Il racconto della più grande impresa ciclistica di tutti i tempi. Il volo di Fausto Coppi verso la leggenda.
9 giugno 1949. E’ sera, le nubi d’oltralpe si addensano sul cielo di Cuneo. Un piccolo ostello del centro ospita i partecipanti al trentaduesimo Giro d’Italia. Gino Bartali è sdraiato sul letto a sorseggiare un buon bicchiere di vino rosso. “Ginettaccio” parla, brontola, gracchia con quella voce burbera ma dolce nel profondo. Accende una sigaretta, parla, fuma, parla di nuovo, la spegne, torna a raccontare, illuminare, sorprendere. La routine continua fino a notte fonda quando tutti sono esausti e preoccupati per le scontate fatiche dell’indomani. Gino è fatto così, genuino, spontaneo, buono come il pane. Fausto Coppi è a letto già da un pezzo, la sua vita rigida da atleta non permette distrazioni. La cura dell’alimentazione e il recupero sono alla base di ogni successo. L’Airone, al contrario del rivale toscano, se ne sta da solo, riservato come suo solito, schivo, immerso nei pensieri col volto malinconico e quel corpo esile a riposare sul lenzuolo candido in cui si riversano attese, paure e sogni di gloria. La mente è focalizzata sulla vittoria, sulla Maglia Rosa. Il cuore lo spinge all’attacco, alla costante ricerca di un’impresa che possa tramutarsi in leggenda.
La pedalata di Fausto Coppi
10 giugno 1949. Il Giro ha preso una piega inaspettata. La Maglia Rosa è sulle spalle di Adolfo Leoni dall’ottava tappa di Udine. Il corridore reatino è buon velocista ma fatica in salita. Coppi ha già recuperato sette minuti nella Bassano del Grappa-Bolzano, frazione dolomitica che ha rilanciato il Campionissimo e respinto le velleità di rimonta di Bartali. Il destino del coraggioso Leoni, di nome e di fatto, appare segnato. Quel giorno il Giro va alla scoperta delle Alpi al confine con la Francia, un territorio rivendicato da italiani e transalpini che fatica a rialzarsi dalle follie del secondo conflitto mondiale. Le strade, disastrate e martoriate tra la polvere e le rocce, assomigliano ad un filo sottile che si snoda tra le vedute mozzafiato disegnando una linea docile ed armoniosa che dipinge i contorni della montagna.
Si parte da Cuneo e si sconfina in Francia per arrivare a Pinerolo 254 chilometri dopo. Il percorso prevede le scalate di Maddalena, Vars, Izoard, Monginevro e Sestriere. Una tappa mai vista al Giro. Da far paura. Alla partenza il cielo è tetro sopra la testa dei corridori. Le nuvole grigie alimentano preoccupazioni, fanno palpitare il cuore e tremare le gambe. Coppi è tranquillo, celato dietro gli immancabili occhiali scuri e quel silenzio che sta per trasformarsi in ardore. Giovanni Tragella, direttore sportivo della Bianchi, spezza il momento di personale raccoglimento chiedendo al Campionissimo cosa dovesse preparare per il rifornimento dei gregari. Fausto risponde:
“Pane, salame e lanternino”.
Semplicemente leggendario
Il lanternino veniva montato dietro i carri di notte. Sta a significare che i gregari arriveranno tardi, quando il sole è in procinto di tramontare e la notte di calare. Sentenza che sa di profezia. Sarà una tappa massacrante. Pronti, via. Comincia a piovigginare sulla corsa. Sul Colle della Maddalena, prima salita di giornata, si passa dall’asfalto allo sterrato. I corridori stentano a prendere il ritmo sopra quel manto di polvere che si sta lentamente tramutando in un fiume di fango. Bartali fa fatica a carburare; lui è un diesel, soffre l’alba del dolore per poi ingranare col passare dei chilometri e delle difficoltà. Ad accendere la miccia è Primo Volpi, classico dei grimpeur che parte dalla testa del gruppo e allunga sulle pendenze arcigne che si celano sotto i tubolari. Coppi si accorge che Bartali non è alla sua ruota (leggenda vuole che Gino sia in ammiraglia per sistemare un guaio al freno). L’Airone ha solo 43” di ritardo sul velocista in Rosa Leoni, potrebbe gestirsi controllando la situazione a lui favorevole.
E invece Fausto apre le ali, le fa battere più forte che mai, spicca il volo verso la vetta, la gloria, la Maglia Rosa, il mito, la leggenda. Riprende e stacca Volpi rimanendo da solo già sulla Maddalena, lui e la sua bicicletta, insieme al silenzio della montagna e al vuoto che lo separa dai rivali e dal traguardo. Coppi accarezza le pedivelle sprigionando potenza nonostante il fango che si addensa sotto le ruote. La sua espressione è il classico dipinto di fatica e malinconia. L’Airone è un campione fragile, segnato nel corpo e nell’animo dal debilitante lavoro di campagna dell’infanzia e dalle fatiche ciclistiche che logorano i muscoli esili di natura. Lo sguardo inquieto si confonde col sudore che sgorga dalla fronte, il busto è così curvo da sembrare il naturale completamento del mezzo meccanico. Le gambe frullano con un’agilità insolita per l’epoca, la posizione richiama la massima aerodinamicità. Il Campionissimo pedala, elegante e maestoso, verso l’immortalità.
Una freccia scagliata tra le montagne
Frastornato dal caos generato dall’eterno rivale, Bartali parte in solitaria sul Vars e tenta la rimonta. Sull’Izoard Coppi e Bartali si ritrovano l’uno contro l’altro. Il fuggitivo e l’inseguitore, l’Airone e l’Aquila, Bartali verso Coppi, Coppi verso la leggenda. Lontani e vicini, Fausto e Gino danno vita a una sfida a distanza fatta di gambe, testa e cuore. E’ la definitiva resa di “Ginettaccio”, sconfitto, tramortito, sorpreso dall’azione folle e temeraria del rivale.
Il batter d’ali dell’Airone prosegue leggiadro fino a Pinerolo. Il ciclismo diventa poesia, l’impresa veste i panni della leggenda, la cronaca rinasce in romanzo. Il giornalista francese de L’Equipe Pierre Chany ricorda:
“Accompagnai Coppi fino a un paesino francese, mi pare Barcelonette. Lo lasciai andare. Entrai in una trattoria. Ordinai un pasto completo, dagli ‘hors-d’oeuvre al caffè. Mangiai con tempi da buongustaio. Fumai una sigaretta. Chiesi il conto. Pagai. Uscii. Stava passando il sesto”.
All’inizio del collegamento radiofonico durante le fasi conclusive della tappa il radiocronista Mario Ferretti esordisce così:
“Un uomo è solo al comando, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto Coppi”.
Dopo 192 chilometri di fuga solitaria, quattro colli in solitaria e ben cinque forature, Coppi giunge trionfale a Pinerolo. Il secondo classificato Bartali giungerà con dodici minuti di ritardo. E sulle Alpi si ode il canto divino del volo del Campionissimo, l’uomo solo al comando.