Mattia Perin, portiere classe ’92, per molti anni secondo di Gigi Buffon in nazionale, è letteralmente scomparso dalle cronache calcistiche fino a pochi giorni fa, quando si è vociferato di un suo ritorno in prestito al Genoa, la squadra che lo ha lanciato nel calcio che conta.
Ma facciamo un passo indietro. Mattia viene notato dagli osservatori del Genoa quando gioca nelle giovanili della Pistoiese e comprato nel 2008 a 16 anni, diventando poi titolare della Primavera ligure e conquistando nel 2010 il campionato e la supercoppa di categoria (quest’ultima vinta con un sonoro 5-0 al Milan). Nel 2011, all’ultima di campionato contro il Cesena, esordisce in prima squadra e, dopo due anni in prestito al Padova ed al Pescara dei miracoli guidato da Zeman, non esce più dall’undici titolare rossoblu.
Il Genoa sembra aver trovato il suo uomo simbolo, cresciuto in parte nel vivaio, mentre la nazionale sembra avere tra le mani il successore di Buffon. Perin conquista la fiducia dei genoani con prestazioni maiuscole, salvataggi miracolosi, parate d’istinto degne dei migliori esponenti del ruolo, uscite basse spericolate ma precise. I tifosi, depressi da anni di campionati mediocri sotto la gestione Preziosi, lo considerano ogni anno tra i principali fautori delle sudate permanenze nella massima serie.
Si guadagna la convocazione da parte del CT Cesare Prandelli nel 2012 per un’amichevole ed il suo nome è tra i 23 che prendono parte al Mondiale brasiliano del 2014 (come terzo portiere dietro Buffon e Sirigu). Due infortuni al legamento crociato ne limitano le presenze per un paio di stagioni, ma rimane sempre ad alti livelli.
Nell’estate del 2018 però, sia per una sua insofferenza ai numerosi campionati incolori del Genoa che alla smania di plusvalenze del Presidente ligure, Perin viene ceduto alla Juventus per 12 milioni più 3 di bonus (che probabilmente non sono mai stati corrisposti date le scarsissime presenze in maglia bianconera). Questa è stata, a parere di chi scrive, la scelta sbagliata. Perin, a Torino, si è finora limitato a scaldare la panchina.
Sì, perché Perin è stato acquistato per fare da secondo al titolare Wojciech Szczęsny (nemmeno fosse Lev Jašin) dopo il momentaneo addio di Buffon per mete franco-qatariote, probabilmente con la speranza di vincere finalmente un trofeo (obiettivo raggiunto) e di uscire da quel semi-anonimato in cui sono relegati i giocatori che non hanno appeal mediatico e che soprattutto non giocano per squadre “top”. Purtroppo per lui, a parte la vittoria di campionato e supercoppa italiana (curiosamente gli stessi trofei alzati con la primavera del Genoa…), l’esperienza bianconera è stata un disastro.
Ma non è solo la sfortuna a perseguitare l’estremo difensore, perché la scelta di cedere alle lusinghe (in realtà nemmeno poi tanto tali) della Juventus ha compromesso pesantemente la sua carriera.
Solamente 9 presenze in campionato nella prima stagione, nessuna in Champions League (neanche contro lo Young Boys in casa), nessuna presenza in nazionale (a questo proposito, ricordo che i gettoni effettivi sono stati incredibilmente soltanto due) e la sostanziale fuoriuscita dal giro azzurro, dato che Mancini convoca solo chi gioca con continuità. Un’annata da dimenticare per Mattia, coronata da un infortunio alla spalla ad aprile che ne ha concluso in anticipo la stagione. Non solo. L’infortunio ha fatto anche saltare il suo trasferimento estivo al Benfica dove non ha superato le visite mediche, costringendolo a rimanere sulle rive del Po, e relegandolo al ruolo di quarto portiere dietro addirittura a Pinsoglio.
Ma non è solo la sfortuna a perseguitare l’estremo difensore, perché la scelta di cedere alle lusinghe (in realtà nemmeno poi tanto tali) della Juventus ha compromesso pesantemente la sua carriera. Nell’estate del 2018 vi erano alcune squadre interessate a lui, Napoli e Roma in primis, che avrebbero potuto garantirgli la maglia numero 1 e la possibilità di avere visibilità internazionale, nonché una pressione ambientale forse meno pesante.
Bisogna infatti dire che giocare per la Juventus ha i suoi pro e i suoi contro: ad un alto stipendio e la possibilità di vincere trofei, si contrappone la difficoltà nell’imporsi, per cui risulta necessario avere un carattere forte oltre che associarvi delle prestazioni sportive convincenti. Perin non ha mai brillato per uno spiccato temperamento nei mesi trascorsi all’ombra della Mole, preferendo rimanere a disposizione senza polemiche pensando magari ad una carriera come quella di Michelangelo Rampulla, che per dieci anni è stato sì riserva di Peruzzi e Van der Sar, ma vincendo allo stesso tempo i trofei più prestigiosi.
Uno dei tanti miracoli di Perin, forse il più incredibile, contro il Sassuolo nella stagione 17/18
Il problema è che in quegli anni di plusvalenze ancora non si parlava, non era la parola principale in una sessione di calciomercato, mentre se oggi vieni pagato 12 milioni poi o giochi o devi venir venduto cercando di migliorare il conto economico del bilancio. Se poi il tuo procuratore non si chiama né Raiola né Mendes allora sei fottuto.
La Juventus è una società che può coronare i sogni di ogni calciatore, certo, ma può anche diventare lo scoglio dove l’atleta si schianta e rimane incagliato, schiacciato dalla pressione, dalla rigida mentalità di ricerca della vittoria, dalla concorrenza spietata e, più genericamente, dal sistema-calcio che si nutre, insaziabile, di giovani ragazzi: se sei difettoso non vieni curato, ma scartato.
Il calcio moderno è pericoloso se non lo capisci a fondo nella sua spietatezza, se non hai i mezzi giusti per affrontarlo. Perin, ancora giovane per essere considerato finito dato che ha solo 27 anni, ha ancora possibilità di riscatto, ma deve farlo lontano dalla società torinese che ora lo ha schiacciato, come Charlot in Modern Times, tra i suoi ingranaggi. Mattia Pascal, dopo aver compiuto una scelta poi rivelatasi sbagliata, non ritrovò mai più se stesso. Auguriamo a Mattia Perin un finale diverso.