Gli spietati bianconeri ci hanno detto ancora una volta che Babbo Natale non esiste, e che sotto l'albero non troveremo nessun campionato aperto.
Bar Sport, episodio V. Diciassettesima giornata di Serie A alle spalle, prosegue il copione già scritto. Gli spietati bianconeri ci hanno detto ancora una volta che Babbo Natale non esiste, e che sotto l’albero non troveremo nessun campionato aperto.
Nulla di nuovo sotto il sole. Così direbbe un Hegel prestato al commento del calcio italiano. La Juventus ha vinto meritatamente lo scontro tra le prime della classe, dimostrando fin dal fischio iniziale perché in questi ultimi anni non ce n’è stato per nessuno. Intensità paurosa (nel senso letterale per i giallorossi, visibilmente intimoriti), frutto sì di una condizione atletica migliorata ma soprattutto di una cattiveria che ormai abbiamo imparato a conoscere. Che poi sembra quasi che sia sufficiente la “cattiveria” per ottenere la mentalità vincente: no, bisogna invece anche essere concentrati per novanta minuti, e avere quel carattere che rende sicuri dei propri mezzi al limite dell’arroganza. Insomma, una cosa che in Italia possono fare solo i bianconeri. Tutto questo fino al momento del gol. Poi difesa di posizione e gestione della partita, non concedendo agli ospiti neanche mezza azione pericolosa e sfiorando con un superbo Sturaro, ex falegname di lusso, il doppio vantaggio. Effettivamente sarebbe stato più romantico se la partita l’avesse decisa lui – o magari Mandzukic, Marchisio, Chiellini, Barzagli e via discorrendo – ma purtroppo il calcio non è più avvezzo a dispiegarsi per logiche sentimentali, e così il Pipita ha ammazzato il campionato dando ragione a chi inesorabilmente tradisce per vincere. Basta che non faccia la fine di Ibrahimovic, andato via dall’Inter per mettere le mani sulla coppa dalle grandi orecchie, salvo poi perdere con il Barcellona contro gli stessi nerazzurri (che a Madrid si laurearono campioni d’Europa) e inseguire quella maledetta coppa in un cattivo infinito che non avrebbe mai avuto soddisfazione. In questo senso non me ne vogliano i tifosi juventini, ma Napoli campione d’Europa, e Higuain seduto sul divano a mangiare patatine davanti al televisore, sarebbe un lieto fine degno delle fiabe dei fratelli Grimm. Chiudiamo infine come abbiamo iniziato, con il nostro buon Hegel. Le stagioni della Juve procedono ormai per ritmo dialettico. Le prime giornate sono la tesi, con i bianconeri in difficoltà messi in discussione da tv e giornali; poi prima di metà campionato è il turno dell’antitesi – quest’anno la sconfitta con il Genoa, l’anno scorso con il Sassuolo – momento decisivo che rappresenta il negativo ma allo stesso tempo la presa di coscienza; infine arriva la sintesi, in cui lo spirito si riappropria di sé e prosegue nella marcia inarrestabile che porta la Vecchia Signora a vincere 25 partite su 26. Se non chiude il cerchio trionfando in Europa è solo perché, con ogni probabilità, l’hegelismo è un sistema sopravvalutato.
La teoria dell’eterno secondo. “Chi de speranza vive, disperato more”. Ecco un antico proverbio romano che calza alla perfezione per le sorti giallorosse. Ascoltando una nota radio romanista alla vigilia del grande incontro, si potevano sentire queste parole: «Nainggolan sono due partite che segna, è in serie positiva dunque segnerà anche domani. Dzeko invece sono due giornate che non segna, troppe, dovrà sbloccarsi!». Ci mancava un «0-2 per noi e tutti a casa» e avremmo fatto anche qui la sintesi, ben più teoretica che pratica. Questo è il principale motivo per cui la Roma non vincerà mai, o almeno vincerà una volta ogni trent’anni. Lo si può ugualmente intuire andando in villeggiatura nelle località di mare attorno alla capitale. Ad Agosto, sotto l’ombrellone, la Roma è sempre campione d’Italia. Peccato che poi inizi il campionato. Comunque sia, gli uomini di Spalletti si sono discretamente fatti valere, disputando un secondo tempo volenteroso e creando alcune potenziali occasioni da gol. Poco più di questo, e abbasso il giustificazionismo. D’altronde il tecnico di Certaldo a fine partita è stato giustamente molto diretto: «La Roma esce malissimo da questa gara, nonostante il forcing finale. Dovevamo fare risultato, ora è difficile. Sono stati piu forti di noi, hanno dimostrato più forza nei duelli individuali. La Juve ha fatto vedere di essere forte, noi no». Più chiaro di così si muore. Vero è che mancava dal primo minuto quel feroce saladino, unico in grado (se in condizione) di scompaginare da solo le retroguardie offensive con contrattacchi fulminanti, ma altrettanto vero è che i bianconeri lamentavano l’assenza di due dei tre registi, quello difensivo e quello offensivo. Un possibile rimpianto per i capitolini può essere cercato a monte, fin dai tempi del mercato: ieri Gerson è stato gettato nella mischia perché non si era riusciti a rimpiazzare Pjanic (altro cambiacasacca). Tuttavia mentre la Juve prelevava i due calciatori più forti dalle due squadre che potevano insidiarla (nella capitale prima tentò con Nainggolan, che però rispose picche), la Roma spendeva dieci milioni per Juan Jesus e quindici per Vermaelen, autore di gesta degne dell’epica omerica: esordio con espulsione nei preliminari contro il Porto, costando la qualificazione alla sua nuova squadra; infortunio prolungato, lasciando in emergenza la difesa; ritorno dall’infortunio e attentato in allenamento alla caviglia di Salah, costretto a saltare Lazio, Milan e Juve: un agente mandato dal nemico, e Juventus campione d’Italia a posteriori anche sotto l’ombrellone.
Sfide ad alta quota. Durante questo fine settimana è successo qualcosa anche lontano da Torino. Non solo infatti si sono affrontate la prima e la seconda, ma le prime otto della classe si sono opposte in incroci decisamente interessanti. In ordine cronologico: a San Siro è andata in scena la prima di queste sfide ad alta quota, tra le due squadre che più hanno sorpreso in questo girone d’andata. Milan e Atalanta hanno dato vita a una delle più belle partite con reti inviolate degli ultimi anni: intensità e organizzazione, voglia di vincere e prontezza a ripartire in una partita più inglese che italiana. Come si usa dire è mancato solo il gol, ma non i complimenti a Gasperini e Montella. Il Napoli invece affrontava tra le mura amiche il Toro di Sinisa (e del Gallo), ed è stato letteralmente straripante: guidato dal folletto belga (il solo pensiero delle panchine scaldate da Mertens fa venire oggi i brividi), ha offerto la migliore prestazione di questo campionato. Un primo tempo di livello stellare che non solo è stata l’espressione più alta dell’undici partenopeo, ma che ha rappresentato l’apice toccato in questa nostra Serie A per quanto riguarda il bel gioco e il calcio offensivo (contro il Torino di Mihajlovic tra l’altro, non contro il Pescara di Oddo). La lotta per il secondo posto verrà decisa dalla tenuta fisica e mentale: la Roma sembra paradossalmente più preparata ad arrivare seconda – ormai si porta dietro un’esperienza decennale in tal senso; il Napoli invece tocca certamente picchi di rendimento più alti, rischiando pero, quando le cose si complicano, di incappare nella solita Sindrome dei Gunners di cui abbiamo più volte parlato. Infine – e neanche tanto infine, trovandosi a pari punti con il Napoli e ad un solo punto dai cugini giallorossi – c’è la Lazio che vince e convince, anche se meno del solito. Certo la vita sportiva della Fiorentina non ha più alcun senso, se non quello di arrivare agli ottavi di Europa League per poi essere puntualmente eliminata, ma la continuità di gioco e di risultati fornita dai biancocelesti in questo girone d’andata è assolutamente indiscutibile.
Jassim Bin Hamad. Niente paura non ci siamo convertiti all’Islam, al Bar dello Sport non succedono di queste cose. Succede però che ci si domandi perché mai la Supercoppa Italiana, anzi la Supercoppa TIM, la si debba giocare al Jassim Bin Hamad Stadium a Doha, in Qatar. Beh il perché in effetti è abbastanza chiaro, anche se la versione ufficiale credo non possa rispondere “per i petroldollari” ma sia costretta a parlare di allargamento del mercato, dell’interesse e roba simile. Ad ogni modo chiaramente una partita giocata in Qatar non vale, non conta niente, è come un’amichevole estiva. Fossi al posto di Juventus e Milan manderei i ragazzetti della primavera a fare bella figura, tanto sugli spalti con ogni probabilità non si accorgerebbero della differenza.