Calcio
24 Febbraio 2018

Essere un procuratore

Intervista a Marco Chiofalo, giovane procuratore calcistico.

Marco Chiofalo è un giovanissimo agente FIFA classe 1989. Cresciuto in Svizzera, dove ha vissuto fino all’età di 10 anni, per poi trasferirsi a Martina Franca. Nel 2010 decide di intraprendere la carriera da procuratore sportivo, completando il corso e dando l’esame con il massimo dei voti. Acquisendo così la licenza di Agente Fifa autorizzato dalla FIGC. Dopo i primi anni di fatica e sacrifici, nei quali il giovane procuratore cerca di farsi largo nella giungla degli agenti, tra situazioni negative e altissima concorrenza, trova nei Balcani la zona ideale da dove far decollare la sua carriera professionale. Territorio per il quale nutre un enorme interessamento sin da quando era giovanissimo e dove si reca sempre più spesso alla ricerca dei prossimi fenomeni. La sua crescita non si è conclusa qui, visto che negli ultimi tempi ha allargato il suo raggio d’azione a Scandinavia e Sudamerica.

Come prima domanda ti chiedo com’è stato l’inizio della tua carriera professionale?

Dopo aver concluso il liceo classico avevo già le idee molto chiare sul fatto che volessi fare l’Agente FIFA. Dopo di ché mi sono cimentato con lo studio e dopo un anno ho superato l’esame. Successivamente ho comunque continuato a studiare perché il diritto sportivo mi serviva assolutamente, vista l’importanza. I primi tempi sono stati quelli dove mi guardavo intorno, in Puglia dove vivevo, provando ad affiancarmi a procuratori già affermati, tra la serie C e la serie D. Questi mi hanno supportato soprattutto riguardo la scelta dei campionati che avrei dovuto seguire. Sono partito proprio dai campi polverosi dei giovanissimi e allievi regionali, per passare poi naturalmente ai professionisti, sempre restando inizialmente sulle giovanili. L’esperienza è proseguita con un ruolo da consulente di mercato, tra serie D ed eccellenza. Ho continuato questo percorso per un paio di anni, provando anche delle esperienze negative, le quali mi sono state comunque utili, insegnandomi molto su questo mestiere. Da allora, stagione 2012/13, sono uscito dai confini per dare il via alla mia esperienza nei Balcani.

Qui ti fermo perché la prossima domanda riguarda proprio i Balcani. Ti chiedo appunto com’è iniziata la tua esperienza, cosa ti ha portato ad andare in quei paesi e soprattutto in che condizioni è il loro calcio oggi, rispetto al glorioso passato jugoslavo?

Io avevo chiaramente già da giovane una passione culturale e geografica della zona, e naturalmente una curiosità sulle vicende della guerra. Già da studioso del territorio, iniziai ad intensificare i contatti e il mio primo viaggio fu a Medjugorie, in Bosnia. Conobbi un albergatore che mi consigliò di rimanere un mese e dalla Bosnia iniziai la mia avventura nei Balcani, con le mie prime esperienze con la gente del posto. Continuai poi con i primi scout delle squadre professionistiche, la prima delle quali fu il Velez Mostar. Una città, quella di Mostar, che vive un derby che penso sia tra i più affascinanti non solo della zona balcanica, ma proprio d’Europa. Qui si va oltre la semplice rivalità sportiva; le persone hanno messo una linea che divide la città in due parti. Ho avuto esperienze anche a Sarajevo e successivamente mi sono spostato in paesi come Serbia, Albania e Kosovo. Per quanto riguarda il livello del calcio, dalla disgregazione della Jugoslavia, dove ovviamente c’erano squadroni e uscivano fior fior di giocatori, rimanendo sulla Bosnia in particolare ti dico che ogni anno che passa il livello è sempre più basso, anche se ci sono dei casi di giocatori delle società più importanti che riescono ad emergere ed andare in club più o meno noti. Calciatori come Dzeko e Pjanic, entrambi scappati dalla guerra, sono esempi di veri e propri top player. Giocatori buoni ci possono essere tra i 16 e i 18 anni. Vi sono derby interessantissimi per via delle differenze culturali, grandissima storia geopolitica, ma il livello purtroppo è in continuo calo.

Pjanic mentre si prepara nel suo fondamentale, il calcio di punizione
Pjanic mentre si prepara nel suo fondamentale, il calcio di punizione

Nel 2015 la FIFA permise a chiunque di poter diventare agente, abolendo il registro dei procuratori. Nel dicembre scorso invece è stata reintrodotta la figura professionale dell’agente e la nuova istituzione dell’albo dei procuratori. Ti eri sentito penalizzato da quella decisione?

Io venivo da cinque anni che ero ormai agente e già nel 2010 si vociferava di questa deregulation che avrebbe permesso a tutti di fare il procuratore, dato che bastava pagare una somma alla FIGC e loro ti mettevano in questo elenco auto-certificato, dove tu depositavi un contratto con un giocatore, potevi rappresentare calciatore e società e facevi tranquillamente le tue operazioni. La licenza è quindi andata in pensione per 2 anni. Il cambiamento ha iniziato a materializzarsi soprattutto grazie all’impegno di due personaggi importanti per noi procuratori. Uno è il bravissimo Avvocato Christian Bosco, presidente dello IAFA –  l’Associazione degli Agenti – e del ministro Luca Lotti.  Finalmente nel dicembre del 2017 è stata emanata questa nuova riforma, che era già attiva in altri paesi Europei e non. Mentre in Italia si era continuato a seguire il filone di Blatter e Platini, che andava a penalizzare coloro che avevano studiato per questa professione. Già c’era una giungla, così facendo in questi due anni hanno permesso a chiunque di inserirsi.
Personalmente mi sono sentito male, molto male, perché già all’inizio della carriera ci sono degli alti e bassi, che in certi momenti ti possono mettere in difficoltà facendoti chiedere se ne valga la pena o meno di andare avanti. Oltre a questo si è andato ad aggiungere il discorso legato al fatto di non avere la professionalità, di non essere iscritto a questo albo auto-certificato. La mia volontà è stata quella di non volermi iscrivere, in quanto non mi sentivo tutelato e la professione di agente me l’ero sudata e meritata.  Questo emendamento del ministro Lotti ha fatto tornare in me e penso in molti la voglia e la professionalità di andare avanti e di avere degli aggiornamenti professionali ogni tot mesi, per essere aggiornati su regolamenti nazionali e stranieri.

Raccontaci un po’ la giornata tipica di un procuratore, com’è muoversi in una giungla del genere?

Premettendo che all’inizio, quando ho preso la licenza, nel lontano 2010, avevo l’entusiasmo del ragazzo che fa quello che sogna. Quando poi entri nel circuito è tutto più complicato, capisci che certe dinamiche non sono belle come avevi immaginato e ti adegui. Il discorso diventa sempre più professionale, economico. Capita che giocatori ti tradiscano, quindi in certi casi preferisci occuparti delle intermediazioni, specializzarti in alcune nazioni come ho fatto io nei Balcani. La mia giornata tipo, quando non mi trovo nel fulcro di questa professione, che è la città di Milano, è fatta di telefonate, visione su wyscout di partite, chiamate e scambio di opinioni con giornalisti e specialisti di certi mercati e ovviamente viaggi all’estero per andare a visionare giocatori. Quando invece mi trovo a Milano la mia giornata inizia dalla prima mattinata e si conclude dopo l’orario di cena. Sono ore nelle quali non sei mai fermo e devi essere sempre attento e determinato; vivendo in questa città hai la possibilità di fortificare i tuoi rapporti.

Una tua opinione sui fenomeni di questa professione, Mino Raiola e Jorge Mendes. Cosa ha permesso loro di arrivare così in alto e diventare tanto importanti?

Stimo entrambi, con una leggera preferenza per Mendes, in quanto mi sento, senza essere presuntuoso ovviamente, più vicino a lui. Quando hanno iniziato a fare questo mestiere ce n’erano pochi di procuratori, ed entrambi sono riusciti ad inserirsi in questo mondo grazie a delle attività parallele. Raiola che lavorava nel ristorante gestito dalla famiglia e faceva da traduttore nella lingua olandese a qualche giocatore e Mendes che ha iniziato con la vendita di videocassette per poi gestire discoteche frequentate da giocatori. Da lì sono iniziate le loro prime operazioni e, con un investimento che avevano alle spalle, pian piano si sono costruiti questo impero. Per fare questo ci vuole pelo sullo stomaco, dormire mai, lavorare 24 ore su 24, avere una grande parlantina, un grande ascendente su tutti, giocatori e società. Avere delle persone di un certo tipo che ti coprono le spalle. Persone pesanti, toste, chiamiamole così. Tutto questo ha permesso loro di diventare i re indiscussi del calciomercato. Ce ne sono tanti altri bravi che hanno una visione diversa del lavoro, direi British style, mentre loro due ce l’hanno più da strada.

Ti chiedo un tuo parere anche su Igli Tare, non un tuo diretto collega, ma una figura che lavora direttamente con i procuratori e che in questi anni ha fatto un ottimo lavoro. Cosa ne pensi delle sue operazioni?

Personalmente non lo conosco. Secondo me Igli Tare ha avuto il grande vantaggio di aver giocato in Italia ed essere riuscito a diventare il punto di riferimento del mercato della società biancoceleste, in maniera abbastanza impegnativa, perché conoscendo il presidente della Lazio Lotito non dev’essere facile neanche per Tare, uno che viene dai Balcani ed è tosto. È stato bravo perché ha secondo me degli scout preparati nelle regioni dove va a pescare i giocatori, non paesi di prima fascia, riuscendo inoltre ad acquistarli a pochi soldi. È uno dei pochi in Italia come direttore sportivo a fare questo. Ci sarebbe l’Udinese, ma in questo caso si tratta proprio della società, non di un singolo. Lo fa Sabatini, ma lo fa in maniera diversa, soprattutto per il Sudamerica. Tare è proprio specializzato nei giocatori dei Balcani, anche di quelli che giocano all’estero. Gli ultimi esempi sono Milinkovic-Savic e Marusic, entrambi militavano in Belgio. Milinkovic-Savic penso sia il centrocampista più forte al mondo, secondo me anche più forte di Pogba, ed è destinato alle 3-4 squadre migliori d’Europa. Tornando a Tare, sottolineo quindi proprio la sua bravura nell’avere una rete fitta di osservatori, capaci di vedere per primi questi talenti e soffiarli alla concorrenza italiana ed estera.

Il ruolo del procuratore è cambiato notevolmente negli ultimi tempi, tanto da arrivare a sessioni di calciomercato di certe squadre, che paiono totalmente comandate da alcuni agenti. Non si sta andando troppo oltre in questo modo?

Da un lato può essere vero che la top-five dei procuratori monopolizzi il calciomercato e il calcio in generale 365 giorni all’anno, 24 ore su 24. Sono stati talmente bravi nell’infilarsi nella rete delle società, dei giocatori, che il più delle volte basta veramente una chiamata o un occhiolino per concludere un’operazione. Resta comunque sempre difficile, anche per loro, chiuderne una. Non direi che c’è soltanto un monopolio, ci sono tutta una serie di altri procuratori che lavorano alla propria maniera, che non sono dei miliardari, e che riescono comunque a vivere di questa professione. Il problema vero riguarda quelli che si dannano e purtroppo facendo poco sono costretti a trovare un altro lavoro. È fondamentale per un buon procuratore cercare di avvicinarsi a questi grandi agenti, e investire tanto nelle pubbliche relazioni, per poter ambire a scalare la classifica di questa professione.

Jorge Mendes e il suo figlioccio, CR7
Jorge Mendes e il suo figlioccio, CR7 (foto These Football Times)

Ti interessi a qualsiasi tipo di giocatore, oppure hai una determinata fascia in base a ruoli ed età?

Per me è importante che siano sopra i sedici anni, quindi che possano fare un campionato allievi, che possano essere in un under-17, che possibilmente siano in Nazionale. Anche se è molto difficile, vista la concorrenza con altri procuratori. Il discorso principale è che le società richiedono giocatori già pronti per la prima squadra, e non dei giovani. Lavorando molto all’estero, e naturalmente anche in Italia, la mia regola è quella di cercare sempre la qualità o un buon giocatore che si adatti bene al campionato dove andrebbe a giocare. Che è la cosa più importante. La base al momento è il giocatore che salta l’uomo. Anche la fisicità per me è importante, ma conta fino ad un certo punto. La cosa più importante è naturalmente, banale dirlo, la testa. Dei genitori che non devono essere pressanti, perché non voglio che diventino i protagonisti della situazione. Sto molto attento sia ai genitori che al giocatore dal punto di vista caratteriale; se c’è qualcosa che non mi piace, lascio perdere anche se il giocatore è buono.

Vedesti Iheanacho nel 2013 al mondiale Under-17 e dicesti che era da tenere d’occhio. Le buone stagioni al City del ragazzo ti hanno dato ragione. Quali altri giovani hai potuto ammirare, prima che confermassero le loro potenzialità in prima squadra?

L’esempio più eclatante è quello che mi è accaduto in Algeria. Un giornalista algerino e l’allenatore Stefano Cusin, grande conoscitore di talenti, mi fecero il nome di Islam Slimani. Io, tramite un procuratore, – non faccio nomi perché non si rivelò un gran conoscitore di calcio – vidi il giocatore e dissi che sarebbe potuto essere da campionati importanti come Inghilterra o Germania. Cercai quindi di lavorarci, ero ai primi tempi e purtroppo non mi fu permesso, in quanto questo procuratore lo bocciò. Il ragazzo successivamente andò allo Sporting Lisbona per una buona cifra, io feci un’intervista con il giornalista algerino e spiegai la situazione che mi era capitata e di come non mi fosse stato possibile lavorarci. Dopo lo Sporting Lisbona sappiamo tutti la carriera che il ragazzo ha fatto: Leicester City e ora Newcastle. Un giocatore che ricordiamo, ha anche disputato il Mondiale del 2014 con la nazionale algerina.

Slimani con la maglia dello Sporting Lisbona
Slimani con la maglia dello Sporting Lisbona

Cosa ne pensi del trasferimento di Pellegri? Un contratto da un milione di euro all’anno per un ragazzo di sedici anni può essere un pericolo per il suo futuro?

Il pericolo non c’è se il giocatore ha veramente la testa sulle spalle e chi lo circonda, società e procuratore, il quale per me è molto bravo, lo riesce a tenere bene. A Monte Carlo troverà molte più distrazioni, ma come scelta non si può biasimare. Io sarei andato alla Juventus, però al Monaco potrebbe esordire prima, iniziare a giocare titolare magari già dall’anno prossimo. Tra i giovani è sicuramente uno dei più forti. Penso che sia destinato a fare una buona carriera.

Concludiamo chiedendoti se puoi farci qualche nome di giovani che dobbiamo tenere d’occhio per il futuro più immediato.

Ti parlo di un giocatore che sto gestendo, l’unico di cui ti posso dare il nome. È un ragazzo della primavera dell’Ascoli, ha giocato nel Racing Roma e quest’anno è stato acquistato, appunto, dall’Ascoli. È un classe 2000, una mezzala sia destra che sinistra. Il nome è Gianmarco Facchini, è un ragazzo veramente bravo, nato a Ostia. Ha caratteristiche caratteriali molto simili a quelle di De Rossi, è un giocatore di spinta e di inserimento. Un buon prospetto, che secondo me può fare bene, soprattutto grazie al supporto tecnico che ha ricevuto dall’allenatore che lo ha forgiato, Stefano Mondella. Che l’ha protetto e fatto crescere. Speriamo che ad Ascoli dall’anno prossimo possa dire la sua. Penso che prossimamente potremo vederlo almeno in serie C.

Gruppo MAGOG

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