Inghiottito per due volte dall’onda devastatrice dei due conflitti mondiali, Achille Lauro riesce a riemergere dal fondo dell’abisso in cui era sprofondato, con la sua flotta, altrettante volte. Di tempra combattiva, ‘O Comandante, come presto lo avrebbero ribattezzato i napoletani, cade a più riprese, ma trova sempre la forza di rialzarsi e remare dritto verso la rotta del successo. Controverso, spregiudicato, acclamatoe contestato, dimostra di avere visione strategica, ed idee innovative che non tarderanno a farne l’armatore più potente d’ Europa.
Capace di concludere ottimi affari con la piazza portuale di Londra, dove le sue navi sono attive in floridi commerci, in Italia può vantarsi di intrattenere fiorenti rapporti con la famiglia Agnelli, grazie ai quali capitalizza risultati importanti. L’acquisto di Omar Sivori ad esempio – quando riprenderà le redini della squadra del Napoli, sebbene agendo alle spalle di Roberto Fiore – sarà figlio di questi contatti. Curioso l’aneddoto che si racconta, secondo il quale la trattativa si sarebbe sbloccata solo grazie ad una telefonata contenente minaccia (neanche troppo velata) che il comandante fa all’avvocato Gianni Agnelli: “Sai caro, i motori Rolls Royce sono i migliori, altro che FIAT”.
L’avvocato capisce che c’è il rischio di perdere le forniture per le navi della flotta Lauro, chiama gli uomini mercato della Juve ed intima: “Diamogli Sivori, ma aggiungiamo nel contratto la fornitura di due motori Fiat”.
Con l’avvento della Grande Guerra, Lauro assiste impotente alla requisizione del suo “impero”, sacrificato sull’altare del bene supremo della patria. E tuttavia, quando le ostilità saranno cessate, saprà rinascere. Una prima volta con il sopraggiungere del fascismo, sfruttando gli ottimi rapporti d’amicizia e colleganza con la potente famiglia degli armatori Ciano, per poi ritrovarsi di nuovo annichilito alla fine della seconda guerra mondiale. Qui, come una araba fenice, risorge ancora grazie agli americani.
Saranno questi ultimi gli artefici della seconda resurrezione: prima facendogli provare le amarezze del carcere e del campo di concentramento di Padula, poi però sollevandolo dall’accusa di collaborazionismo con il governo Mussolini. Pensate che, prima di lasciare la città partenopea, gli americani “regalano” al Comandante addirittura un paio di navi dismesse della flotta militare, la quale sta per mollare gli ormeggi dopo essere stata di stanza nel golfo negli anni dell’occupazione alleata. Sarà la svolta.
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Il comandante non si lascia sfuggire l’occasione. Capisce che può scrivere un nuovo inizio. Le navi diventeranno presto quattro, dieci, venti, trenta…una nuova, potentissima flotta. Riannodati i rapporti commerciali anteguerra, Lauro riconsolida la sua fama di signore del mare: ormai la sua è una parabola avvinta dalla gloria, e ci mette poco a sublimare in vera e propria epopea. Tre le passioni che si aggiungono alla principale vocazione, quella di imprenditore matittimo, coltivata con amore crescente nel solco della tradizione familiare: la politica, Napoli, il Napoli calcio.
Una messe di consensi mai vista accompagnerà la sua irruzione sulla scena politica. Sindaco plebiscitario di Napoli per il partito monarchico, il comandante dà luogo ad un fenomeno politico e sociale che va sotto il nome di laurismo. Il “ventre di Napoli” – per citare il titolo della straordinaria opera di Matilde Serao, fondatrice de Il Mattino – le classi popolari e meno abbienti, più che un primo cittadino vedono in lui un Vicerè. Ma sarà l’intera città a pendere dalle sua labbra. Il momento è propizio per dedicare rinnovate energie alla squadra di calcio.
“Un grande Napoli per una grande Napoli”, sarà lo slogan della nuova mission del comandante, consapevole di quanto la squadra azzurra sia consustanziale alla città.
Comincia così una intensa opera di rifondazione della squadra e della società. Rivisitazione e snellimento dell’organigramma societario e poi acquisti sensazionali, come quello dello svedese Hasse Jeppson dall’Atalanta per la cifra record di 105 milioni di vecchie lire. Un colpo di mercato che stresserà le casse del banco di Napoli e segnerà un’epoca, lasciando in dote un bilancio scarno di successi, ma molti aneddoti e detti memorabili che solo Napoli, con la sua incrollabile e straordinaria autoironia, sa regalare.
Dal sempiterno mannaggia Jeppson, coniato dai tifosi azzurri per stigmatizzare i troppo frequenti errori sotto porta del centravanti svedese, e poi diventato un tormentone, al non meno famoso e durevole è carut o banc ‘e Napoli, declamato ogni volta che lo svedese cadeva a terra, e con chiaro riferimento alla montagna di soldi sborsati dall’istituto bancario cittadino per concluderne l’acquisto.
Ma a parte Jeppson arrivano anche Bruno Pesaola, il petisso, che in seguito sarà allenatore, Luis Vinicio ‘O Lione, e la sgusciante ala Vitali. Quindi Sivori e Altafini. Nel mezzo i litigi con diversi tecnici, i confronti con Gigi Peronace – grande dirigente dalla formazione british che gli consiglia di accomodarsi in tribuna piuttosto che soffrire scamiciato in panchina, facendo torto al suo rango – e la costruzione dello stadio San Paolo.
Una panoramica del San Paolo dall’alto nel giorno dello scudetto napoletano, il grande rimpianto del Comandante.
Si affacciano poi gli anni in cui gli addebitano la speculazione edilizia, che a torto si credono rievocati dal regista Rosi nel suo capolavoro “Le mani sulla citta”. Lauro è identificato con la deriva dell’abusivismo urbano che dilaga a Napoli, ma la cruda pellicola di Rosi in realtà viene male interpretata: solo col passare degli anni si comprenderà che il vibrante manifesto di denuncia del grande regista, più che a Lauro, si rivolgeva ad imprenditori edili vicini e protetti dalla democrazia cristiana.
Intanto il Napoli di Lauro dopo l’onta della retrocessione in serie B, pur militando nella cadetteria, e con già in bacheca una coppa delle Alpi, vince la coppa Italia e ritorna in serie A, pur non riuscendo mai a portare il tricolore all’ombra del Vesuvio.
Nel frattempo lo strapotere del nuovo viceré, che è anche proprietario dei maggiori quotidiani della città e della emittente privata “Canale 21”, entra nel mirino degli inquirenti e, sul piano politico, in quello della balena bianca; in particolare della prorompente famiglia Gava, che negli a seguire sarà il pilastro della potentissima corrente del golfo, una delle espressioni più identitarie dello scudo crociato partenopeo.
Partono le inchieste, scoppiano gli scandali. Il comandante è costretto a disfarsi della fascia tricolore: il consuntivo della sua avventura imprenditoriale, sportiva e politica presenterà impressionanti analogie con il percorso che avrebbe poi caratterizzato l’impegno di Silvio Berlusconi. Il consiglio comunale di Napoli, di cui ‘O comandante era “azionista” di riferimento, viene sciolto per decisione del presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, nonostante il parere contrario del consiglio di stato. Lauro non sarà più sindaco di Napoli, ma intanto approda in parlamento con una folta pattuglia di parlamentari del partito popolare monarchico.
Achille Lauro mentre saluta i tifosi allo stadio
Ormai, però, la parabola discendente è irreversibilmente innescata, e questa impatterà fatalmente anche sulla creatura azzurra. Fiaccato dall’avanzare dell’età, l’armatore nato a Piano di Sorrento fa giusto in tempo a spendersi per favorire l’ingresso in società di Corrado Ferlaino. Lauro conserverà per sé il titolo di presidente onorario, e sarà tale anche quando alla tolda di comando si piazzerà suo figlio Gioacchino, al quale si deve il rocambolesco acquisto di Dino Zoff, il migliore portiere dell’epoca.
L’ingegnere Ferlaino, che più tardi avrebbe portato a Napoli una meraviglia chiamata Maradona, dirà nel suo “Comandante tradito” che la bellissima venezuelana, vedova Corcione, da cui acquisì le quote della società, era il grande amore di Lauro; e che proprio il comandante, in virtù di quel legame sentimentale, l’aveva convinta a cedergli le quote.
Il 10 maggio ’87, quando lo scudetto diventa finalmente un mare che bagna Napoli, Lauro è morto già da cinque anni.
Chissà cosa avrebbe dato per assistere al trionfo del Pibe de Oro e compagni, chissà cosa avrebbe pagato per vedere la sua città travolta da una gioia incontenibile, poetica e irrazionale come fu in quel profumatissimo giorno di primavera.
Se è vero che in risposta ad una scritta apparsa nella zona del cimitero di Poggioreale il giorno della conquista dello scudetto «e che ve site perso», all’indomani ne apparve un’altra che recitava: «Ma chi ve l’ha detto che ce l’amm’ perza?» (Chi ve lo ha detto che l’abbiamo persa), non vi possono essere dubbi che ‘O Comandante, dopo anni di prima linea, fosse in prima fila anche lassù, a godersi quello spettacolo dalla tribuna del cielo. Per quell’occasione, più azzurro del solito.