avrà subito coscienza di stare con chi ha l’enorme responsabilità di custodire un simbolo sacro per la Catanzaro calcistica, ovvero, il simbolo degli UC’73. Secondariamente un nostro punto fermo è sempre stato, essere presenti in città diventando così un punto di riferimento per i giovani. Ad esempio nel quartiere San Leonardo, storico ritrovo dei giovani catanzaresi, quarant’anni fa, come oggi ci puoi trovare 7 giorni su 7.
Spostando lo sguardo sulle nuove generazioni, sempre più assopite dal mondo tecnologico, il mondo ultras cosa può insegnare ai ragazzi di oggi?
Con una semplice espressione, gli ultras sono una “palestra di vita”. Ci spieghiamo meglio, un ragazzino che a 14/15 anni inizia a frequentare un gruppo ultras, diventerà uomo molto prima di altri suoi coetanei. Inizierà sin da piccolo a capire cosa vuol dire fare parte di un gruppo, cosa vuol dire avere dei fratelli che con te condividono un destino. Per fare un paragone tra le generazioni, prova a mettete a confronto un ragazzo degli anni 80 a 14 anni, quando non esistevano social e tastiere e si viveva la strada, e un ragazzo di oggi della stessa età. Ti accorgerai che il ragazzo degli anni 80 era già quasi un uomo, oggi prima di 20/25 anni non ci riesce a orientare nel mondo.
Se vi guardate un po’ intorno, qual è il vostro giudizio attuale sul movimento ultras in Italia?
Negli ultimi 10 anni, il livello ultras in Italia si è un po’ abbassato è inutile legarlo. Molti gruppi, anche storici, hanno issato la classica bandiera bianca, alcuni nascondendosi dietro i provvedimenti repressivi dello stato, altri perché non hanno avuto un degno ricambio generazionale. Nonostante ciò ci sono ancora tanti gruppi che in quanto a numeri e stile, riescono ad essere protagonisti, vedi, le curve romane, i veronesi, i fiorentini, le due curve di Genova e tante altre. Insomma, nonostante il periodo non proprio roseo, l’Italia e le sue curve grazie ai gruppi che non mollano riescono ancora a far parlare di se.
Prima di concludere, quale messaggio volete mandare alle nuove leve del mondo ultras.
Il consiglio che possiamo dare alle nuove leve è: chiudete telefoni, iPhone, tablet e invece di scrivere sui vari gruppi sui social, provate l’emozione di vivere l’essere ultras, di partire sull’autobus dove c’è lo striscione della città da onorare e difendere.