Editoriali
26 Marzo 2018

La palestra non è uno sport

Per non far passare i masturbatori come sportivi.

Società di egocentrici, vanitosi e masturbatori che altro che non siamo. Ammettiamolo, a noi stessi e agli altri, e vedrete che a quel punto vivremo davvero tutti meglio. Sì perché noi Italiani siamo un popolo di banderuole, sempre pronti ad andare dove tira il vento, ad accogliere modelli da oltre-oceano, oggetto e vittime di propaganda più di chiunque altro.

In Europa ad esempio siamo i primi per quanto riguarda il numero delle palestre (in relazione agli abitanti) sul territorio nazionale: un primato di cui andare fieri, un dato in crescita vertiginosa e un’industria – quella del fitness – miliardaria, che ogni anno ci teniamo personalmente ad alimentare in mille modi. Ma bando alle generalizzazioni e alle ironie, non è il caso.

L’inglese, anzi americano, fitness viene invece dalla parola fit, adatto, e rimanda a un concetto di idoneità, a un modello.

La palestra in sé non è un problema, tutt’altro, solo che come una serie di trovate dell’uomo contemporaneo, come gli stessi social network in cui condividiamo questo articolo, si riduce in molti casi a masturbazione fine a se stessa. Che poi c’è una differenza fondamentale nella lingua, e sarà che siamo un po’ pseudo-filosofi, un po’ il linguaggio è la casa dell’essere e ogni lingua è una concezione del mondo, fatto sta che tra fitness e benessere sussiste un’enorme differenza.

L’italiano benessere è un termine rassicurante, ci mostra il volto buono e sano delle palestre; l’inglese, anzi americano, fitness viene invece dalla parola fit, adatto, e rimanda a un concetto di idoneità, a un modello, che se non segui e sei in cerca dell’incontro con l’altro sesso, beh peggio per te. Sei in-adatto, in-adeguato, questo è il messaggio che stringi stringi ci tengono a far passare.

La ricetta vincente

Secondo il sito nonsoloftiness.it – sulla cui affidabilità insomma si potrebbe anche discutere, ma nell’epoca dei numeri come dogmi ne riprendiamo le statistiche – più del 50% degli iscritti in palestra ci va per modellare e tonificare la propria muscolatura, un 30% per dimagrire e altri per salute personale o per socializzare (a questi ultimi auguriamo un girone dell’inferno tutto per loro, socializzare in palestra, geniale). Dato per scontato che apprezziamo l’onestà degli interrogati, anche perché generalmente dicono tutti di farlo “per stare bene”, non possiamo che tornare al punto di partenza: non si va in palestra per benessere, ma per essere adatti.

Adatti alla società dell’immagine che propone modelli a cui doversi conformare, per non essere tagliati fuori. Non è un caso che negli Stati Uniti si sviluppi sempre più la FOMO, Fear of missing out, ovvero la sindrome dell’essere tagliati fuori, il terrore di essere esclusi. Il fitness in questo timore affonda radici profondissime, ci si rotola come un maiale nel fango e ci monetizza su, tempo e denaro. Poi c’è chi si ficca in palestra per rivalsa, per rifarsi di un amore perduto o mai sbocciato, di una conquista mai avvenuta, insomma per quanto riguarda noi maschietti genericamente per voglia di fi*a, come il 90% delle cose che facciamo, e per le femminucce preferisco non avanzare ipotesi.

“L’eventualità” (video dei The Pills)

Esaurito questo conturbante aspetto, possiamo allargare il discorso. In fondo che la palestra non sia uno sport, bella trovata, ma non ci voleva molto. Il nostro vero nemico è un altro, un’appendice della palestra che reclama lo status di sport, un nemico ben più insidioso della dabbenaggine dei body-builder. Il nostro nemico è il CrossFit. Nell’affrontare il tema, partiamo dalle parole di chi ha “creato” circa mezzo secolo fa (negli States ovviamente) questo obbrobrio, ovvero l’illustre signor Greg Glassman:

“Mangia carne e verdure, noci e semi, un po’ di frutta, pochi amidi e niente zucchero. Mantieni l’apporto calorico a un livello tale che favorisca l’allenamento ma non l’accumulo di grasso. Esercitati e allenati con i sollevamenti principali: Deadlift, clean, squat, presse, C&J e snatch. Allo stesso modo, impadronisciti delle basi della ginnastica: pull-up, dip, arrampicata sulla corda, push-up, sit-up, presse in piedi, piroette, flip, spaccate e prese. Vai in bici, corri, nuota, fai vogate, etc., forte e veloce. Cinque o sei giorni a settimana mescola questi elementi in tutte le combinazioni e i percorsi che ti suggerisce la tua creatività. La routine è il tuo nemico. Continua a fare allenamenti brevi e intensi. Impara e pratica regolarmente nuovi sport”.

No, non è la preparazione per entrare nei Navy Seals o roba simile. Stiamo parlando di un, non so, insieme di discipline(?) che viene definito “sport agonistico di fitness” – siate stramaledetti –  e che da oltre dieci anni dà luogo anche ai cosiddetti Crossfit Games, una sorta di olimpiade in salsa contemporanea che vede partecipazioni e cifre in vertiginoso aumento.

Mangia noci e semi, esercitati con i sollevamenti! Fai pull-up, sit-up, piroette, spaccate, flip!  E ancora Deadlift, clean, squat, Snatch! C&J!! 

Cosa cazzo è C&J! Ci sarebbe anche da ridere, se non ci fosse da piangere. Il punto è che il CrossFit è un prodotto della modernità: cosa si presta più agli hashtag di Instagram del #crossfit? Cosa si adatta di più alla narrazione dell’individualismo, vuoto e spietato? Cosa si sposa meglio con la società dell’immagine? E poi non dimentichiamo che il Crossfit è uno “sport” genderfluid, genderless o come diavolo vi pare. Qui ad esempio i motivi per cui “ogni femminista dovrebbe adorare il CrossFit”. 

O tempora, o mores!

Insomma non ci si capisce più niente. Questo esercito di frustrati di riserva sta conquistando il mondo e anche lo sport. I ragazzi abbandonano il calcio perché a un certo punto si rendono conto che “non arriveranno mai”, e si chiudono nelle palestre o a fare CrossFit; in fondo l’arte del conformarsi, agli altri e al sistema, è bene che la apprendano fin da subito.

Se ci pensate il CrossFit si può fare sempre, insomma alla fine lo incastri, con gli impegni… Diamine sei solo tu, nemmeno hai bisogno dell’avversario, come a tennis! E in palestra ci vai quando vuoi. È quella zona residuale di cui parlava Marcuse, nella società industriale di massa.

“All’uomo che lavora è oggi possibile soffermarsi in quelle dimensioni che, al di là della produzione e riproduzione materiale, “riempiono” veramente la vita, solo nei limiti di una piccola “zona residuale” della sua persona e in periodi di tempo minimi: il dopolavoro serale, le domeniche ecc. L’accadere vitale decisivo, che non è ormai altro che il “tempo libero”, viene ridotto e storpiato”.

Herbert Marcuse

L’accadere vitale decisivo, signori. Ma di cosa stiamo parlando. Delle palestre, del crossfit, dei sollevamenti e degli snatch. Lo sport è ciò che facciamo senza un perché, spinti e chiamati da una vocazione originaria che è quella alla gioia, alla libertà, ma che non andrebbe nemmeno spiegata e razionalizzata. Non è un mezzo. Non facciamo sport perché vogliamo metterci in forma, ma ci vuole tanto a capirlo? Sì poi ben venga la condizione fisica, ma essere “performanti” – che termine mostruoso – è una componente necessaria dello sport, certamente non è il fine.

In quest’epoca in cui siamo ridotti a matricole e automi, e in cui ancora peggio crediamo di essere liberi, la pratica sportiva è inconciliabile con lo spirito del tempo. Che ne potete sapere voi dello sport, lo sport è evasione, accadere vitale decisivo, rappresentazione sacra… rivoluzione! Mi obietterete che proprio per questo si pratica sempre di meno, mentre le palestre incassano abbonamenti a non finire. Però, come diceva Nanni Moretti, “le parole sono importanti”, e allora lasciateci almeno il linguaggio. Gli sportivi sono altri, voi siete dei masturbatori.

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