Papelitos
23 Maggio 2025

La caduta degli dèi

Milan-Monza è la partita più malinconica dell’anno.

Poche cose sono più tristi delle ultime ore prima di una resa. La rabbia si mescola al rimpianto di quello che poteva essere e non è stato. O di quello che è stato e forse non sarà più, almeno a breve. Perché dopo il tracollo bisognerà ripartire e ricostruire. Un lavoraccio al quale non tutti sono abituati. Milan-Monza, ultima di campionato, non è una semplice partita. È una sorta di “Manifesto della Malinconia”, arricchito da coincidenze che sembrano uscite dalla penna di uno sceneggiatore. L’incontro perfetto fra i simboli di un passato luminoso, neppure troppo lontano, e le ombre di un futuro al momento opaco.

Sul Milan è stato detto praticamente tutto. Forse neppure il peggior pessimista avrebbe potuto immaginare una stagione così. Rewind rapido. Si inizia la scorsa estate con un allenatore prescelto (Lopetegui) contestato ancora prima della firma. Al suo posto sbarca Paulo Fonseca insieme a Morata, Emerson Royal, Pavlovic ecc. Fonseca parla di calcio dominante. Morata, in teoria il pezzo pregiato, comunica subito sui social di essere depresso a causa della crisi matrimoniale. Ibrahimovic, ufficialmente advisor (si scoprirà in seguito che è pagato da Red Bird e non dal Milan), si autoincorona boss del club:

“Tutti lavorano per me”, dichiara ai microfoni.

In un’azienda normale ci sarebbero già le premesse per una giusta causa, ma Zlatan è così, prendere o lasciare. La squadra va a sprazzi, alternando partite insufficienti a lampi improvvisi, tipo le prestazioni contro Real Madrid e Inter, senza convincere mai fino in fondo. Si arriva alla famosa vigilia di Natale. Fonseca viene cacciato dopo una conferenza stampa post partita nella quale tutti i giornalisti presenti sanno già del suo allontanamento. Tocco comico finale: il mister annuncia personalmente l’esonero dal finestrino della propria auto, nel cuore della notte.

Dal nulla, spunta Sergio Conceição, “l’Antonio Conte portoghese”: grinta, carattere, determinazione, cattiveria. Un taglio netto, lingua madre a parte, con lo stile del predecessore, accusato peraltro di essere troppo soft con i senatori dello spogliatoio. Sergio parte bene: con soli tre giorni di preparazione, il Milan conquista la Supercoppa Italiana battendo addirittura Juventus e Inter in rimonta! Dopo la vittoria, Conceição ripropone negli spogliatoi il famoso “ballo con il sigaro già esibito a Porto. Errore madornale dal punto di vista scaramantico: nell’occasione precedente fu eliminato al turno successivo.


Ma il clima sembra cambiato, la fiducia sembra tornata, l’umore sembra alto. Scatta una piccola rivoluzione invernale. Morata, malgrado la ritrovata serenità coniugale, viene comunque spedito in Turchia. Emerson Royal, per il tripudio dei tifosi ma non della società che lo stava vendendo, si infortuna.  Calabria, una delle ultime bandiere, emigra a Bologna a causa di un litigio plateale con il mister.

Arriva Kyle Walker “per portare mentalità vincente”. In realtà Kyle dà più l’impressione di essere fuggito a Milano per evitare il plotone di mogli, compagne, fidanzate, amanti e figli che lo braccano a Manchester. Arriva João Félix, altra anima lusitana alla costante ricerca di un suo perché. Arriva soprattutto Santi Giménez, bomber messicano proveniente dal Feyenoord e molto prolifico in Eredivisie. Guarda caso (qui lo sceneggiatore aggiunge una finezza) il Milan si ritrova in Champions League ad affrontare nel playoff proprio il Feyenoord, indebolito dall’addio del “Bebote”.

Passano gli olandesi. E Sergio, a soli 40 giorni dall’insediamento, inizia già ad affrontare le interviste con la faccia di chi ha appena trovato l’ascensore fuori servizio.

La stagione continua, il campionato va come va, Ibra sparisce dai radar per un po’, Scaroni, Furlani e Moncada si alternano nel ruolo di volto istituzionale, scatta la ricerca di un DS fra indiscrezioni, rose di candidati, “incontri segreti” (scoperti in 30 secondi) a Londra e un ipotetico pre accordo con Paratici, svanito poiché qualcuno si ricorda che il manager non può operare ufficialmente fino a fine luglio. La Coppa Italia, invece, garantisce qualche sollievo. In semifinale è di nuovo derby e l’Inter viene liquidata nel match di ritorno con un secco 3-0.

Ancora una volta, la gioia dura poco. In finale c’è il Bologna. Vincono i rossoblu, a digiuno di trofei da 51 anni, guidati da un allenatore che aveva perso tre finali in tre anni e con un giocatore in campo, Calabria appunto, mandato via dal Milan quattro mesi prima. Appare quasi commovente il saluto gelido fra l’ex capitano e Conceicao al momento della premiazione. A completare la settimana, la sconfitta 3-1 con la Roma, che toglie la squadra da ogni competizione europea per il ’25/26, e la retrocessione in serie D di Milan Futuro.


E il Monza? È stato l’ultimo “miracolo italiano” di Silvio Berlusconi. Una squadra presa in serie C e portata, per la prima volta, nella massima serie. Un “mini Milan”, progettato e costruito secondo l’antica ricetta del 1986: il fido Galliani, il centro sportivo ristrutturato (Monzello fa addirittura rima con Milanello), i primi allenatori pescati dall’album di famiglia (Brocchi, Stroppa), i palleggi del Cavaliere alla Villa Reale con le inevitabili battute sulla fornitura di signorine in caso di successi. L’aria, a dire il vero, profumava sempre un po’ di allegria forzata. Sembrava di riguardare una vecchia puntata di Drive In.

Perché non si andava al Camp Nou, ma a Pordenone. E perché in mezzo al campo non c’era Rijkaard, ma Boateng. Tuttavia l’ottimismo degli eterni ragazzi, Silvio e Adriano, era come al solito contagioso e ancora una volta ha avuto la meglio sugli scetticismi.

Berlusconi però se n’è andato nel giugno 2023. Galliani è rimasto solo al comando. Dopo un campionato in linea con le aspettative l’intera società si è inabissata in questa stagione, iniziata con Alessandro Nesta in panchina. Poi, con la squadra già ampiamente spacciata, è subentrato Bocchetti (Bocchetti??) al quale è stato fatto firmare un triennale (un triennale??) salvo richiamare Nesta a causa di batoste continue.



Due episodi certificano lo smarrimento dei mesi recenti in casa Monza. Il primo: Adriano Galliani, l’ultimo degli incrollabili, abbandona la tribuna prima del fischio finale dell’ennesimo match avviato alla sconfitta. Il secondo: Nesta, al colmo della frustrazione, dice una cosa tipo: “ In tutta la mia carriera non ho mai perso come in quest’anno”. E sabato c’è Milan-Monza.

Chi andrà allo stadio? Ovviamente la curva, con il preciso obiettivo di contestare la dirigenza. Oppure qualche famiglia con figli piccoli da distrarre per un paio di ore. Gli altri, pochi o tanti, avranno invece l’occasione di assistere a una specie di celebrazione dell’assenza. La musica della Champions, almeno l’anno prossimo, non risuonerà. La fiducia nei confronti dei vertici non c’è più. Le certezze non ci sono più. Le bandiere non ci sono più. Maldini e Boban non ci sono più. Silvio non c’è più. Il Condor in cravatta gialla non vola più.

Per somma ironia della sorte, ad officiare questo rito malinconico (trovata finale dello sceneggiatore), saranno due personaggi che hanno molto contribuito a far sognare intere generazioni di tifosi rossoneri: Nesta e Galliani, oggi sconfitti a loro volta indossando un’altra casacca. È la Stunde Null (Ora Zero) di tedesca memoria. È la caduta degli dèi. È game over a San Siro, come direbbe Maurizio Compagnoni.

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