Ritratto del folle Big Dunc, scozzese di sangue, Toffees per necessità.
Roba da non crederci! Tutta colpa di quello sfigato del terzino dei Raith. Una sceneggiata così me l’aspetterei da un fottuto sudamericano o al massimo da uno spagnolo o da un italiano. Quelli come li sfiori li trovi per terra a rotolarsi come margherite quando soffia il vento delle Highlands. Ma non me lo aspetto certo da uno scozzese purosangue, cazzo!
Vabbè ammettiamolo, anch’io ci ho messo del mio prima di questa assurda e ridicola farsa. Il mio nome è Duncan Ferguson. La pazienza non è mai stata la mia virtù principale. E se sei un coglione non sto a guardare se sei un tassista, un pescatore o un poliziotto. Sei un coglione e basta. Anche in campo è sempre stato così. Gioca, picchia e prendile. Ma non rompere i coglioni. E se non ti va bene allora forse il calcio non è il gioco che fa per te. Smettila con il football e magari datti a quel gioco da checche che piace tanto agli inglesi, quello dove sono tutti vestiti di bianco immacolati e con un bastone cercano di colpire una pallina.
Ora però ho qualcos’altro a cui pensare, per almeno 3 mesi. Quelli che passerò qua a Bairlinnie, il carcere di Glasgow, in compagnia di papponi, spacciatori e rapinatori.
Gioco che, guarda caso, quassù in Scozia non ha attecchito nemmeno un po’. Resta il fatto che quei quattro pagliacci della Federazione scozzese questa me la pagano cara. Per quanto io sia scozzese al 100% e ami visceralmente il mio paese è giusto che sappiano fin da ora che non devono neanche provarci a chiedermi di rimettermi la maglia della Nazionale. Io con loro ho chiuso. Anzi. Ne avevo talmente le palle piene del calcio scozzese che ho accettato di andare a giocare aldilà del Vallo di Adriano, a Liverpool.
Nella parte Blu di Liverpool. Dove mi hanno accolto in maniera fantastica e dove ho già capito che voglio rimanere per tanto tanto tempo, anche quando finirò di giocare a pallone. Ora però ho qualcos’altro a cui pensare, per almeno 3 mesi. Quelli che passerò qua a Bairlinnie, il carcere di Glasgow, in compagnia di papponi, spacciatori e rapinatori. Passeranno anche questi, nessun problema. In fondo, anche qua come in campo o nella vita di tutti i giorni, basta che non mi rompano i coglioni.
Duncan Ferguson fu effettivamente condannato a 3 mesi di reclusione nel tristemente noto carcere di Glasgow per la testata rifilata al difensore dei Raith Rovers John “Jock” Mc Stay, cugino di Paul, capitano del Celtic di Glasgow, rivali storici dei Rangers – squadra dove giocava Big Dunc all’epoca.
Il fatto che Duncan sia finito in carcere per uno scontro di gioco (e neppure particolarmente cruento) fece assolutamente scalpore all’epoca. Il problema era che Ferguson un anno prima si era già reso protagonista di ben tre “incidenti”, con conseguenti denunce. Vittime del suo carattere impulsivo e “focoso” (eufemismo) sono stati nell’ordine un poliziotto, un tifoso del Celtic (in stampelle) alla fermata dei taxi e infine un pescatore in un pub.
Ed è proprio nel periodo apparentemente più difficile che, per Ferguson, arriva la classica ancora di salvataggio: Mike Walker, manager dell’Everton.
La veniale testata a McStay non fu altro che la classica gocciolina che fece traboccare il vaso con la giustizia scozzese. A quel punto, Duncan “Disorderly” (come venne ribattezzato dai suoi tifosi a Liverpool) prese la decisione, mai più ripensata, di non giocare mai più per la Nazionale del suo Paese nonostante TUTTI i selezionatori che si sono via via succeduti sulla panchina della Patria di Robert Burns e di William Wallace abbiano provato e riprovato disperatamente a far cambiare idea al fortissimo centravanti scozzese.
E pensare che Duncan Ferguson era destinato a diventare per la Nazionale di Scozia quello che è stato Joe Jordan per oltre una decade. Dai sensazionali inizi nel Dundee United al passaggio ai suoi amati Rangers di Glasgow. Chiuso da una coppia di attaccanti affiatata e letale come Ally Mc Coist e Mark Hateley si trovò gli spazi ristretti al minimo. Ed è proprio nel periodo apparentemente più difficile che, per Ferguson, arriva la classica ancora di salvataggio: Mike Walker, manager dell’Everton.
La primissima partita da titolare per Duncan è nientemeno che il derby contro gli acerrimi rivali cittadini del Liverpool. Chiunque vedrebbe con impazienza questa partita come occasione perfetta per lasciarsi alle spalle uno dei periodi più turbolenti e tribolati della vita. Ma Dunc è Dunc. Il sabato sera, meno di 48 prima del derby previsto per il “Monday night”, Duncan decide di farsi un giro per la città. In un locale incontra una ragazza con la quale proseguire il tour dei locali e dei pubs più rinomati di Liverpool.
Il tasso alcolico di Duncan arriva ben presto a livelli difficili da gestire. Ferguson entra con la sua auto in una stazione degli autobus assolutamente interdetta alle altre vetture. Duncan cerca di porvi rimedio ma le sue goffe manovre non fanno altro che attirare l’attenzione di una volante della polizia che lo ferma. Le condizioni Ferguson non sono esattamente “consone” e Big Dunc viene così accompagnato in caserma.
Le condizioni Ferguson non sono esattamente “consone” e Big Dunc viene così accompagnato in caserma. A questo punto, però, la sorte decide di dargli una mano. Diversi poliziotti tifosi dell’Everton alla stazione di polizia di St. Anne Street lo riconoscono. Iniziano a passargli bevande zuccherate e acqua in grandi quantità.
A questo punto, però, la sorte decide di dargli una mano. Diversi poliziotti tifosi dell’Everton alla stazione di polizia di St. Anne Street lo riconoscono. Iniziano a passargli bevande zuccherate e acqua in grandi quantità. Duncan butta giù tutto e quando arriva la prova del test il suo limite è sopra di solo 15 milligrammi. Dopo qualche ora passata alla stazione di polizia, Duncan verrà rilasciato senza altri procedimenti alle 6 del mattino. Ferguson stesso ammetterà di aver bevuto non meno di 5 bottiglie di vino rosso nelle 24 ore precedenti. Fatto sta che per il egli riesce ad evitare l’arresto per guida in stato di ebbrezza.
Arriva dunque la sera della partita. Duncan, per sua stessa ammissione, ha recuperato solo parzialmente dalla sbronza di poche ore prima. Per tutto il primo tempo sarà un fantasma, inutile alla causa dell’Everton e alla sua carriera. Joe Royle, l’allenatore dei Toffeemen, è tentato di toglierlo alla fine del primo tempo. Poi cambia idea. “Sarà una delle decisioni migliori della mia carriera” dirà in seguito. Ad inizio ripresa Neil Ruddock, il roccioso difensore dei Reds, entra in maniera brutale da dietro su Ferguson. E’ esattamente quello che ci vuole per Duncan.
“Da quel momento Dunc è come se fosse andato in guerra”, dirà Joe Royle a fine partita. Diventa letteralmente “immarcabile”, una furia scatenata. Passano pochi minuti. C’è un corner dalla destra battuto dall’eccellente sinistro di Andy Hinchcliffe. Nel nugolo di calciatori posizionati nei pressi della porta dei Reds si vede Ferguson saltare mezzo metro buono più in alto di tutti e con una imperiosa “testata” mettere il pallone alle spalle di James, numero 1 del Liverpool. Goodison esplode. E’ nato un idolo. Da quel giorno Duncan Ferguson sarà “culto” puro tra i tifosi dei Blues che per i 10 anni successivi gli perdoneranno praticamente tutto.
Espulsioni, cali di forma, prestazioni incolore e soprattutto decine di infortuni, che ne hanno condizionato in maniera determinante la carriera. Fortissimo fisicamente, con un sinistro potente e preciso, bravissimo a far salire la squadra e quasi insuperabile nel gioco aereo. Due grandissimi difensori come Jurgen Kohler e Jaap Stam lo hanno definito uno degli avversari più forti mai affrontati in carriera. Oltre agli infortuni in serie anche la sua decisione di non giocare più per la Nazionale scozzese dopo il fattaccio costatogli il carcere ne hanno sensibilmente ridimensionato la possibilità di farsi conoscere ad un pubblico più vasto che non fosse quello della Premier League.
ANEDDOTI E CURIOSITÀ
Nel 2001 due ladri (evidentemente non esperti di calcio) scelgono l’abitazione di Duncan Ferguson e della sua famiglia (moglie e tre figli) come obiettivo per un classico furto. Il problema è che i due si trovano ancora in casa quando Duncan rientra con la famiglia. Ferguson li affronta e inizia a riempirli di botte ENTRAMBI. Uno dei due riesce in qualche modo a fuggire mentre l’altro verrà “trattenuto” da Ferguson fino all’arrivo della polizia.
Quando i poliziotti prendono in custodia il malcapitato malvivente si accorgono che prima del carcere occorre portarlo al Pronto Soccorso per rimetterlo in sesto dalla gragnuola di calci e pugni ricevuti da “Big Dunc”. Passerà tre giorni in ospedale prima di venire dimesso. Problemi per Duncan con la legge ? Eccesso di autodifesa ? Aggressione o addirittura sequestro di persona ? Niente di tutto questo. In Inghilterra la proprietà privata è sacra. E come tale si ha il diritto di difenderla. Memorabili le parole di Ferguson subito dopo il fattaccio, quando parlando del malvivente spedito all’ospedale commentò: “Beh, non ho voluto fargli troppo male. Avevo paura che i miei figli si impressionassero”.
Due erano le cose che riuscivano a motivare Duncan e ad “accenderlo”. La prima era quando subiva un fallo di una certa durezza. A quel punto “Big Dunc” entrava in guerra e allora diventava dura per chiunque, si chiamasse Jaap Staam, Tony Adams, Jurgen Kohler o Rio Ferdinand. A volte erano gli stessi compagni di squadra di Ferguson ad incitare i difensori avversari a picchiarlo. L’altra è quando doveva affrontare squadre che lo stimolavano (Liverpool e Manchester United su tutte) oppure contro avversari prestigiosi o particolarmente “di moda”.
La prima partita della stagione 1996-1997 mise di fronte l’Everton di Duncan Ferguson contro il Newcastle del nuovo acquisto Alan Shearer. Per settimane, prima del match, allenatore e compagni videro un Duncan “carico” come non mai. Quel giorno l’Everton vinse per 2 reti a 0 e Duncan Ferguson oscurò totalmente Shearer con una prestazione mostruosa, guadagnandosi il rigore da cui scaturì il primo gol e poi offrendo al compianto Gary Speed l’assist per il secondo.
“Fuck off Dunc!”. Ferguson rimane immobile per diversi secondi, fissando negli occhi il difensore italiano. Al rientro negli spogliatoi Ferguson va verso Pistone, “Vieni fuori che dobbiamo risolvere il nostro problema” gli dice Ferguson chiaramente ancora arrabbiatissimo. Negli occhi di Pistone c’è il panico.
Un’altra cosa che Duncan Ferguson non sopportava era di vedere “presunti duri” andarsene in giro ad intimidire e a picchiare i compagni di squadra. Contro il Charlton, il difensore islandese Hermann Hreidarsson si era reso protagonista di diversi interventi molto decisi nei confronti dei giocatori Toffees. Ferguson quel giorno è in panchina ed è evidente il suo fastidio nei confronti del corpulento difensore.
A meno di venti minuti dal termine Moyes, manager dei “Blues”, manda in campo Ferguson. “Adesso vediamo quanto sei duro”, sono le prime parole di Ferguson al giocatore islandese. Non passano neppure dieci minuti che durante un duello aereo c’è lo scontro. Hreidarsson va’ giù come un sacco di patate, colpito al volto da Ferguson che non attende neppure di vedere il cartellino rosso e si incammina verso gli spogliatoi. “Scusate ragazzi”, sono le sue parole ai compagni di squadra, “ma certi personaggi mi fanno proprio incazzare!”.
Duncan Ferguson non era temibile solo per gli avversari. Racconta Kieron Dyer, l’ex nazionale inglese e compagno di squadra di Ferguson al Newcastle, che durante un allenamento Ferguson più volte si era lamentato verso il compagno di squadra Alessandro Pistone, reo di non servirlo a dovere. All’ennesimo rimbrotto di Dunc Pistone decide di rispondere “Fuck off Dunc!”. Ferguson rimane immobile per diversi secondi, fissando negli occhi il difensore italiano.
Al rientro negli spogliatoi Ferguson va verso Pistone, “Vieni fuori che dobbiamo risolvere il nostro problema” gli dice Ferguson chiaramente ancora arrabbiatissimo. Negli occhi di Pistone c’è il panico. “Non farmelo ripetere” urla Ferguson “o ti porto fuori da qui a calci nel culo”. In quel preciso momento Pistone inizia a piangere, tremando come una foglia. Ferguson è decisamente spiazzato, ma non perde l’occasione di mettere in chiaro le cose. “Te lo dico ora e non te lo dirò mai più. Mandami un’altra volta affanculo e io ti apro il cranio in due”.
Oggi Ferguson allena l’Everton, ma solo ad interim. Si vocifera il nome di Carlo Ancelotti per la panchina dei Toffees. Due profili diametralmente opposti, uniti da un’unica convinzione di fondo: la vittoria. Vedremo gli sviluppi. Quel che è certo è che, fino ad ora, Ferguson ha dimostrato di trasmettere il proprio carattere a giocatori e ambiente tutto: la vittoria all’esordio col Chelsea di Lampard è lì a dimostrarlo. Aspettiamo il prossimo gesto folle di Big Dunc, sicuri del fatto che anche in cravatta sia rimasto sempre lo stesso.
Il racconto “Duncan Ferguson” è tratto da “Mavericks & Cult Heroes del calcio britannico”, di Remo Gandolfi (Urbone Ed., 2019)