Altri Sport
27 Giugno 2017

La legge del più forte

Cosa è successo lo scorso Sabato ad Auckland.

Due giocatori sulla carta imprescindibili già fuori dai giochi, un avversario che in campo aperto fa buchi che veramente in pochi si aspettavano, soli 5 punti di vantaggio e gioco che per quanto rapido nel suo evolversi vede sempre gli altri alle calcagna. No, dopo 50 minuti gli All Blacks sanno che la partita non sta andando come le loro previsioni auspicavano.

Hanno provato a sorprendere i Lions sfidandoli dove fino a quel giorno si erano dimostrati più forti, ossia nei raggruppamenti, nelle fasi a terra, nel break down. Ce ne vuole di coraggio, eh. E però Steve Hansen se l’era studiata bene: loro tengono fuori Warburton e Itoje, due maestri della cacciata a terra, per tenere botta nelle rimesse laterali. È il caso quindi di sfidarli lì con i primi 5 uomini. E allora via, con un indemoniato Brodie Retallick sugli scudi e tutti dietro a sfiancare i lions nel loro terreno. Ancora, ci vuole coraggio. E il coraggio viene premiato: prima arrivano tre punti di Barrett dalla piazzola, poi Aaron Smith batte veloce un calcio sulla linea dei 5 metri. I britannici erano già pronti ad una scelta più conservativa, l’ovale arriva dall’altra parte e viene schiacciata da Codie Taylor, professione tallonatore, che raccoglie un brutto passaggio da terra e fa cinque o sei passi da cavallo di razza. Poi Barrett aggiunge la trasformazione molto angolata, alla faccia di chi lo tacciava di poca accuratezza al momento di mirare i pali.

La brutalità di una progressione all'Eden Park
La brutalità di una progressione all’Eden Park

Dalla descrizione qui sopra sembra un assolo neozelandese che i Lions non hanno nello spartito. No, non è proprio così. Warren Gatland ha sì tolto due cacciatori di break down formidabili, ma ha inserito due veri e propri architetti della touche, l’inglese Kruis e l’irlandese O’Mahony, capitano di giornata. Due alpini, due da alte vette. Che però non sfigurano in trincea. Ne viene fuori una battaglia di avanti di altissimo livello, con pochissimi palloni aperti al largo e due protagonisti tattici: da una parte l’irlandese Conor Murray, mediano di mischia di Munster, sontuoso nell’usare il piede. Dall’altra Israel “Izzy” Dagg, ala dei Crusaders ma di fatto un estremo aggiunto, monumentale sulle prese alte. Pensa te, questi mettono un giocatore così tatticamente evoluto all’ala, con Sua Maestà Ben Smith a dirigere l’orchestra da dietro. Sì, peccato che Smith debba abbandonare il campo troppo presto. Concussion, che sommata a quelle rimediate nel Super Rugby si traducono in una sostituzione prematura. Entra Aaron Cruden, mediano di apertura che ha sconfitto un cancro e che alle nostre latitudini potrebbe incollarsi la maglia numero 10 sulle spalle usandola pure come pigiama, Barrett va estremo.

Cambiano le strategie di gioco? Si, cambierebbero se passasse qualche pallone al largo, ma non è che ne arrivino tanti. Retallick continua a martellare, gli fanno eco Whitelock, Taylor e Kieran Read, i Lions concedono un altro calcio, Barrett e tutta Auckland ringraziano, si va sul 13 a 3. Si fa male però Crotty, secondo centro ma di fatto secondo playmaker neozelandese, entra Anton Lienert-Brown, che probabilmente ha l’etichetta sulla schiena con scritto “Made in Vulcano”. Anche Aaron Cruden comincia a calciare per guadagnare metri, ma un pallone che non esce è la miccia che accende la cavalleria leggera dei Lions: la palla arriva a Liam Williams, sorpresa di Gatland ai tuttineri. L’estremo gallese con una finta fa tornare Kieran Read nelle vesti di Clark Kent, punta il piede e inventa una curva da duecentista consumato. Arriva a metà campo, poi serve Johnathan Davies in sostegno. Davies è un giocatore largamente sottovalutato, ma ha già creato un buco nei primi minuti che solo un miracolo di Dagg ha salvato. Davies deborda e serve Daly all’ala. L’inglese rompe la corsa ed evita Lienert-Brown, poi ricicla all’interno ancora per Davies, che si trova davanti Barrett e lo porta all’esterno. Poi ricicla ancora all’interno per Sean O’Brien, terza linea di Leinster, che schiaccia. Una delle mete più belle che abbiano mai segnato quelli vestiti di rosso. Farrell non trasforma, tenete d’occhio questo particolare. Gli All Blacks, strano ma vero, a cavallo dei due tempi accusano il colpo: un altro buco di Davies lancia Liam Williams, fermato a centimetri dalla meta con fallo. Farrell decide di andare in touche, ma non ci sono sviluppi. Tenete a mente anche questo, mi raccomando. Gli All Blacks faticano, anche Watson semina il panico, fermato a fatica nei  22 metri. E non sembrano più così performanti neppure nei  breakdown, con la difesa britannica sugli scudi. Difesa che nella cacciata di un passaggio neozelandese telefonato tocca la palla in avanti e fa rifiatare i padroni di casa. No, non è facile. Due giocatori sulla carta imprescindibili già fuori dai giochi, un avversario che in campo aperto fa buchi che veramente in pochi si aspettavano, soli 5 punti di vantaggio e gioco che per quanto rapido nel suo evolversi vede sempre gli altri starti alle calcagna.

Off load disperato di Daly
Off load necessario di Daly

No, dopo 50 minuti gli All Blacks sanno che la partita non sta andando come le loro previsioni auspicavano. Ci vuole qualcos’altro, oltre al coraggio. Si, ma cosa? Intanto Steve Hansen cambia i piloni, dentro Crockett e Faumuina per Franks e Moody. L’arbitro chiama i tempi d’ingaggio, le mischie sono state largamente equilibrate nei primi 50 minuti. Non ora però, con i due appena entrati che arano i loro rispettivi dirimpettai. I Lions non se l’aspettano. In verità se l’aspettavano in pochi all’Eden Park una roba del genere. La palla sguscia fuori dal controllo di Aaron Smith, probabilmente l’arbitro sta già per fischiare il calcio di punizione. In verità si tuffa Kieran Read, che ha ritrovato la mantellina rossa, e serve Smith da terra in un unico movimento. La palla corre veloce al largo e arriva a Rieko Ioane, 19 anni e tanta voglia di schiacciare in bandierina. Missione compiuta. Barrett trasforma, gli All Blacks prendono il largo. Gatland cambia e mette dentro i suoi migliori uomini da cacciata, ossia Itoje e Warburton, ma l’impressione è che i padroni di casa abbiano cambiato passo. E alla seconda calata nei 22 dei Lions cercano ( e trovano) i pali. Ora, il grosso errore dei Lions non è tanto aver patito mentalmente gli All Blacks nel momento topico del match, quanto non aver saputo portare a casa tutto il macinato possibile quando c’era margine per farlo. Farrell (e i Lions) hanno perso per strada 5 punti capitali che fanno tutta la differenza del mondo. Il match praticamente ha ancora poco da dire, se non l’ennesima volata di Rieko Ioane su pallone malamente perso da Liam Williams e la meta di Webb a tempo già scaduto. Il totale è un 30 a 15 che forse non dice di quanto i Lions abbiano saputo tener testa per 50 minuti ad una squadra sì fiaccata da due perdite pesanti, ma coraggiosa, cinica al punto giusto e capace di vincere il match con la testa prima ancora che con le qualità incommensurabili dei suoi giocatori. L’impressione è che la grande occasione dei Lions, ormai al termine della loro stagione, sia rimasta in canna all’Eden Park, stadio in cui i neozelandesi non perdono dal 1994, e che gli All Blacks da questo momento possano solamente migliorare in coesione, semmai qualcuno avesse visto degli uomini in nero slegati l’uno dall’altro. Ma qualcuno ha mai visto, da dopo il disastro mondiale del 2007, degli All Blacks slegati o chiaramente in difficoltà? Noi sì, sabato, per 50 minuti. Ed è servito a poco. Prendete nota.

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