La lunga crisi del Giro d'Italia, sempre più snobbato in favore del Tour de France e insidiato dalla Vuelta spagnola.
È sempre Italia-Francia, ma questa volta stiamo perdendo. La rivalità con i “cugini” d’Oltralpe infiamma lo sport italiano da sempre, nel ciclismo in particolare (oltre che nella scherma e, dagli anni Novanta, anche nel calcio). Paolo Conte (chansonnier amato più in Francia, forse, che in Italia, tanto per restare in tema) cantava di Bartali: «…E i francesi ci rispettano / che le balle ancora gli girano (…) tra i francesi che si incazzano…». Una reazione più che comprensibile, quando vedevano Coppi e Bartali trionfare al Tour de France davanti agli idoli di casa.
Il Tour de France ed il Giro d’Italia, il Tour de France o il Giro d’Italia? È questa la domanda che ogni anno si pone ogni grande campione delle due ruote. O meglio, la domanda che si pone loro, che conoscono già la risposta. Perché ormai è chiaro da qualche anno che i ciclisti più forti puntano tutto sul Tour de France. Sarà così anche quest’anno. Il Giro del Centenario, nonostante il percorso preannunci una corsa dura e divertente, non è riuscito ad attrarre né Froome né Quintana né Contador né Valverde. Ci consoleremo con la sfida tricolore tra Nibali e Aru, che si sfideranno per la prima da avversari e non più da compagni di squadra.
Questa diserzione di grandi campioni si conferma una tendenza ormai affermatasi negli ultimi anni: le squadre più competitive spingono i ciclisti più forti a puntare tutto sul Tour e a snobbare il Giro. La posizione ravvicinata nel calendario, infatti, con il Giro fissato nella seconda metà di maggio ed il Tour ad inizio luglio, non permette di essere al massimo della forma per entrambi gli appuntamenti (l’ultimo in grado di vincere entrambe le corse nello stesso anno è stato Marco Pantani nel ’98) e tra i due la scelta cade sempre sul Tour. Forse non è una coincidenza che l’ultimo ciclista a centrare l’accoppiata Giro-Tour sia stato il Pirata, che aveva intenzione di tentare il bis nel ’99 e probabilmente ce l’avrebbe fatta se non fosse stato per la clamorosa esclusione a Madonna di Campiglio e tutto ciò che accadde dopo.
Dal 1999 al 2005 il Tour viene dominato da Lance Armstrong che anella 7 vittorie consecutive, poi tutte revocate per doping. Il texano e la sua squadra, la US Postal, cambiano l’approccio alle corse, introducendo una programmazione scientifica con relativa pianificazione al dettaglio della stagione, che prevede di puntare tutto sul Tour, tralasciando altre corse, il Giro su tutte. Finisce l’epoca del campione cannibale che cerca di vincere sempre ed ovunque, dalle classiche, ai grandi giri, al Mondiale, privilegiando la Grande Boucle. In carriera Armstrong ha partecipato al Giro d’Italia soltanto una volta, nel 2009, a fine carriera, dopo il rientro dal primo ritiro e in preparazione del Tour de France. Lo stesso approccio è stato seguito, in anni più recenti, anche dal Team Sky e dalla sua punta di diamante Froome, che non ha ancora mai preso parte al Giro. Tale scelta ha spinto i corridori più forti ad uniformarsi e rinunciare al Giro pur di essere competitivi al Tour e poter contendere la vittoria ai vari Armstrong e Froome. Per questo al Giro restano spesso le briciole: giovani in cerca di vetrina (Quintana ha vinto il Giro nel 2014, poi non vi è più tornato per cercare la vittoria sulle strade francesi), corridori a fine carriera in cerca di un rilancio (Contador, che ha vinto nel 2015), e gli italiani. Il perché è presto detto: il Tour de France è la Grande Boucle, la corsa a tappe più famosa al Mondo. Attrae sponsor e televisioni, offre premi e fama ben maggiori rispetto al Giro d’Italia. Anche la collocazione temporale, in estate, permette di attrarre un pubblico maggiore, sulle strade come davanti alla TV.
Eppure, il Giro continua a presentare un percorso sempre più bello e difficile di quello del Tour, con salite storiche e leggendarie che esalterebbero le sfide tra i campioni più forti. Tant’è che l’organizzazione del Tour, negli ultimi anni, si è “ispirata” alla corsa tricolore nella definizione del percorso, prevedendo tappe più movimentate ed imprevedibili fin dalla prima settimana, inserendo tratti in pavé e meno a cronometro. Persa la sfida con il Tour, per il Giro si fa sempre più forte anche la concorrenza della Vuelta a España. Quello che un tempo era il meno conosciuto e prestigioso delle grandi corse a tappe, snobbato dai campioni e riservato ad outsider e padroni di casa, sta assumendo negli ultimi anni un blasone sempre maggiore. C’entra ancora una volta il calendario: la Vuelta, infatti, si correva inizialmente ad aprile, pagando così la concorrenza del Giro in maggio. La corsa è stata poi spostata nel periodo a cavallo tra agosto e settembre, divenendo un’ottima tappa di avvicinamento al Mondiale in autunno ma anche una possibilità di riscatto per chi è rimasto deluso dal Tour o dal Giro. Basta guardare i partecipanti e i vincitori delle ultime edizioni per rendersi contro di come ormai la Vuelta stia divenendo più appetibile del Giro, anche in termini di pubblico e sponsor.
La crisi del Giro è sintomo della crisi generale del movimento ciclistico italiano, che ha recentemente subìto l’onta di non avere nessuna squadra nel World Tour. Ci consoliamo con l’ascesa e l’affermazione di alcuni grandi talenti. Su tutti i due alfieri del movimento su strada: Nibali ed Aru. Grazie a loro l’Italia è tornata a vantare dei vincitori di grandi giri. Nibali è entrato nella storia per esser uno dei pochi corridori (insieme a Anquetil, Gimondi, Merckx, Hinault e Contador) ad aver vinto tutte e tre le grandi corse (Giro nel 2013, e nel 2016, Tour nel 2014 e Vuelta nel 2010). Aru ha già vinto la Vuelta nel 2015. Almeno in questo possiamo consolarci rispetto ai cugini francesi, che non vincono in casa dal 1985 e in terra italica dal 1989: che grande soddisfazione è stata vedere Nibali trionfare al Tour, 16 anni dopo Pantani. Ovvio che ai francesi ancora gli girano…
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