Nell’immaginario collettivo ciò che l’Est ha rappresentato per lunghi anni, ai limiti dell’onirico, può ben essere associato ad un colore simbolo del comune sentore: il grigio. Soprattutto per la generazione cresciuta con il muro di Berlino, la cortina di ferro, l’Unione Sovietica e la Jugoslavia. Quest’ultima protagonista finale, con le guerre che ne hanno stravolto l’esistenza, della dissoluzione di quel mondo. La narrazione di Curva Est prova a distoglierci da questo freddo scenario.
Un grigiore diffuso, appunto, perché per molti incomprensibile e impossibile da decifrare. Soggetto spesso di leggende, tali da incutere – nella gente che staziona al di qua dell’Adriatico – terrore e dubbi amletici sulla quotidianità in quella parte di pianeta. Poila fine di tutto e la luce che pian piano inizia ad inserirsi nelle crepe, permettendo all’informazione di far conoscere sempre più storie e realtà di quel mondo.
Parlando del calcio al di là dell’Adriatico, il primo paese che per forza di cose salta in mente è proprio l’ex-Jugoslavia. Culla di tantissimi talenti che hanno trovato fortuna proprio nel nostro campionato. Narrazioni di guerre e pallone, delle quali ci si occupa sempre più, nel tentativo di provare a spiegare qualcosa che risulta difficile da comprendere. Ciò che però ne è derivato negli ultimi tempi è un racconto che finisce per trattare e ritrattare le stesse faccende e i medesimi protagonisti, rendendo l’argomento piuttosto noioso e nauseante per via della ripetitività.
Una delle più celebri immagini legate al calcio dell’Est
È utile prendere spunto dalle parole del giornalista italiano Gigi Riva, autore di una delle migliori opere letterarie che intreccia calcio e Jugoslavia, l’ultimo rigore di Faruk, ovvero che per scrivere un libro su un determinato argomento, occorre che l’autore consumi le suole delle proprie scarpe su quella terra.
Questo è proprio il caso di Curva Est, l’ultima fatica di Gianni Galleri, edita da Urbone Publishing. L’opera è il racconto in prima persona di un vero amante del calcio e dei suoi viaggi effettuati in quei paesi che sin da piccolo ne hanno attratto l’interesse. Si passa dalle realtà principali della ex-Jugoslavia: Croazia, Bosnia, Serbia e Macedonia, per poi toccare Bulgaria, Romania, Grecia e la bellissima sorpresa Cipro. Scordatevi di leggere i soliti nomi e le solite storie. Se c’è una cosa che sorprende di questo gioiello è l’originalità di quello che viene descritto. L’autore porta a spasso il lettore in quelle realtà, tramite umili viaggi in macchina e pullman alla scoperta di posti sconosciuti, col risultato di svelare storie meravigliose.
“Lo spirito di Sarajevo si comprende a pieno osservando il monumento di ringraziamento per gli aiuti umanitari ricevuti durante la guerra che ha sconvolto la città e la Bosnia Erzegovina durante gli anni Novanta: un barattolo. In questo simbolo si sprigiona tutta l’ironia bosniaca che con un ultimo tragico atto si prende gioco dell’Europa e degli Stati Uniti. La città non dimentica le responsabilità occidentali, e soprattutto non scorda che gli aiuti paracadutati sulla città erano composti da prodotti scaduti e risalenti persino al Vietnam”.
Ad ogni paese corrisponde almeno un eroe nazionale, che ha permesso al proprio popolo di sentirsi grande. Parliamo di quel sentimento identitario che nasce quando ci si reca allo stadio a tifare i propri colori. Un viaggio alla scoperta della storia di tantissime squadre e delle proprie tifoserie, passando attraverso partite, trofei, avvenimenti storici, musei e monumenti. Con una base purtroppo negativa, ovvero il disastroso peggioramento del livello calcistico di tutto l’Est. Inghiottito dalla politica di pochi ricchissimi personaggi famosi, capaci di acquistare una squadra, portarla sul tetto del campionato nazionale per qualche anno e poi abbandonarla al proprio destino.
“Quando siamo arrivati a Salonicco dalle alture che la precedono da nord e da ovest non avevamo idea di quello che ci aspettava. La chiamano la Symprotevousa, la co-capitale. Ma anche in questo caso non è quello che ci eravamo immaginati. E poi all’improvviso ci siamo trovati di fronte il mare. Lo sfavillante mare della Macedonia ha colpito i nostri occhi di visitatori, facendoci accostare una mano al viso per ripararci dai raggi del sole. È quello stesso mare che guardavano due ragazzi del posto di nome Costantino e Mustafa. Il primo insegnò a scrivere agli slavi di tutto il mondo, con il nome di Cirillo, il Santo protettore dei popoli dell’Est. Il secondo è conosciuto nei libri di storia con l’appellativo di Mustafà Kemal Ataturk, ovvero “Padre dei Turchi”. Scordatevi per un attimo la Grecia. Qui si guarda a Oriente o al massimo a Settentrione. E si comprende anche il soprannome, “co-capitale”: l’altra città è Bisanzio, non Atene”.
A dare un ulteriore tocco di originalità c’è la mano dell’artista Marija Markovic, autrice di bellissime illustrazioni, quasi una per ogni paese, che permettono all’opera di avere anche un fantastico aspetto estetico, oltre ad un ottimo contenuto.
Parafrasando e modificando un po’ la citazione di Josè Mourinho, che per poter parlare di calcio non è sufficiente sapere solo di calcio, questo libro ne è uno dei migliori esempi. L’autore ci permette finalmente di dare dei colori a quel mondo che fino a poco tempo fa era così grigio e offuscato, utilizzando tutto ciò che di più utile può servire alla causa: specialità culinarie, birre tipiche, stadi, bandiere e usanze culturali. Tutto questo e molto altro è Curva Est. Con una costante sempre presente in quest’indimenticabile equazione, il calcio. Perché il miglior modo per conoscere i Balcani è quella di seguire la via del pallone.