Prima o poi ci sarà un limite.
How much is too much? Così si interroga Barney Ronay sul Guardian commentando l’ipotetico trasferimento di Erving Haaland al Manchester City, un affare da oltre 300 milioni di sterline complessive. Ed in effetti introduce un tema che raccogliamo volentieri. Sia chiaro, non vogliamo fare i populisti nel pallone confrontando i salari dei “normali” lavoratori con quelli dei migliori giocatori del pianeta. L’industria calcistica funziona secondo altre logiche, lo sappiamo, e rappresenta ormai un mondo a parte slegato dalla quotidianità, che ci piaccia o meno; eppure – il senso dell’intervento di Ronay – un limite andrà pure fissato, prima o poi.
«Gli storici concordano sul fatto che la marcia su Versailles, un evento chiave della rivoluzione francese, sia stata innescata dalla sensazione che gli smisurati eccessi (nobiliari, ndr) alla fine fossero un po’ troppo. Leggendo i dettagli questa settimana della proposta di trasferimento di Erling Haaland dal Borussia Dortmund a un [‘Super Club Massively Wastefuls’], viene da chiedersi cosa potrebbe servire affinché il calcio provi qualcosa di simile. Quanto è troppo? Quanto ancora siamo disposti a consumare passivamente». Da questo presupposto parte Ronay, in una domanda da 300 milioni di sterline, che poi ragiona sulle cifre. Nel frattempo è la Bild, in Germania, a fare i conti in euro: “solo” 75 milioni per il cartellino, altri 20-25 di bonus, ma soprattutto 200 milioni per un ingaggio di 5 anni e 40 di commissioni per Raiola e il suo staff. Totale, 330-340 milioni di euro.
«Si è tentati di guardare a questo come un semplice eccesso. Ma è anche fondamentale ricordare che si tratta di soldi veri».
Barney Ronay
Si perché ogni tanto ragioniamo veramente come i soldi non esistessero – e chissà, a certi livelli probabilmente è così. Fatto sta che tutti coloro che speravano il football si ridimensionasse dopo la pandemia devono ora ricredersi, magari reagendo pure come il consigliere del Borussia Dortmund Matthias Sammer: «quando ho visto le cifre mi è venuto un mancamento, sono quasi svenuto. Mia moglie mi ha aiutato a rialzarmi».
Un bagno di realismo che non a caso è provocato dal caso Haaland, emblema del giocatore che più di tutti si presta a una simile narrazione, così “inesorabilmente mercificata”. Come scrive Ronay, «questo è il primo top player non solo elaborato attraverso la macchina moderna ma nato in essa», quasi fosse un prodotto ancor prima di essere un uomo, da analizzare esclusivamente secondo categorie economiche, di valore e plusvalore. Ed è su questo che spinge l’editorialista inglese, aprendo una questione decisiva per l’essenza stessa del football . . . .
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