Chi è il prossimo avversario dell'Inter in Europa League.
«Ah, comincio a vivere finalmente! Vivere, Cesonia, è il contrario di amare. Te lo dico io. Che bello spettacolo, Cesonia. Mi occorre il mondo, e spettatori, vittime e colpevoli».
Il Getafe di José Bordalás incarna alla perfezione il Caligola di Albert Camus. Folle e insieme geniale come il più violento imperatore della storia di Roma, la proposta di gioco del tecnico di Alicante non è certamente riassumibile in uno “schema” – che con questa parola s’intenda il modulo o la tattica qui poco importa; vedremo il perché più avanti.
Il Getafe è oggi sulla bocca di tutti. La sua scalata in Spagna, dalla Segunda di due stagioni fa all’attuale quarto posto, e il suo sogno europeo, che lo vede attualmente agli ottavi di finale dell’Europa League, dopo aver battuto l’Ajax di ten Haag, hanno costretto gli appassionati di tutto il mondo a seguire da vicino una squadra il cui credo, già di per sé interessantissimo, sta iniziando a fruttare anche a livello di risultati. Qual è il segreto di questo piccolo miracolo sportivo?
Qui come altrove il segreto non c’è, se non per chi non vuol vedere. Quella di José Bordalás è una rivincita sul “progresso” calcistico, tutto statistica e XG (expected goals), gioco dal basso e tacco, e punta. La sua battaglia al “bel gioco” – prendendo questa espressione con le dovute precauzioni – non è solo un fatto evidente, già dimostrato da analisi che qui vi risparmieremo. Sono le stesse parole del tecnico alicantino a testimoniarlo meglio di chiunque altro:
“Che senso ha toccare 30 volte il pallone nella propria metà campo senza avanzare di un metro? Le persone confondono il possesso palla con il bel calcio”, ha dichiarato a El Mundo.
Non fa segreto di ispirarsi a Simeone, Bordalás. Ma se per il primo è lecito parlare di proposta di gioco, per il secondo sarebbe forse più giusto parlare di risposta al gioco. Bordalás prepara le partite sull’avversario, sempre. Che si tratti dell’Espanyol o del Barcellona, rispettivamente prima ed ultima della classe, poco importa. In un certo senso, si può dire che Bordalás nutre per l’avversario un rispetto incomparabilmente maggiore di qualsiasi dogmatico del bel calcio. Citando Fabio Caressa, Bordalás non è certamente nel novero di quegli allenatori che oserebbero iniziare un discorso con: “Il mio gioco”.
Io, mio, cosa? Quale io? Jorge Molina, 37enne attaccante e capitano del Getafe, sottolinea questo aspetto prima di qualunque altra cosa: «Non esiste l’ego in questa squadra». Per il gruppo, in effetti, Bordalás nutre un’ossessione senza eguali. Pensate soltanto a questo aneddoto: cogliendo al balzo un’intuizione di Pep Guardiola, l’allenatore del Getafe ha proibito ai propri giocatori l’utilizzo del cellulare durante i pranzi in comune, le trasferte sui pullman, gli aerei o i treni. Per Bordalás c’è sempre tempo per certe sciocchezze; ma la squadra viene prima di tutto.
Persino prima dello stipendio. Il monte ingaggi del Getafe è attualmente il quartultimo in Liga, ma la squadra, come detto, è quarta in classifica a +1 dall’Atletico Madrid del Cholo Simeone. Come potrebbe mai, una squadra corsara come il Getafe, mutila di quella tecnica individuale che caratterizza il calcio spagnolo, costruire da dietro, giocare il pallone sempre e ad ogni costo, inventare o addirittura insegnare calcio?
«Quando abbiamo giocato contro il Barça, ter Stegen ha effettuato 69 passaggi; io non voglio che il mio portiere faccia 69 passaggi», ha dichiarato a Radio Marca, dimenticandosi forse di dire che, se fosse per lui, il portiere potrebbe tranquillamente fumarsi un sigaro e limitarsi agli interventi coi cari e vecchi guantoni, altro che passaggi.
«Ciò che vogliamo è creare occasioni da gol, punto. Sappiamo di non piacere a tutti, ma stiamo iniziando a ricevere consensi e complimenti». Complimenti, José, a nome di Contrasti. Leggera come la brezza marina e dolce come il vento estivo, ma al contempo severa come le nubi autunnali e tagliente come il fulmine durante la tempesta, la Rivoluzione del Getafe non può più nascondersi.
Per emergere in una città che ospita due tre le squadre più forti del pianeta, o ribalti tutto o rischi l’anonimato.
A Madrid le quattro principali squadre sono, come noto: Real Madrid, Atletico Madrid, Rayo Vallecano e Getafe. Per emergere in una città che ospita due tre le squadre più forti del pianeta, o ribalti tutto o rischi l’anonimato. José lo sa bene, e i numeri – anche quelli attuali – purtroppo lo dimostrano.
Nell’ultima stagione di Liga, chiusa al quinto posto dietro al Valencia di Marcelino, a due sole lunghezze dalla Champions League, la media degli spettatori presenti al Coliseum Alfonso Pérez, casa del Getafe, si posizionava al quintultimo posto nel campionato con una media di 10.836 paganti. La stagione precedente, chiusa con l’ottavo posto in classifica, lo vedeva addirittura terzultimo in questa particolare statistica.
L’andata dei Sedicesimi di Europa League e l’inizio dell’odio planetario per il Getafe: 2-0 contro l’Ajax
Il punto di svolta nella carriera di José Bordalás risale alla stagione 2016/17. Il Getafe non ha una squadra formidabile, ma l’allenatore promette la promozione al primo anno di gestione. Dopo 8 partite, il bottino è impietoso. Non solo il Getafe deve scordarsi la vittoria, ma rischia il baratro della terza divisione spagnola (Segunda Division B). Poi, però, qualcosa fa scattare l’ingranaggio. Il Getafe conclude al terzo posto con una rimonta incredibile, riuscendo ad avere la meglio su Huesca e Tenerife nei play-off.
Dopo un buon ritorno in Liga (2017/18, ottavo posto) e un ottimo piazzamento europeo, sfiorando la Champions League (2018/19, quinto posto), quest’anno il Getafe di Bordalás sogna all’ombra del Coliseum. Un nome che forse, nel cammino di Bordalás, significa qualcosa in più di una semplice casualità.
L’allenatore di Alicante è un accanito sostenitore dell’antica Roma. Ad affascinarlo non è tanto la potenza sfarzosa dell’età augustea, tanto potente da esser già decadente, ma tutta la fatica del cammino – parola già fondamentale per un altro guerriero come Oscar Washington Tabarez. Roma, dal nulla, s’è creata – e conquistata – un Impero. Lo ha fatto con la forza delle armi e non con la cultura tipica della koiné greca.
Non è una metafora impertinente. Frankie De Jong, ex Ajax, dopo aver visto la sua ex squadra (figlia del bel gioco proposto da una tradizione e difesa dal proprio allenatore, ten Haag) faticare terribilmente contro il Getafe dei cattivi, aveva dichiarato senza troppi problemi, a proposito della formazione allenata da Bordalás:
“Non intrattengono il pubblico, sono fastidiosi da vedere. Guardare quella partita è stato doloroso, frustrante. Sono soltanto una buona squadra, anche se è difficile giocare contro di loro, ma l’Ajax può certamente farcela”.
Non ce l’ha fatta. Quanta presunzione, quanta ipocrisia. Chi o cosa può decidere come intrattenere il pubblico? Cosa significa, esattamente, doloroso, frustrante, a proposito di una partita del genere (finita peraltro con un punteggio piuttosto secco ed eloquente)? Infine quel fastidioso tono da secchione della classe: “sono soltanto una buona squadra“.
Bordalás non vedeva l’ora di sentire certe dichiarazioni. Al Johann Cruijff Stadium – e a Cruijff, paradosso dei paradossi, José si ispirava da giocatore – Bordalás ha appeso nello spogliatoio dei suoi ragazzi le dichiarazioni di De Jong, come ulteriore motivazione per il passaggio del turno. Il risultato è noto a tutti: 2-1 per l’Ajax (con tre pali del Getafe, a proposito di frustrante) e qualificazione agli ottavi di finale, dove affronterà l’Inter di Antonio Conte.
Il Getafe è una squadra valida e temibile. Sotto più punti di vista. È la prima squadra in Europa per falli commessi (con una media di 20 a partita), quella che tiene meno il pallone in Liga e che crea meno occasioni da gol. Ma è anche quella che concede meno occasioni all’avversario, dopo l’Atletico di Madrid.
Il fattore degli XG di cui si cibano i nerd del calcio si trasforma in una bussola impazzita al cospetto della coppia d’attacco Molina-Mata (Jaime), rinforzati dal subentrante Angel – 10 gol in Liga per lui all’attivo.
Se Molina è l’incaricato numero uno alla pulizia dei palloni sporchi, Jaime Mata è il goleador della squadra. Con la maglia del Valladolid, due stagioni or sono, Mata segna la bellezza di 33 reti in 39 partite. Riceve la chiamata milionaria dello Zheijang Greentown che gli offre 6 milioni di €. Lui rifiuta e accetta la chiamata del Getafe. Basterebbe questo per volergli un gran bene.
Il tutto sotto la supervisione di Bordalás e del Mossad. No, non è uno scherzo.
Nel 4-4-2 di Bordalás, Mata segna con una continuità considerevole. Nella stagione 2018/19 segna 14 gol e colleziona 6 assist, venendo convocato anche dalla Nazionale. Nella stagione in corso, è ad 11 gol e 5 assist in 30 partite complessive tra campionato e coppa.
Una difesa solida, composta da Djené – difensore centrale di destra – Damián Suárez e Mauro Arambarri – centrocampista centrale destro –, un attacco di tutto rispetto e il talento – in prestito dal Barcellona e dal Chelsea – di Cucurella (già giocatore iconico, con quel taglio di capelli alla Telespalla Bob) e di Kenedy; queste le armi principali di una squadra destinata a grandi traguardi.
Il tutto sotto la supervisione di Bordalás e del Mossad. No, non è uno scherzo. Già vicini ad Antonio Conte ai tempi del Chelsea e al Real Madrid di Zidane quest’anno, il Getafe del condottiero di Alicante è (anche) nelle mani – e nelle menti, per meglio dire – di due ex agenti segreti israeliani. Il loro compito? Controllare nel dettaglio le prestazioni individuali dei calciatori in rosa, sia in allenamento che in campo, ma anche nella vita privata. Calcio totale, insomma, o qualcosa di simile.
Possiamo riderne o inquietarcene quanto vogliamo, ma quando scende in campo il Getafe fa sul serio. L’Inter è avvertita.