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13 Marzo 2023

Giancarlo De Sisti e Alfredo Di Stefano a Ostia

Nel compleanno di De Sisti, un ricordo di un poeta.

Da Roma a Ostia, ecco la traiettoria di Giancarlo De Sisti, soprannominato amorevolmente “Picchio”, in quel giorno di giugno del 1962. Cogliere la data esatta risulterebbe sublime ma purtroppo, malgrado accurate ricerche e ascoltate voci, non è possibile. Ecco, il giorno preciso di quel giugno è ignoto ma non fa nulla e l’importante è comunque elevare quelle ore e quegli istanti perché ne accaddero di fatti interessanti, in quel mattino spensierato di quell’altrettanta spensierata estate di quell’irripetibile decennio che s’apriva.

Delineato l’affresco, si vedranno allora in partenza dalla via Appia, precisamente dall’Alberone, un certo Lallo con la macchina insieme a “Picchio” De Sisti e Salvatore Flamini: giocano entrambi con la Roma con il primo che già da due anni, da talento vero, è in prima squadra tra Schiaffino, Selmosson e Lojacono ed il secondo che fatica a farsi largo tra i difensori, tra i “vecchi” che non vogliono mollare. I due sono diventati amici sin dal tempo del campionato “Giovanissimi” perché Flamini, che è del quartiere Alberone, aveva marcato De Sisti, che di nascita era subito dopo il Quadraro, dalle parti di via di Santa Maria del Buon Consiglio.

Un anno di differenza tra i due, Flamini del 1942 e De Sisti del 1943.  

Il primo giocava nella Roma e il secondo con la “Forlivesi”, gloriosa squadra che aveva il campo – i “Cavalieri di Colombo”– a San Lorenzo, tra via degli Apuli e via dei Piceni. Qui giocava De Sisti, in una società che era un vero vivaio per la Roma. I due si erano incrociati nel campionato “Giovanissimi” del 1955, una sfida Roma-Forlivesi disputata al campo “Francesca Gianni” sulla consolare Tiburtina. In quell’occasione fu Guido Masetti, grande portiere della Roma negli anni ’30-’40, campione d’Italia con i giallorossi e allenatore in quel tempo dei ragazzi della Roma, a dire a Flamini di annullare (come se si fosse trattato d’un evento semplice) il piccolo fuoriclasse della “Forlivesi”, un certo De Sisti.


E allora Salvatore Flamini, soprannominato er pomata sin dal 1950 come un eroe d’un giornalino dell’epoca, ovvero “Salvatore la pomata” che salvava tutti, così lui, da difensore, “salvava tutto”. Fin da quando allestiva agguati e spazzava l’area di rigore sotto casa, in via Paolo Paruta, all’Alberone, primo “campo di calcio” di Flamini er pomata: eccolo dunque il riferimento alla brillantina.

Insomma Flamini si dispose “a uomo” su De Sisti e fu una cosa seria perché parvero gli anticipi, di lì ad un decennio, di Bedin su Rivera, di Rosato su Mazzola, ecco, e del resto la generazione era quella, tutti figli della guerra: 1942-43-45, gli anni di nascita dei calciatori appena citati. E così Flamini fu “a uomo” su De Sisti al campo “Francesca Gianni” sulla consolare Tiburtina, ed egli picchiava veramente anche se il duello era tra fanciulli. Si può dire così: Flamini entrava duro su Picchio, il quale, ad un certo punto, non potendone più, gli si rivoltò contro dicendogli di finirla con le botte e di giocare a pallone.

Masetti dalla panchina udì le rimostranze di De Sisti. Flamini allora si placò cercando di giocare di anticipo ma era un sogno anticipare De Sisti, che possedeva una folgorante velocità di pensiero e dava la palla di prima e gironzolava in ogni luogo del campo ed era sempre smarcato; e si faceva trovare ovunque e lanciava e avanzava e indietreggiava e proteggeva e quindi ripartiva e creava sublimi corridoi in profondità: ecco il suo repertorio, proprio quello d’un fuoriclasse.

Giancarlo De Sisti con la maglia giallorossa

Il giorno della sfida Roma-Forlivesi, Flamini e De Sisti diventano amici e qualche anno dopo saranno insieme nella Roma e frequenteranno anche la stessa scuola, il “Manieri”, in via Faleria, poco prima di San Giovanni. Per raggiungere il campo delle “Tre Fontane” viaggiano insieme con il pulmino della Roma guidato da Sergio Freddi, un piccolo bus che passa a prendere tutti i giovani per condurli all’Eur. Si torni adesso però a quel giorno di giugno del 1962 e ai tre giovani, De Sisti, Flamini e l’amico di quest’ultimo, Lallo, che è alla guida della macchina e si dirige a Ostia e precisamente allo stabilimento “La Marinella”, lembo di spiaggia evocatore di sogni se vi si possono incontrare dive e divette, attori principali e stracche comparse.

I tre già sognano incontri favolosi, fatalone da Cinecittà o da via Veneto, e proprio mentre immaginano avventure da Bolero o Grand Hotel ecco che a loro dinanzi appaiono l’allenatore della Roma, Luis Carniglia, argentino, il figlio di questi, Luis Cesar junior, poi Ruben Merighi, altro argentino che in quell’anno ha giocato con la Lazio, e quindi Alfredo Di Stefano di transito a Roma presso l’amico Luis Carniglia. Non è possibile, la Saeta Rubia a Ostia! Allo stabilimento “La Marinella”! Vada per mister Carniglia, passi per Merighi ma Di Stefano a Ostia diventa un’ipotesi di romanzo, un sogno anche per il più addentro alle cose del calcio e in una fase di disincanto.

Ed è un peccato che non vi sia uno scrittore in agguato, un poeta a gustarsi una scena simile perché la presenza di Alfredo Di Stefano allo scrittore avrebbe sollecitato una cinquantina di pagine, almeno, mentre al poeta una decina di liriche. Ecco, sì, ma i letterati sono altrove, a smarrirsi nel bello ma sempre altrove. Forse staranno confrontando saggi, allineando bibliografie, brigando per cattedre, premi e curatele. La verità è che ci vorrebbe Pasolini, lui sì che l’avrebbe tracciato un intenso profilo della “Saeta Rubia”.



Dunque l’affresco argentino allo stabilimento “La Marinella”, e cosa stiano facendo i gentiluomini argentini è alla vista, ovvero stanno palleggiando ma con una piccola palla, e se la passano senza farla cadere in terra con una tranquillità e una sicurezza che lascia sbigottiti. Picchio De Sisti riconosce il mister e lo chiama e avanza e gli sorride come sa fare lui, da ragazzo di animo. Lo stesso fa Salvatore Flamini ed è la prima volta che entrambi possono ammirare il mister in costume al pari dell’asso Alfredo Di Stefano.

Ora questo continuo palleggio non avviene soltanto con i piedi, gioco che potrebbe risultare “facile”, ma sono loro a decidere su come comporre tutto il fondo oro e così può accadere che, dopo una lunga sequenza di passaggi con i piedi, ecco che interviene il palleggio di testa e dunque quell’alternare le due fasi diviene una giostra meravigliosa. Ciò può accadere anche a ragione d’una sbavatura, ad esempio di Ruben Merighi che ha restituito il pallone troppo in alto e così, ad esempio, Carniglia lo recupera e lo riequilibra, divenendo lui il primo ad usare la testa come inizio d’un’altra fase di palleggio.

E se Lallo si mantiene a distanza di sicurezza non riconoscendosi in quella schiera di eletti, Flamini avanza titubante pur sorridendo con affetto al mister che è sempre stato sul punto di lanciarlo in serie A.

E se “Picchio” s’aggrega a quel ricamo sospeso, tutto argentino, trovandosi a casa, per così dire, classicamente a casa, Flamini sceglie il ruolo di attento osservatore e si guarda bene dall’inserirsi in quel ricamo a mezz’aria effettuato con una piccola palla. Lui rimane a distanza col suo amico Lallo, e durante quel gioco fantastico Flamini si sposta fino a raggiungere l’allenatore in seconda di Carniglia, il fedele Foligna, e con lui inizia a parlare, a comunicargli le sue sensazioni su quanto sta ammirando a breve distanza.


Pure Foligna è attratto da quella palla che non riesce proprio a cadere in terra malgrado tutta la volontà che essa ci mette, ecco, sono quei cinque uomini a tenerla sospesa e un brivido accade soltanto quando essa finisce sui piedi non proprio immacolati di Luis junior, il figlio di Carniglia, mentre il fiato non è sospeso quando a toccarla sono gli altri quattro. Picchio De Sisti si confronta così a diciannove anni con l’asso Di Stefano e, se non potrà incrociarlo su un campo di calcio, potrà sempre ricordare un simile incontro e quel prolungato palleggio anche con la Saeta Rubia.

Va bene, e il gioco ad un certo punto s’interrompe e si ricostituiscono le rispettive intimità e così i due calciatori romani, insieme al guidatore Lallo, salutano i quattro argentini e s’avviano a scrutare altri ritagli di mondo che lo stabilimento “La Marinella” offre e allora la tattica cambia e si puntano stelle e stelline del cinema, quelle che appaiono spesso sui rotocalchi. Dovranno per forza esserci soubrette e fatalone in quell’irripetibile giorno di giugno del 1962.

Il pallone va bene, i dribbling rendono tutti narcisi irreparabili ma la vita chiama e De Sisti sente quella ventata di gioventù come il dono più grande. E se Schiaffino lo stima per la sapienza delle geometrie e l’assenza d’errori durante quelle costruzioni, Lojacono lo ammira per il modo in cui con sapienza tattica retrocede, s’insinua nelle triangolazioni altrui, combatte con stile. Flamini non può che gioire della sua amicizia con Picchio De Sisti, compagni non soltanto in campo ma anche nei banchi di scuola.

***

Alcune note a margine.

Ma i gestori di allora dello stabilimento “La Marinella”, seppero della presenza di Alfredo Di Stefano in quella protetta striscia di sabbia, in quel lembo di Mar Tirreno? E non vi fu nessuna sottolineatura in quel giorno di giugno del 1962? E se i gestori ne ebbero notizia, scattarono forse qualche foto con l’asso del Real Madrid? All’interno non c’è traccia.

Oggi non si sa chi gestisca quello stabilimento, ma si parla d’un altro mondo, e presentarsi all’entrata, qualificarsi e chiedere notizie su quella lontana ed epica presenza, Di Stefano, con accanto un certo Luis Carniglia e Giancarlo De Sisti, cosa si otterrebbe come risposta? Per colui che fosse in ascolto, sarebbe un nome come un altro e il nostro eventuale racconto finirebbe col promuovere, ancora una volta, uno stupore buono soltanto a noi.

***

L’aver citato la squadra della “Forlivesi”, significa evocare, riportare alla luce, alcune persone che non possono essere dimenticate. Primo fra tutti Mario Forlivesi che morì a diciotto anni di meningite: era nato nel 1927 e se ne volò in cielo nel 1945. Era un talento della Roma, giocava da centravanti. Gli articoli che a suo tempo – nell’arco breve della sua esistenza – furono scritti anche dal Corriere dello Sport, ne riportano l’eccellente tecnica, l’astuzia del goleador ed anche la forza fisica. Lo stesso Amadeo Amadei, più grande di lui di sei anni, ne parlò sempre con grande ammirazione sottolineandone le grandi doti.

E ci rattrista moltissimo il pensare a come sarebbe potuta essere la sua vita non solo calcistica ma anche quella legata agli affetti. E, per quanto letto su di lui, è probabile che lo avremmo visto con addosso anche la maglia della Nazionale. E quello che di Mario Forlivesi più colpisce, per noi che non lo vedemmo giocare, è il sorriso, ed esso fa d’ogni fotografia qualcosa di meraviglioso: un’immagine di felicità, d’un grande amore per la vita e per le persone. Quando torna in mente Mario Forlivesi, è proprio il suo sorriso che ci colpisce e ci rattrista.

***

La seconda persona da chiamare in scena è Alfredo Garfagnini, l’anima si può dire della “Forlivesi”, uno degli educatori del cucciolo De Sisti, prima che “Picchio” passasse alla Roma. Uomo di sentimenti, molto religioso, plasmò tutti i ragazzi che passarono per la “Forlivesi” e per l’oratorio di Santa Croce in Gerusalemme pensando a farne innanzitutto degli uomini e poi dei calciatori. Al suo funerale, nel 1977, era presente anche il nostro “Picchio” De Sisti. Esisteva anche un busto alla sua memoria ma ad un certo punto non lo si vide più nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme.

Da non dimenticare Franco D’Erasmo, ex dei ragazzi della Roma e anche lui maestro di vita prima ancora che di calcio. Abitava in via La Spezia, sulla sinistra, poco prima dell’incrocio con via Nola.


Fernando Acitelli è un poeta e scrittore romano. Ha pubblicato per Einaudi “La solitudine dell’ala destra”, raccolta di racconti (in versi) su 185 protagonisti del football


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